Il contratto di sale&lease back non viola il divieto di patto commissorio

La corte di cassazione Civile, con la sentenza n. 16646/2017 depositata il 7 luglio, ha risolto le principali criticità giuridiche sottese al contratto di sale and lease back correlate alla violazione del divieto di patto commissorio, stabilendo definitivamente i criteri che consentono di rilevarne la natura fraudolenta. Tale contratto, che consiste nella vendita di un bene, solitamente immobiliare, ad una società finanziaria che ne paga il corrispettivo, diventandone proprietaria, per poi cederlo in locazione finanziaria alla stessa venditrice, che versa periodicamente dei canoni di leasing per una certa durata, con la facoltà di riacquistare la proprietà del bene alienato, al termine di durata del contratto, ha scopo di leasing e non di garanzia, in quanto, osserva la Corte, “ che nella configurazione socialmente tipica del rapporto costituisce solo il presupposto necessario della locazione finanziaria, inserendosi nell’operazione economica secondo la funzione specifica di questa, che è quella di procurare all’imprenditore liquidità immediata mediante l’alienazione di un suo bene strumentale al medesimo conservandone l’uso con facoltà di riacquistarne al termine del rapporto la proprietà.” Siffatta vendita, pertanto, non è di per sé in frode al divieto di patto commissorio. A tal riguardo, l’articolo 2744 del Codice civile sancisce la nullità del patto che preveda il passaggio al creditore della cosa offerta in garanzia in mancanza del pagamento entro il termine fissato. Nel caso di specie, tale operazione finanziaria, perseguendo lo scopo di assicurare la liquidità immediata e il contestuale utilizzo del bene ceduto, goduto senza soluzione di continuità dall’impresa cedente, non integra la violazione del patto commissorio, che è invece «diretto ad impedire al creditore l’esercizio di una coazione morale sul debitore spinto alla ricerca di un mutuo, o alla richiesta di una dilazione nel caso di patto commissorio ab intervallo, da ristrettezze finanziarie» e trova precipua violazione «ogniqualvolta lo scopo di garanzia costituisca non già mero motivo del contratto, ma assurga a causa concreta della vendita con patto di riscatto o di retrovendita». Inoltre, come il c.d. leasing finanziario anche il contratto di sale&lease back risulta, secondo uno schema socialmente tipico, caratterizzato da una specificità tanto di struttura quanto di funzione e concretamente attuato attraverso il collegamento tra un contratto di vendita di un bene di natura strumentale da parte di un’impresa ad una società di finanziamento che, a sua volta, lo concede testualmente in leasing all’alienante, il quale corrisponde, dal canto suo, un canone di utilizzazione, con la facoltà, alla scadenza del contratto, di riacquistare la proprietà esercitando un diritto di opzione per un predeterminato prezzo. Manca, pertanto, nel contratto in esame la trilateralità propria del leasing, potendo essere due, e soltanto due, i soggetti dell’operazione finanziaria e conseguentemente, le parti del contratto, in quanto l’imprenditore assume la duplice veste del fornitore-venditore e dell’utilizzatore, secondo un procedimento non diverso da quello dell’antico costituto possessorio.

 

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Ne consegue che il negozio di sale&lease back viola la ratio del divieto del patto commissorio, al pari di qualunque altra fattispecie di collegamento negoziale, ove allo scopo di garantire al creditore l’adempimento dell’obbligazione, il debitore trasferisca a garanzia del creditore stesso un proprio bene riservandosi la possibilità di riacquistarne il diritto, all’esito dell’adempimento dell’obbligazione, senza peraltro prevedere alcuna facoltà in caso di inadempimento, di recuperare l’eventuale eccedenza di valore del bene rispetto all’ammontare del credito. L’assenza di una previsione contrattuale che assegni al venditore la facoltà di recuperare l’eccedenza del valore del bene in caso di inadempimento, rende, pertanto lo scopo della garanzia funzionalmente incompatibile con la natura della compravendita. Infine, i criteri offerti dalla Cassazione consentono di rilevare, definitivamente, la natura fraudolenta del contratto di sale and lease back nei casi in cui ricorra: -la presenza, preesistente o contestuale, di una situazione di credito e debito tra la società finanziaria e l’impresa venditrice utilizzatrice; -una situazione di difficoltà economica del venditore legittimante il sospetto di relativo approfittamento;

la sproporzione tra il valore del bene e l’entità del prezzo versato; L’accordo sarà quindi lecito se volto ad assecondare ragioni di liquidità finanziaria, che recepiscono la complessiva esigenza di propulsione dell’attività di impresa.

Sarà, al contrario, nullo, stante l’illiceità della causa negoziale, qualora emerga una preponderante funzione di garanzia con cui le parti, in pendenza di una soggezione del debitore, hanno inteso privilegiare le ragioni della società di leasing, assegnandole un vantaggio sproporzionato, pari al maggior valore del bene acquisito in proprietà.

In definitiva, la Corte afferma il principio di diritto secondo cui: “ deve ritenersi nullo per illiceità della causa il contratto di sale and lease back quando ha la funzione di garantire di più la finanziaria con la proprietà dell’immobile, poiché siffatta fattispecie viola il divieto di patto commissorio previsto dall’art. 2744 c.c.La natura fraudolenta di tale contratto può essere desunta dalla presenza di una situazione di credito e debito tra la società finanziaria e l’impresa venditrice utilizzatrice, dalla situazione di difficoltà economica del venditore legittimante il sospetto di relativo approfittamento e dalla sproporzione tra il valore del bene e l’entità del prezzo versato”.

Sentenza collegata

51524-1.pdf 638kB

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Avv. Fornaro Pasquale

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