Contratto di swap: trasparenza, rischio ed alea

I contratti derivati

I contratti derivati, contrariamente all’opinione comune, hanno un’origine antichissima.[1] Tralasciando l’excursus storico che ha portato alla costituzione dell’attuale mercato finanziario, e dei relativi prodotti, tappa fondamentale da analizzare prima di entrare nel merito dei contratti di swap sono gli anni a cavallo tra gli 80’ e i 90’.

Gli strumenti derivati sono contratti finanziari il cui valore è collegato al prezzo del mercato di uno o più beni. I derivati, negli anni ’80, tracimando dai mercati regolamentati a quelli non regolamentati (over the counter, letteralmente ‘sul bancone’) divenivano sempre più complessi e, in considerazione dello spregiudicato utilizzo della leva finanziaria, rischiosi[2]. Durante quel periodo storico si assistette alla tramutazione del rischio da elemento fisiologico della cambiale, ma estraneo al rapporto, ad elemento strutturale del contratto derivato, oltre che fisiologico. I derivati, infatti, sono principalmente usati per “comprare rischio” o “proteggersi dal rischio” nelle tre forme dette arbitraggiospeculazione e hedging. Sebbene queste condividano, quali elementi strutturali del contratto, l’alea ed il rischio, differiscono per il fine a cui sono dirette:

  • L’hedging consiste nel del trasferimento del rischio soggiacente ad un bene (funzione di copertura);
  • l’arbitraggio è un’operazione diretta al conseguimento di un profitto tramite l’acquisto dei prodotti su un mercato e la rivendita su un altro;
  • la speculazione consiste nell’ “acquisto” di un rischio al fine di trarne un profitto.

Il nomen “derivato” trae origine dall’esperienza anglosassone dei derivatives e viene utilizzato indistintamente sia per indicare il contratto costitutivo del rapporto intercorrente tra i sottoscrittori, sia per richiamare lo strumento ivi disciplinato. Invero tali contratti “rappresentano”[3] e si immedesimano con lo strumento finanziario stesso. Il derivato è un contratto atipico, distinto dal comune contratto di vendita e acquisto di beni e servizi; ha natura finanziaria e disciplina un sinallagma strutturato come contratto a prestazioni corrispettive tra i sottoscrittori. È ormai pacificamente affermato in giurisprudenza[4]  che i contratti derivati, assimilabili a scommesse autorizzate[5], siano da ricomprendere nel genus dei contratti aventi natura aleatoria (al pari di alcune forme di rendita e, per certi versi, delle assicurazioni nonché delle scommesse e dei giochi autorizzati)[6].

Il contratto di swap: tra legislazione e giurisprudenza

La legge italiana, sebbene abbia predisposto una disciplina dettagliata per i valori mobiliari (art. 1 comma 1-bis TUF) e per gli strumenti finanziari (art. 1 comma 2 TUF), non dà una definizione di contratti derivati limitandosi ad elencare determinati contratti che, per le loro caratteristiche, vengono qualificati come tali. Non si tratta di un’omissione involontaria ma di un’impossibilità tecnica determinata dalla velocità con la quale la prassi finanziaria crea nuovi contratti; invero, una definizione rigida si scontrerebbe con le evoluzioni dell’ingegneria finanziaria che la renderebbero inoperante nel giro di pochi anni.

Il contratto di swap è regolamentato dall’art. 1 comma 2 TUF e, contrariamente a quanto avviene per gli altri, per questo contratto il legislatore si rimette all’espressione inglese. Il derivato tipo (lo swap) si presenta come contratto in cui le parti sottoscrittrici (una delle quali, il più delle volte, è una banca) “si obbligano a effettuare delle prestazioni pecuniarie reciproche e speculari al verificarsi di specifici eventi di rilevanza finanziaria[…] al fine di ripartire tra le stesse le possibili conseguenze negative derivanti da tali fluttuazioni e, in tal modo, neutralizzare o limitale la perdita- ma anche i vantaggi- che ne possono derivare”[7].

Sono numerose le sentenze con le quali la giurisprudenza di legittimità dà una definizione di contratto di swap. La Suprema Corte, in una sentenza del 2001[8], affermò che è contratto di swap quello in cui due parti convengono di scambiarsi, in una o più date prefissate, somme di danaro calcolate applicando due diversi parametri (in termini di tassi d’interesse o di cambio) ad un identico ammontare di riferimento, con il pagamento alla scadenza concordata di un importo di base netto, in forza di compensazione. In un’altra sentenza del 2005[9], la Cassazione lo definì come quel “contratto aleatorio con cui le parti si obbligano reciprocamente all’esecuzione, l’una nei confronti dell’altra, alla scadenza di un termine prestabilito, di una prestazione pecuniaria il cui ammontare è determinato da un evento incerto”. I contratti di swap prevedono due distinte modalità di calcolo rispetto a una certa somma (detta “nozionale”). Ciascuna modalità di calcolo si fonda su parametri differenti e dà risultati diversi. Effettuati i calcoli all’esito del periodo pattuito, uno dei due contraenti si trova a debito nei confronti dell’altro ed è tenuto a pagare la differenza[10].

Il summenzionato indirizzo della Corte di legittimità è stato consolidato dalla Corte Costituzionale la quale ha rigorosamente sancito “il carattere intrinsecamente aleatorio” dei “contratti aventi ad oggetto strumenti finanziari derivati”[11].

La dottrina, invece, attribuisce tale qualificazione in base al carattere aleatorio della particolare dinamica contrattuale, alla distribuzione delle prestazioni principali tra le parti contraenti ovvero alla determinazione del loro ammontare che dipende dal verificarsi o meno di un evento incerto e dalla fluttuazione di un valore di mercato ovverosia da fattori in nessun modo influenzabili dalle parti. Sebbene l’orientamento dottrinale predominante e le summenzionate sentenze facciano apparire pacifico il carattere aleatorio e rischioso di tali contratti occorre sottolineare che tale assioma è il frutto di un notevole lavoro scientifico, per giunta non sempre uniformemente condiviso.

La struttura del contratto di swap        

Il contratto di swap presenta le seguenti caratteristiche: il sottostante (es., denaro); la connessione ad un parametro; il parametro (es. un indice); il regolamento (es., il pagamento di differenziali in contanti se lo swap è cash settled). Le prestazioni, alle quali i contraenti sono tenuti, sono rappresentate dal pagamento di differenziali in contanti (cash settlement). Le prestazioni sono eventuali, sia nell’an, sia nel quantum; il differenziale in contanti è una prestazione pecuniaria e la consegna fisica del sottostante è una prestazione di dare. L’unico «pagamento», al quale il legislatore fa riferimento, è quello dei «differenziali», ma nella prassi uno dei contraenti dà, spesso, una somma di denaro (up front) all’altro contraente al momento della conclusione del contratto o al momento della sua rinegoziazione; è una delle clausole che possono essere presenti nel contratto derivato[12]. L’an ed il quantum dipendono da (e sono connessi ad) un parametro di riferimento.

Il contratto di swap, come ogni altro contratto, deve rispettare la disciplina generale prevista dal codice civile in materia di contratti:

  • L’accordo;
  • La causa;
  • L’oggetto;
  • La forma, quando risulta che è prescritta dalla legge sotto pena di nullità (art. 1325 c.c.).

Per quanto riguarda le parti, la Corte di Cassazione è intervenuta con una serie di sentenze che ne hanno tracciato il perimetro. La prima, nel 2001[13], con la quale affermò che è nullo il contratto di swap stipulato da un soggetto privo delle richieste autorizzazioni ai fini dell’esercizio dell’attività d’intermediazione mobiliare e non iscritto nel relativo albo dei soggetti abilitati. Con le successive[14] si è occupata, rispettivamente, della nullità del contratto di swap stipulato da una società di intermediazione mobiliare non iscritta nel relativo albo e della nullità “assoluta” del contratto di swap stipulato da un intermediario abusivo.

Vi può essere divergenza tra le parti del contratto di swap e quelle del rapporto sottostante (contratto di finanziamento). Gli swap sono contratti il cui contenuto essenziale è pre-determinato da una parte e proposto alla controparte alla quale, nelle ipotesi in cui si trovi in stato di grave indebitamento, sono sostanzialmente preclusi margini di negoziazione; inoltre, tali contratti sono negoziati nel mercato over-the-counter, ovvero al di fuori dei mercati regolamentati[15], con tutte le conseguenze che ne derivano in termini di trasparenza.

Problemi informativi

La Consob, nell’allegato 3, parte B, reg. n. 11522 del 1998, ha evidenziato lo stato di pericolo in cui avvengono le negoziazioni; in questo documento si evince che “per le operazioni effettuate fuori dai mercati organizzati può risultare difficoltoso o impossibile liquidare una posizione o apprezzarne il valore effettivo e valutare l’effettiva esposizione al rischio”. Si crea, quindi, un problema di asimmetria informativa a danno del compratore. Questa sensazione è stata confermata da una recente indagine presentata dalla Consob[16] dalla quale emerge che più del 20% degli intervistati dichiara di non avere familiarità con alcuno strumento finanziario e la stragrande maggioranza degli intervistati non comprende il concetto di tassi di interesse negativi. Ben il 39% circa degli investitori mostra una scarsa comprensione del processo decisionale di investimento, mentre solo il 6% degli intervistati comprende correttamente la nozione di diversificazione del portafoglio[17]. In generale vi è una scarsa propensione nel rivolgersi ad un servizio di consulenza prediligendo i consigli di amici, parenti e colleghi per gli investimenti in borsa. L’immagine dell’investitore italiano che si è delineata è quella di un soggetto senza cultura finanziaria, con scarsa comprensione degli andamenti e delle innovazioni dei mercati e, in alcuni casi, distorsioni comportamentali (diversificazione di portafoglio e contabilità mentale). Ma non basta perché è anche avverso alle perdite e al rischio di ottenere rendimenti inferiori alle aspettative; ha, inoltre, una scarsa comprensione del processo decisionale.

Il Codice Civile favorisce la certezza dinamica del diritto facilitando gli scambi e la circolazione delle situazioni giuridiche. Tale tecnica normativa incide in materia di informazione nel procedimento di formazione dei contratti. Può capitare, infatti, che si concludano contratti senza leggerne il testo perché il consenso si forma su una “percezione sociale o personale” della convenienza dell’affare. In questi casi il contratto è valido perché ciò che è in discussione non è la volontarietà degli effetti ma la piena consapevolezza in relazione alla loro reale consistenza. Si pone perciò un problema di effettività del consenso -nel caso in cui vi sia divergenza tra effetti voluti ed effetti prodotti- per i fini della sua validità[18]. Nella contrattazione in materia finanziaria (di sua natura complessa per i non specialisti del settore) diviene difficile delimitare i casi in cui il contraente, se pur non pienamente consapevole dei reali effetti, avrebbe comunque stipulato il contratto da quelli in cui la formazione della volontà è stata inficiata dalla falsa rappresentazione degli effetti, contratto in questo caso nullo.

Le operazioni finanziarie sono state giuridicamente qualificate con diverse ricostruzioni; l’opinione attualmente prevalente, sia in letteratura[19] che in giurisprudenza[20], definisce il rapporto di intermediazione finanziaria in termini “di collegamento negoziale tra un originario ed indispensabile contratto presupposto (contratto – quadro) e successivi ordini di investimento”. Il legislatore ha individuato in modo analitico gli obblighi dell’intermediario, non lasciandoli alla disciplina civilistica comune, ma specificandoli e valorizzandoli ulteriormente nel contesto di un rapporto finanziario; tuttavia appare tutt’ora problematica l’individuazione dei rimedi esperibili dagli investitori a fronte di una condotta  lesiva delle regole di condotta.

Normazione in tema di informazione e trasparenza

In tema di intermediazione finanziaria, la violazione dei doveri di corretta informazione del cliente e di corretta esecuzione delle operazioni che la legge pone a carico dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi finanziari può dar luogo a responsabilità pre-contrattuale – con conseguenze risarcitorie ove dette violazioni avvengano nella fase precedente o coincidente con la stipulazione del contratto di intermediazione destinato a regolare i successivi rapporti tra le parti (c.d. contratto quadro) – o a responsabilità contrattuale ed eventualmente condurre alla risoluzione del contratto suddetto ove si tratti di violazioni riguardanti le operazioni compiute in esecuzione al contratto quadro; in ogni caso, è da escludere che, mancando un’esplicita previsione normativa, la violazione dei doveri di comportamento possa determinare, a norma dell’art. 1418, comma 1, c.c., la nullità del c.d. contratto quadro o dei singoli atti negoziali posti in essere in base ad esso”[21].

Il tema della trasparenza nell’intermediazione finanziaria è molto discusso da dottrina e giurisprudenza; è nota, purtroppo, la posizione di diseguaglianza in cui si trova il cliente (parte fisiologicamente debole) in quanto all’oscuro di informazioni rilevanti e privo delle competenze di cui dispone la controparte. Il legislatore, adottando un approccio paternalistico, ha predisposto un’apposita disciplina per regolamentare le attività nelle quali una parte fisiologicamente “forte” viene in contatto con una parte fisiologicamente “debole”; si è provato a riequilibrare sul piano giuridico rapporti intrinsecamente squilibrati[22]. Il primo intervento organico si ebbe col Testo Unico della Finanza (D. Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58), il quale dedica un intero capo alle modalità di svolgimento dei servizi e delle attività finanziarie. L’art. 21, in particolare, sancisce che l’intermediario finanziario ha l’obbligo di comportarsi secondo diligenza, correttezza e trasparenza. Invero, non di minor importanza sono gli obblighi informativi, trattati in modo chiaro nell’art. 28 del Regolamento Intermediari Consob n. 11522/1998, e suddivisi in attivi e passivi: i primi consistono nel reperire informazioni relative alla situazione patrimoniale dei clienti, alla loro esperienza in materia di investimenti finanziari ed alla loro propensione al rischio, in modo da poter dare consigli adeguati e corrispondenti alle relative aspettative. I secondi disciplinano gli obblighi informativi gravanti sull’intermediario che vanno dalla fase pre-negoziale alla fase successiva di svolgimento del rapporto, fino alla conclusiva fase post-negoziale. Successivamente, in attuazione della Direttiva MiFID, suddetto regolamento è stato sostituito dal Regolamento Intermediari 16190/2007.

Anche quest’ultima normativa presenta i medesimi connotati della precedente. La tutela verte intorno al flusso informativo, in parte duplice ed in parte unilaterale; nondimeno, il legislatore ha ritenuto opportuno ribadire la propedeuticità dell’informazione (in ordine alla natura ed ai rischi connessi) all’esercizio della contrattazione in materia di attività di investimento. Lo spiccato tecnicismo di questi regolamenti negoziali li rende profondamente opachi e imprevedibili per gli investitori non professionali[23].

Gli obblighi informativi impongono all’intermediario di prestare i servizi di investimento solo dopo aver fornito alla controparte adeguate informazioni sulla natura e sui rischi connessi al servizio richiesto. L’atto informativo è, quindi, non solo determinante ma anche propedeutico alla verifica della conformità dell’operazione con il profilo soggettivo del cliente. Compito fondamentale dell’intermediario è quello di conoscere la volontà dell’investitore al fine di raffigurarsene l’interesse e di tradurlo in una conforme scelta di investimento[24]. Dal lato dell’investitore, invece, i doveri di informazione (gravanti sull’intermediario) sono funzionali all’accrescimento della consapevolezza in merito all’operazione che si accinge a compiere. Inoltre, sono previsti dei casi in cui l’intermediario finanziario può presumere l’appropriatezza dell’investimento senza effettuare un giudizio ad hoc[25].

L’informazione, ai sensi dell’art. 6 comma 2 TUF, come modificato dal D.lgs. 18 aprile 2016 n. 71,  oltre che adeguata ed appropriata, deve essere trasparente; quest’ultimo carattere, piuttosto che aggiuntivo, è da considerarsi implicito ad una corretta informazione[26], in quanto è evidente che l’utilizzo di nozioni eccessivamente tecniche determina l’impossibilità per il consumatore di accedere al loro vero significato[27]; un’informazione poco chiara non potrà raggiungere il suo obiettivo e, pertanto, è giuridicamente irrilevante distinguere tra un’informazione resa in modo poco comprensibile e un’informazione non data[28]. La comprensibilità è un fattore fondamentale nell’ambito dell’intermediazione finanziaria e, anche per questo elemento, la buona fede assume un ruolo fondamentale[29]. Tra le parti della contrattazione si crea una relazione qualificata giustificata dal nesso tra le due sfere giuridiche, altrimenti irrelate, una delle quali abbia fatto affidamento sulla professionalità e qualificazione dell’altra. Tale nesso attribuisce alla parte più qualificata specifici doveri di protezione nei confronti della sfera giuridica dell’altro, la cui violazione attiverebbe i rimedi contrattuali.

La valutazione del rischio

Tecnicamente, la trasparenza sul rischio impone che l’accordo tra intermediario ed investitore (art. 1325, n. 1, c.c.) abbia ad oggetto, a pena di nullità, il valore finanziario (mark to market o mark to model) e le probabilità, nonché i criteri ed il modello utilizzati per calcolarli, alla stregua di una scommessa razionale[30]. Pertanto, l’intermediario, per agire nell’esclusivo interesse del cliente, non dovrebbe operare su tali mercati (per evitare di trovarsi in situazioni di conflitto di interessi) qualora non fosse pienamente consapevole del rischio finanziario ad essi connesso. Il contratto di swap è facilmente comprensibile se il rischio è “cieco” perché il testo contrattuale esibisce bensì i parametri, ma non evidenzia valore finanziario, scenari probabilistici e metodi e modelli di calcolo[31]: in tal caso esso si presenta come lo scambio di prestazioni differenziali che comportano l’assunzione di posizioni di rischio. Per converso, il contratto è difficilmente comprensibile se il rischio è “razionale” perché il testo evidenzia valore finanziario, scenari probabilistici e metodi e modelli di calcolo: il rischio è ora calcolato, è percepibile, si tratta di “passare dalla percepibilità alla percezione e dalla percezione alla comprensione”[32], come premessa dall’adesione al testo e quindi della manifestazione della volontà contrattuale.

L’alea razionale non trasforma il contraente in un investitore razionale, ma, rendendolo consapevole del rischio che assume, lo fa agire in modo potenzialmente cosciente e autoresponsabile[33]. Razionale non è l’homo ludens, il quale pur sempre potrebbe concludere un contratto derivato decidendo di assumersi un rischio enormemente squilibrato e strettamente correlato ad altra scommessa assunta con un altro intermediario; razionale è l’alea[34].

La tutela dell’integrità dei mercati è affidata all’ufficio di diritto privato dell’intermediario che, condividendo con il cliente quantità e qualità del rischio (requisiti della trasparenza), lo mette in condizione di scegliere se concludere o meno il contratto derivato e, a sua volta, si mette in condizione di non rispondere di tale scelta[35]; qualora la scommessa non sia adeguata per l’investitore, il quale non possa finanziariamente sopportare le possibili conseguenze negative della conclusione del contratto, non nasce, in capo all’intermediario, un obbligo di astensione dalla conclusione del derivato rischioso (anche molto rischioso) qualora l’investitore l’abbia concluso nella consapevolezza della misura del rischio.

L’agire in modo inconsapevole da parte di un contraente, oltre che rappresentare, in primis, un suo problema, diviene un problema di sistema quando i contraenti che agiscono in maniera inconsapevole siano molteplici. In tale situazione la nullità contrattuale interviene per presidiare interessi di terze parti evitando che tali contratti producano effetti dannosi per la generalità[36].

La posizione del contraente che si trovi a decidere se concludere un contratto a seconda della raffigurazione della misura del rischio[37] non rispecchia quanto accade negli altri contratti aleatori (rendita vitalizia); in quest’ultimo, per esempio, l’oggetto, pur essendo rappresentato da un rischio cieco, non misurato, consistente nel c.d. vita contemplata, è ciò che giustifica il “principio, statuito condivisibilmente dalla Corte di Cassazione[38], secondo cui il trasferimento di un bene ulteriore rispetto a quello originariamente trasferito, come corrispettivo delle prestazioni assistenziali, allorché queste siano divenute più gravose, è privo di causa, perché la causa del vitalizio originario è rappresentata dall’assunzione del rischio inerente alla misura ed alla durata dell’assistenza[39]. La ratio di tale giurisprudenza verte sulla considerazione che l’aggravamento del rischio non rilevi di per sé in quanto non occorre che quest’ultimo, oggetto della rendita vitalizia, sia scientificamente misurato, perché la meritevolezza degli interessi è da rinvenire nelle prestazioni di assistenza come corrispettivo (aleatorio) del trasferimento.

Nella regolamentazione Consob emerge un rigoroso formalismo nella fase c.d. “precontrattuale”[40]. In particolare, tale formalismo, sembra strumentale alla tutela del cliente-risparmiatore, in quanto, il legislatore, non fidandosi dell’adempimento spontaneo al dovere di correttezza, vi affianca una formale prescrizione contenutistica integrando quella che è la disciplina dell’informazione nella fase precontrattuale[41]. Nell’intermediazione finanziaria, a differenza di quanto previsto nel Codice Civile ove la forma attiene al contratto, i vincoli di forma incidono sul comportamento delle parti nella parte che precede l’eventuale stipulazione del contratto[42]

I doveri dell’intermediario finanziario

La normativa di settore pone “cinque doveri, cinque violazioni”[43] in capo all’intermediario finanziario. Il primo è un requisito di forma in quanto prevede che la stipulazione del contratto-quadro avente ad oggetto l’investimento debba avvenire in forma scritta; in secondo luogo è stabilito che gli intermediari debbano tenere una diligenza qualificata (in quanto legata ad una professione intellettuale) e debbano comportarsi in modo corretto e trasparente; in terzo luogo l’intermediario debba acquisire dal cliente tutte le informazioni necessarie per svolgere correttamente il suo incarico; tra queste vi rientrano: la situazione patrimoniale del cliente, la sua conoscenza nel settore di investimento rilevante per il tipo di servizio o prodotto proposto o chiesto ex art. 41, comma 1, Reg. Consob 16190/07; in quarto luogo l’intermediario deve conoscere in modo approfondito lo strumento finanziario che vuole proporre al cliente in modo da tenerlo costantemente aggiornato sull’andamento di quel titolo; infine, gli intermediari hanno l’obbligo di astenersi dall’effettuare operazioni inadeguate per tipologia, oggetto, frequenza o dimensione; possono procedere ad operazioni inadeguate solo in presenza di una richiesta specifica  resa in forma scritta da parte del cliente[44].

I doveri informativi sono la traduzione, nel contesto dell’intermediazione finanziaria, del dovere di buona fede, sia contestualmente alle trattative negoziali (art. 1337 c.c.) che durante la vita del rapporto obbligatorio (art. 1175 c.c.). Tali regole indicano un parametro di condotta a cui le parti devono attenersi nello svolgimento di un rapporto obbligatorio e, in caso di loro di violazione, sono foriere di obblighi risarcitori. La qualificazione delle regole di condotta ha dato origine ad orientamenti contrapposti in relazione alla loro natura; alcune sentenze di merito[45], qualificando come imperative le norme del TUF, hanno dichiarato nulli, ai sensi dell’art. 1418, co. 1 c.c, i contratti-quadro di intermediazione finanziaria. Suddette sentenze hanno riaperto il dibattito della distinzione tra regole di comportamento e regole di validità. Le prime riguardano le condotte da tenere durante la contrattazione e nella fase successiva dello svolgimento del rapporto contrattuale; le seconde riguardano il modello legale minimo che il regolamento di autonomia negoziale deve avere per essere conforme alla legge. La violazione delle une e delle altre danno rispettivamente luogo a risarcimento del danno, le prime, e a nullità le seconde. Tale distinzione è disciplinata nel codice civile nella parte in cui si occupa della responsabilità precontrattuale ma, tuttavia, non è più netta e precisa come lo era in passato. Questa, infatti, presupponeva che il contratto fosse effettivamente il frutto di una trattativa individuale tra parti poste su un medesimo livello e parimenti informate. Nei contratti finanziari sono diverse la struttura e la funzione dei regolamenti di scambio; il prezzo è spesso dato da una serie di clausole a cui il contraente può aderire o non aderire ma in nessun caso negoziare.

Sebbene vi sia unanimità (in giurisprudenza ed in letteratura) nel considerare imperative le norme del TUF, vi è ancora divergenza di opinioni in merito ai rimedi esperibili in caso di violazione dei doveri informativi. Da una parte vi è chi sostiene la nullità del negozio per violazione di norme imperative (da sole idonee a determinarne l’invalidità); nel mezzo vi è chi ipotizza la possibilità per il cliente di agire per la risoluzione contrattuale (caducando anche i successivi ordini esecutivi di acquisto dei prodotti finanziari). Un terzo orientamento ritiene che sia esperibile l’azione di annullamento del contratto-quadro per errore del cliente, in quanto non adeguatamente informato dalla controparte circa i prodotti acquisiti[46]. Infine, un’ultima opinione è espressa in termini di mera responsabilità precontrattuale per violazione del dovere di buona fede, la quale può sussistere anche in presenza di un contratto validamente concluso[47].

Tuttavia la giurisprudenza della Suprema Corte esclude categoricamente che la violazione degli obblighi informativi degli intermediari possa tradursi in una nullità del contratto-quadro: non di certo una nullità testuale (art. 1418, co. 3, c.c.), poiché la normativa non la prevede in modo chiaro e specifico[48]; né tantomeno una nullità strutturale (art. 1418, co. 2, c.c.), poiché la violazione dei doveri informativi non è giudicata idonea ad inficiare l’accordo contrattuale[49].

A grandi linee ciò che emerge è la difficoltà del diritto nel seguire le continue evoluzioni del mercato finanziario. Un tempo era compito del diritto garantire l’eguaglianza formale delle parti all’interno del rapporto contrattuale ergendosi, in tal modo, a simbolo di eguaglianza giuridica dei soggetti nell’ordinamento. Le dinamiche contrattuali attuali, invece, creando una diseguaglianza sostanziale, ricollegabile a ragioni economiche, culturali e organizzative, non trovano efficace tutela nella disciplina dell’eguaglianza formale delle parti. L’intervento della legge dev’essere senz’altro finalizzato indirizzato nel senso di un riequilibrio “sostanziale” dei rapporti negoziali.

Tuttavia, la storia insegna che ubi societas ibi ius ed anche il diritto dei contratti riuscirà, prima o poi, a reagire efficacemente al cambiamento della realtà economica[50].

La protezione degli investitori nella MiFID II

La direttiva MiFID II, direttiva europea per la prestazione dei servizi di investimento, entrata in vigore lo scorso 3 gennaio 2018, introduce importanti novità nella regolamentazione dei mercati finanziari. Innanzitutto estende l’ambito di applicazione della direttiva agli strumenti finanziari non regolamentati, ed in particolare alle operazioni “over-the-counter” ed alle “commodities. L’impatto più significativo della direttiva si ha sulle modalità di interazione tra l’impresa di investimento e tutte le parti (in particolare con i clienti) coinvolte nella compravendita. In particolare: introduce diverse novità in ambito di trasparenza e protezione dei clienti/investitori, definisce le caratteristiche del servizio di consulenza indipendente, affina le regole sulla valutazione di adeguatezza e gli obblighi di comunicazione alla clientela.

La revisione della prima direttiva MiFID si è resa necessaria in seguito agli sconvolgimenti e agli sviluppi del mercato finanziario prodottisi successivamente alla crisi statunitense del mercato over-the-counter, la quale ha messo in luce la debolezza di alcuni principi cardine della MiFID e la presenza di aree che necessitavano di un’implementazione con nuove regole, adattandole ad un mercato sempre più complesso. Tra gli obiettivi del legislatore europeo spiccano quello riguardante la protezione degli investitori, attuato mediante la trasmissione di informazioni sempre più dettagliate e comprensibili, e quello di responsabilizzazione degli intermediari.

Per quanto riguarda il primo è prevista una riduzione del rischio che i prodotti finanziari emessi non siano adeguati al cliente finale; gli intermediari finanziari devono produrre prodotti concepiti per rispondere alle esigenze di una determinata clientela e devono adottare una strategia distributiva compatibile con il target di riferimento; per quanto riguarda i secondi, invece, le imprese di investimento devono dimostrare alle autorità vigilanti che il personale addetto alla prestazione di servizi di investimento abbia competenze e conoscenze adeguate e, inoltre, che non sia adottata una politica retributiva che incentivi il personale a raccomandare ai clienti al dettaglio dei prodotti finanziari qualora la stessa impresa abbia uno strumento differente più adatto alle esigenze del cliente.

Come sopra accennato, la MiFID II implementa la normazione in tema di informazione; innanzitutto, nell’individuare i prodotti finanziati da fornire al cliente, si fa esplicito riferimento alla specificazione della capacità di perdita del cliente e della sua tolleranza al rischio (art. 25  comma 2); l’impresa di investimento, prima di concludere la trattativa, deve informare il cliente delle motivazioni che hanno portato a ritenere l’operazione di investimento consigliata coerente con le sue caratteristiche; inoltre, le informazioni circa il complessivo costo dell’operazioni devono essere fornite in misura aggregata per consentire al cliente una “facile” valutazione della loro incidenza sul rendimento dell’investimento.

La direttiva è stata revisionata per diminuire il rischio di mis-selling[51] che restava elevato nonostante gli obblighi di best execution e i requisiti di adeguatezza, appropriatezza già presenti con la MiFID I. La tutela che ne risulta non è tanto quella degli investitori, quanto quella del mercato. E maggiori tutele per il mercato, indirettamente, corrispondono a maggiori tutele per chi vi opera.

Una modifica di rilievo è quella inerente l’estensione della valutazione dell’adeguatezza dalla fase “finale” del processo distributivo, ossia il momento in cui il prodotto è consigliato o concesso al cliente, alla prodromica fase di concepimento del prodotto da parte dell’emittente. Vi è un’inversione del cammino precedentemente tracciato: si parte dal target per arrivare al prodotto[52].

La causa e l’oggetto del contratto di swap

La finalità principale nei contratti di swap è quella di garantire i contraenti contro certi rischi (hedging); tale funzione di copertura è assimilabile a quella dei contratti assicurativi.

Nel rapporto denaro-tempo-denaro che caratterizza la maggior parte degli strumenti finanziari, dove il tempo non è altro che l’elemento che misura la rischiosità dell’operazione e, quanto maggiore essa sarà, tanto maggiore sarà la remuneratività (o la potenziale perdita) del derivato, il contratto di swap, nella sua accezione più pura e semplice, persegue una finalità di riduzione del rischio. Tale obiettivo è ritenuto meritevole di tutela da parte dell’ordinamento giuridico; in forza del principio sancito ex art. 1322 comma 2 c.c. «le parti possono anche concludere contratti che non appartengano ai tipi aventi una disciplina particolare, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico». Il contratto di swap, non appartenendo a nessuno dei contratti tipici previsti per legge, è stato assimilato, o almeno si è provato a farlo, ad uno dei contratti tipici previsti dal nostro ordinamento[53]. Per esempio, si è provato ad accostarlo al contratto di assicurazione, ma, a differenza di questo, in cui è pre-determinata la parte obbligata alla prestazione in conseguenza dell’evento dedotto in contratto, nello swap la prestazione può essere indifferentemente a carico dell’una o dell’altra parte.

Tali tentativi si sono scontrati con le caratteristiche dei contratti di swap le quali non consentono di ricondurlo ad altri tipi contrattuali[54]. Quindi, data la loro atipicità, i contratti di swap vengono accettati dall’ordinamento solo se meritevoli di tutela; la semplice riduzione dei rischi fa affermare la loro meritevolezza di tutela[55].

Giudizio di meritevolezza

I contratti di swap non sono rigidamente standardizzati (over-the-counter) e, pertanto, possono contenere clausole diverse che dovranno essere sottoposte al giudizio di meritevolezza caso per caso (art 1322 comma 2 c.c.). L’art. 1 comma 2 lett. g) del TUF conferma il carattere essenziale della causa, e quindi della meritevolezza degli interessi ad essa sottostanti, sancendo che gli strumenti finanziari derivati sono caratterizzati da uno “scopo”(commerciale). L’intento dell’investitore -motivo unilaterale- non va confuso con la causa in quanto non incide su essa. I motivi[56] sono rilevanti sotto il profilo della regola di condotta dell’intermediario, in particolare per il giudizio di adeguatezza e di appropriatezza dell’atto di investimento.

L’interprete deve effettuare un giudizio di meritevolezza tenendo conto dei principi regolatori della materia[57]:

  • 47 comma 1 della Costituzione: “La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme”;
  • 21 TUF secondo cui l’intermediario deve agire “per servire al meglio l’interesse dei clienti” e nel rispetto dell’”integrità dei mercati”;
  • 5 TFU secondo cui l’attività di intermediazione finanziaria deve essere esercitata nel rispetto della “salvaguardia della fiducia nel sistema finanziario”, della “tutela degli investitori” e della “competitività del sistema finanziario”.

L’interprete, per agire nel rispetto di tali principi, deve valutare la meritevolezza del contratto sia dal punto di vista microeconomico (tutela del singolo investitore), sia da quello macroeconomico (tutela del sistema) alla luce di una duplice esigenza: da un lato la tutela della fiducia nel sistema finanziario e dall’altro la salvaguardia della sua integrità. Qualsiasi indagine che non consideri entrambe le dimensioni porterà ad esiti insoddisfacenti. Dalla sintesi di entrambe dovrà risultare una non eccessiva pericolosità per l’investitore e, su una negoziazione a larga scala di contratti derivati, l’esito dovrà essere tale da non pregiudicare la fiducia nei mercati finanziari e da garantire la salvaguardia della stabilità dei mercati stessi.

Qualora l’oggetto del contratto non sia un bene o un servizio, che sia economicamente utile, ovvero idoneo a soddisfare un interesse relativo a qualcosa di diverso dal denaro, ma sia la programmazione di flussi finanziari, il contratto non ha una causa “socialmente” meritevole, a meno che i contraenti intendano assumere quel rischio liquidandosi periodicamente dei differenziali. Di per sé, la programmazione di uno scambio di flussi non costituisce una causa meritevole di tutela perché il rischio di pagare somme di denaro (anche elevate) quando l’investitore si trovi di fronte ad un rischio irrazionale è alto e la sua incidenza negativa si ripercuote su larga scala, rendendolo socialmente non meritevole.

Incidenza dell’elemento aleatorio sui rimedi esperibili

I contratti di swap sono contratti aleatori a causa della variabilità e non prevedibilità delle prestazioni dedotte in obbligazione. Da tale carattere aleatorio derivano alcune conseguenze giuridiche; innanzitutto si applica l’art. 1448 comma 4 c.c. secondo cui «non possono essere rescissi per causa di lesione i contratti aleatori»; è frequente l’aggiunta a tali contratti di una clausola di rinuncia alla possibile risoluzione per eccessiva onerosità. È lo stesso Codice civile, ex art. 1467 comma 2, a prevedere che «la risoluzione non può essere domandata se la sopravvenuta onerosità rientra nell’alea normale del contratto» e che «le norme degli articoli precedenti non si applicano ai contratti aleatori per loro natura o per volontà delle parti» (1469 c.c.). La clausola con cui si esclude la risoluzione per eccessiva onerosità afferma che la variabilità delle prestazioni dei contraenti rientra nella normale alea del contratto (art. 1467 comma 2 c.c.), oppure, sia definita per volontà dei contraenti, i quali attribuiscano il carattere aleatorio del contratto (art. 1469 c.c.)[58].

La ratio dell’esclusione del rimedio della rescissione per causa di lesione (art. 1447, 1448 c.c.) e del rimedio per eccesiva onerosità sopravvenuta (art. 1469 c.c.) è da rinvenire nella volontà del contrante, il quale, volendo stipulare un contratto aleatorio, fa sì che venga meno la rilevanza della sproporzione del valore delle prestazioni o la troppa onerosità dovuta al verificarsi di avvenimenti successivi alla conclusione del contratto[59]. Tale ratio, come già da tempo sostenuto[60], non è solida perché, anche nei contratti aleatori, è possibile che i contraenti, pur volendo assumere un’alea, decidano di farlo sul presupposto della conoscenza della stima dell’entità del rischio e sulla conoscenza del valore dell’alea. In questi casi, se i valori sono sproporzionati ultra dimidium (art. 1448 c.c.), o se l’entità del rischio cambia (art. 1467 c.c.), non si può dire che tali variazioni siano giuridicamente irrilevanti perché il contraente ha  inteso assumere un rischio[61]. Bisogna distinguere due tipologie di assunzione di un rischio; la prima consiste nell’assumersi un rischio c.d. alla cieca, per scherzo, in un attimo di follia (o in un agire irrazionale); la seconda consiste nell’assunzione “consapevole” di un rischio, sulla base di una stima razionale, al fine di conseguire un guadagno (scommessa razionale). Dato che l’alea è presente sia in un caso che nell’altro, e, soprattutto, che può essere di diverse valutazione da parte del diritto, “scommessa meritevole anche se cieca; scommessa meritevole solo se razionale”[62], è criticabile l’osservazione secondo cui l’espressione “alea razionale” sarebbe un ossimoro.

Se la scommessa è di pura sorte sono giustificate le regole di cui agli artt. 1448 comma 4 e 1469 c.c. poiché il contraente non può vincolarsi ad una prestazione indipendentemente dalla probabilità di guadagnare e lamentarsi ex post per non aver guadagnato. Viceversa, se il contraente-debitore si è vincolato alla prestazione con la consapevolezza del valore della prestazione (quindi in base ad un calcolo razionale della probabilità[63]) non appare giustificato che non si ammettano i rimedi sopra menzionati. Tale conclusione è da mitigare con i limiti di operatività che i due rimedi presentano secondo la disciplina generale. L’ambito di applicazione appare assai limitato perché “i contratti derivati sono scommesse razionali, concluse sulla base di un giudizio di probabilità , e così di una stima, che presuppone una previsione in ordine agli avvenimenti che possono incidere ab externo sul valore delle prestazioni”[64].

 Giurisprudenza in materia di swap

Talvolta i contratti di swap sono posti in essere per finalità speculative (es. speculazione sui tassi di interesse). In tali casi il contratto, non avendo funzione di copertura, potrebbe comportare l’opposizione di una parte alla richiesta della controparte di pagare il differenziale sulla base della mancata sussistenza, a livello contrattuale, di un diritto ad agire. Tale eccezione troverebbe facile rigetto in quanto, l’art 23 comma 5 TUF prevede che: «nell’ambito della prestazione dei servizi e attività di investimento, agli strumenti finanziari derivati nonché a quelli analoghi individuati ai sensi dell’articolo 18, comma 5, lettera a), non si applica l’articolo 1933 del codice civile»[65]. La Corte di cassazione, intervenuta sulla questione[66], ha confermato che l’attività degli intermediari finanziari non è paragonabile all’attività di una casa di gioco organizzata, in quanto, contrariamente a quanto avviene per la seconda, per i primi sono previste una serie di regole che impongono loro di comportarsi secondo diligenza, correttezza e trasparenza nell’interesse dei clienti. Con una pronuncia meno recente[67], sempre la Suprema Corte, affermò che la presenza di un intento speculativo o di un certo grado di alea non rende il contratto assimilabile a un gioco o scommessa. La recente giurisprudenza[68], concentrandosi sull’analisi strutturale dei contratti di swap, ha contribuito all’individuazione della causa e della natura aleatoria del relativo contratto alla luce di nuovi principi  (alea equilibrata o alea razionale).

Il Tribunale di Salerno, in una sentenza del 2013 ( n. 1126 del 2 maggio), si esprime in merito alla richiesta di nullità del regolamento negoziale; l’individuazione dell’oggetto contrattuale permette di identificare la causa contrattuale del derivato e, di conseguenza, delimitarne i motivi di nullità. Si è a lungo discusso se il motivo o la finalità potessero farsi rientrare nella causa contrattuale ovvero se fossero da relegarsi tra gli elementi non essenziali (motivo soggettivo)[69]; solo nel primo caso il mancato raggiungimento della finalità di copertura comporterebbe la nullità del contratto per violazione della causa. Per dare una soluzione a suddetto interrogativo, giurisprudenza e dottrina hanno applicato la distinzione tra causa astratta e causa in concreto[70]. A tal proposito, la Corte d’appello di Trento (3 maggio 2013, n. 141) ha evidenziato che i contratti di swap possono avere diverse finalità (copertura/hedging, speculativa/trading e una funzione di arbitraggio) e chiarisce che il derivato, per poter essere considerato “di copertura”, dovrà presentare le seguenti caratteristiche: 1. dovrà essere sottoscritto esplicitamente al fine di ridurre la rischiosità di altre posizioni detenute dal cliente; 2. vi dovrà essere un’oggettiva correlazione tra le caratteristiche tecnico-finanziarie del rapporto preesistente oggetto della copertura e il derivato sottoscritto; 3. la banca dovrà aver adottato procedure di controllo interno idoneo per assicurare l’effettivo rispetto delle due condizioni suesposte.

La Corte d’appello di Milano, qualche mese dopo, affermò che: “Nel derivato […], l’oggetto del contratto è costituito da uno scambio di differenziali a determinate scadenze, mentre la sua causa risiede in una scommessa che entrambe le parti assumono” e nello scambio di rischi conseguente (18 settembre 2013, n. 3459). I giudici territoriali mettono in evidenza l’esistenza di un rischio gravante su entrambi i contraenti (in realtà, tale rischio, è spesso sostanzialmente a carico della parte debole) derivante dall’impossibile determinazione del valore degli indici prima delle scadenze contrattuali. Si risalta la natura dello swapche è quella di una scommessa – autorizzata, ai sensi dell’art. 1935 cod. civ., in forza del richiamo di cui all’art. 1 TUF, quantomeno allorché non presenta accentuati scostamenti dalle fattispecie socialmente tipizzate – che ha per scopo comune la creazione di un rischio e il cui oggetto è rappresentato dalle alee bilaterali e reciproche[71]. La qualificazione dei derivati, ad opera dei giudici milanesi,  come “scommesse autorizzate” ha aperto le porte ad una nozione ampia di nullità del contratto per carenza genetica di causa.

Sulla questione, l’anno dopo, si pronunciò il Tribunale di Torino[72], il quale dà la sua definizione di swap: “un contratto nominato ma atipico in quanto privo di disciplina legislativa (ovvero solo socialmente tipico), a termine, consensuale, oneroso e aleatorio” la cui funzione economica consiste “nella copertura di un rischio mediante un contratto aleatorio con la finalità di depotenziare le incertezze connesse ai costi dei finanziamenti oppure, in assenza di un rischio da cui cautelarsi, in una sorta di scommessa che due operatori contraggono in ordine all’andamento futuro dei tassi d’interesse”. In tale sentenza,  i giudici, riprendendo l’orientamento milanese (ma conservando un margine di originalità) tracciano i confini del derivato, affinché questo possa dirsi    conforme alla legge: non deve porre costi impliciti a carico del cliente, non deve avere un mark to market negativo all’inizio dell’operazione, ovvero, nel caso di m2m negativo la banca deve comunque versare un up front di corrispondente importo e deve presentare un’alea ben comprensibile dal cliente.

I giudici torinesi ripercorrono il solco tracciato dalla Corte d’appello di Milano là dove affermano la necessità di un’opportuna consapevolezza, da parte del cliente, del rischio che si accinge ad assumere stipulando uno swap. Sebbene per il nostro ordinamento sia possibile legittimare rapporti “squilibrati”, non è accettabile che uno schema negoziale presenti delle alee di cui un contraente non sia consapevole. Consapevolezza che si ha nel momento in cui, previamente alla stipula del contratto, la banca comunichi il mark to market al cliente (a maggior ragione se esso è negativo). La novità di questa sentenza, rispetto alla sua antecedente, attiene al concetto di “causa concreta”. I giudici di Milano, infatti, parlavano di “causa del contratto” in senso ampio e generale facendovi rientrare qualsiasi tipologia di swap; la mancata consapevolezza dell’alea assunta produce la nullità del negozio per carenza genetica di “causa”, a prescindere dalla natura del derivato. Viceversa, la giurisprudenza torinese, riprende un filone già percorso da altri Tribunali di merito[73] distinguendo la “causa in astratto” dalla “causa concreta”; secondo quest’ultimi sarà necessario compiere un’accurata indagine per individuare la “causa concreta”, ossia il risultato economico voluto dalle parti[74]. Così facendo, il Tribunale di Torino, ha dichiarato nullo lo swap per carenza di “causa in concreto”.

Un’altra interessante pronuncia, ad opera dei giudici del Tribunale di Milano[75], prende posizione in ordine alla nozioni di contratto derivato e di Mark to market. La vicenda riguarda dei contratti di swap più volte rinegoziati, il cui valore negativo di m2m era stato incorporato nel nuovo contratto sotto forma di up front. La parte lesa chiedeva la ripetizione di tutti i differenziali negativi generati dal derivato puntando sulla mancanza di “causa concreta” ( sul solco dell’indirizzo inaugurato nel settembre del 2013). Il Tribunale affermò che il contratto si caratterizza per la sua natura aleatoria (“una scommessa legalmente autorizzata a fronte di un interesse meritevole di disciplina”) precisando che detta natura non costituisce prerogativa esclusiva dei derivati aventi carattere speculativo ma si confà anche a quelli di copertura. Il giudice pertanto esclude che uno squilibrio tra le alee assunte dai due contraenti possa inficiare la validità del derivato “purché ciascuna delle parti, scommettendo, si assuma un grado (anche sbilanciato) di rischio: un investitore può anche assumersi un forte rischio al fine di tentare di avere un forte vantaggio e solo in casi limite si potrà arrivare a dire che il contratto non è aleatorio, quando cioè al rischio dell’uno non corrisponda il rischio dell’altro” (pg. 17 del provvedimento). Delimitato il rischio, il Tribunale si spinge in un’analisi della funzione che l’elemento m2m riveste nell’economia del sinallagma contrattuale considerato[76]. Per quanto riguarda quest’ultimo, affinché si possa qualificare come determinabile, deve essere esplicitata nel contratto di swap la formula matematica a cui le parti possano riferirsi al fine di procedere “all’attualizzazione dei flussi finanziari futuri attendibili in forza dello scenario esistente”. Inoltre, essendo elemento essenziale del contratto (è “l’oggetto stesso del contratto”), una sua eventuale indeterminabilità condurrà alla nullità della relativa clausola con l’estensione dell’invalidità all’intero negozio (art. 1418 c.c.).

Questa pronuncia crea un solco di discontinuità nella giurisprudenza di settore, poiché, per la prima volta, attribuisce all’oggetto del contratto di swap quella rilevanza decisiva (ai fini dell’accoglimento dell’azione di nullità), che fino a quel punto la giurisprudenza attribuiva al distinto elemento della causa del negozio[77].

 [1] La dottrina statunitense fa risalire, con una forzatura, il primo esempio di contratto derivato nella Bibbia (Genesi,29) e quindi secondo tradizione 1700 anni prima di cristo. D.M. Chance, A Chronology of derivatives, in 2 Derivatives Quarterly, 1995, 53 – 60; W.F. Sharpe., Investments, New Jersey, 1985; E.J. Swan, Building the Global Market: a 4000 Year History of Derivatives, Londra, 2000. La storia ci mostra altri esempi di derivati nei millenni successivi.

[2] U. Patroni Griffi, I contratti derivati: nozione, tipologia e peculiarità del contenzioso, in Riv. dir. banc., dirittobancario.it, 23, 2012, p.3.

[3] Secondo la dottrina maggioritaria, il contratto derivato non “genera” ma è esso stesso il derivato, pertanto esso non disciplina lo strumento finanziario ma lo rappresenta; sul punto v. E. Girino, I Contratti Derivati, in Il Diritto Privato Oggi, a cura di P. Cendon, Milano, p. 11 e ss.

[4] Cass. Civ., 8 maggio 2014, n. 9996, in Nuova giu. civ. comm., 2014, I, p. 1099 ss.

[5] D. Maffeis, La causa del contratto di interest rate swap e i costi impliciti, in Riv. dir. banc., 3, 2013, p. 2.

[6] A. Zuccarello, In nota alla recente giurisprudenza in materia di contratti derivati: il concetto di “alea razionale” quale criterio di valutazione della validità della causa, in Riv. dir. banc., 8, 2014, p. 2.

[7] P. Corrias, Garanzia pura e contratti di rischio, in Il diritto della banca e della borsa, Milano, Giuffrè, 2006, p. 277.

[8] Cass. Civ., 6 aprile 2001, n. 5114, in Corr. giur., 2001, p. 1062 ss.

[9] Cass. Civ., Sez. I, 19 maggio 2005, n. 10598.

[10] V. Sangiovanni, I contratti di swap, in Contratti, 2009, p. 1135.

[11] Corte Cost., 18 febbraio 2010, n. 52.

[12] D. Maffeis, Alea giuridica e calcolo del rischio nella scommessa legalmente autorizzata di swap, in Riv. Dir. Civ., 2016, p. 1098.

[13] Cass. Civ., 6 aprile 2001, n. 5114, in Corr. giur., 2001, p. 1062 ss., con nota di Mariconda; in Foro.it, 2001, p. 2185 ss., con note di Catalano e di Filograna.

[14] Cass. Civ., 15 marzo 2001, n. 3753, in Giur. it., 2001, p. 2083 ss e Cass. Civ., 7 marzo 2001, n. 3272.

[15] V. Sangiovanni, I contratti di swap, cit., p. 1135.

[16] Indagine condotta da “Multifinanziaria Retail Market insieme con Osservatorio su ‘L’approccio alla finanza e agli investimenti delle famiglie italiane‘ (GfK Eurisko)”.

[17] LaRepubblica (2016), L’investitore italiano non ha cultura finanziaria e non capisce i mercati, Roma, 13 settembre 2016, www.larepubblica.it.

[18] R. Di Raimo, Autonomia privata e dinamiche del consenso, in Quaderni della rassegna, Napoli, 2003, p. 63.

[19] S. Guadagno, Violazione degli obblighi di informazione nell’attività di intermediazione finanziaria: quali rimedi? Nota   a Trib. Firenze, 21.06.2006, in Nuova Giur. Civ. Comm., 2007, p. 545 ss.

[20] Trib. Monza, 27.07.2004, in Resp. Civ. e prev., 2005; Trib. Ferrara, 25.02.2005, in Contratti, 2006.

[21] Cass. Civ., Sez. I, 10 aprile 2014, n. 8642.

[22] F. Girinelli, I doveri informativi degli intermediari finanziari: la linea di confine tra invalidità e responsabilità., in Diritto.it, 2015, pp. 1-3.

[23] F. Greco, Informazione pre-contrattuale e rimedi nella disciplina dell’intermediazione finanziaria, Milano, Giuffrè, 2010, p. 61.

[24]  F. Greco, op. ul. cit., p. 50; D. Maffeis, La natura e la struttura dei contratti di investimento, in www.ilcaso.it e Riv. Crit. Dir. Pri, 3, 2009, p. 2; P. Fiorio, La non adeguatezza delle operazioni di investimento tra nuova e vecchia disciplina, in Banche, consumatori e tutela del risparmio: servizi di investimento, market abuse e rapporti bancari, Milano, Giuffrè, 2009, p. 169.

[25] Art. 2, comma 2 Regolamento Consob: “Gli intermediari possono presumere che un cliente professionale abbia il livello di esperienza e conoscenza necessario per comprendere i rischi connessi ai servizi di investimento o alle operazioni o ai tipi di operazioni o strumenti per i quali il cliente è classificato come professionale”.

[26] Trib. Milano 13 maggio 2016, n. 6001, in www.ilcaso.it dichiara nulli due contratti di collar swap che non esplicitavano i c.d. costi impliciti, e così il valore probabilistico originario. In motivazione, vi sono due snodi argomentativi entrambi condivisibili. Il primo è che l’intermediario ha diritto al compenso per l’attività prestata nella predisposizione e nella negoziazione dei contratti (“fuoriesce da qualsiasi logica commerciale ipotizzare prodotti finanziari predisposti e perfezionati da società commerciali, senza che ci sia alcun margine di utilità per queste ultime”), il secondo – in linea con quanto esposto nel testo – è che è infondato che si “affronti(…) la questione esclusivamente sotto il profilo informativo, ossia in termini di esplicitazione del costo; prima ancora (…) nella dimensione genetica del rapporto, si pone il problema di verificare se su tale elemento essenziale del contratto [il costo per il cliente, il margine di utilità dell’intermediario] si sia formata una consapevole concorde volontà negoziale delle parti”. Naturalmente, i costi impliciti sono un problema se manca l’accordo originario sul mark to market perché, se l’accordo sul mark to market c’è , i costi sono compresi nel valore finanziario e, pertanto, non sono impliciti. L’investitore ignora se ed in quale misura le probabilità a vantaggio dell’intermediario sono giustificate dai costi impliciti, ma, non trattandosi di uno scambio, bensì di una scommessa, è fisiologico che la remunerazione dello scommettitore che ha predisposto la scommessa sia ricompresa nella distribuzione del rischio (ampiamente D. Maffeis, Homo oeconomicus, homo ludens: l’incontrastabile ascesa della variante aliena di un tipo marginale, la scommessa legalmente autorizzata (art. 1935 c.c.), in Contratto e impr., 2014, p. 856; in D. Maffeis, Alea giuridica e calcolo del rischio nella scommessa legalmente autorizzata di swap, cit., p. 1103.

[27] La Corte di Cassazione  osserva che «ogni investitore razionale è avverso al rischio, sicché il medesimo, a parità di rendimento, sceglierà l’investimento meno aleatorio ed, a parità  di alea, quello più  redditizio, se non si asterrà perfino dal compiere l’operazione, ove l’alea dovesse superare la sua propensione al rischio (ed) essendo le informazioni finanziarie complesse e costose, nei rapporti di intermediazione finanziaria le imprese di investimento posseggono frammenti informativi diversi e superiori rispetto a quelli a disposizione degli investitori, o da essi acquisibili». Cosı` Cass. Civ., 26 gennaio 2016, n. 1376, in www.plurisdata.it. Nella giurisprudenza di merito, evidenzia la mancanza di “ogni genere di informativa (…) sull’ammontare delle perdite che lo stesso “incorporava”, singolarmente o in combinazione con altri contratti di ristrutturazione, e sulle commissioni trattenute dalla banca” in un caso in cui i contratti derivati su valute erano stati rinegoziati decine e decine di volte, generando un aumento del delta negativo dei differenziali, Trib. Bari 18 maggio 2016, n. 2719, inedita. In dottrina, evidenzia il dovere di buona fede oggettiva di informare il cliente «sui termini esatti della speculazione e sulla probabilità di aggiudicarsela» A.A. Dolmetta, Di derivati impliciti e di derivati apparenti, in dirittobancario.it, 2016,5.

[28] F. Greco, Informazione pre-contrattuale e rimedi nella disciplina dell’intermediazione finanziaria, cit., p. 60

[29] Sul punto cfr. V. Piccinini, Le regole generali di comportamento degli intermediari autorizzati. I principi di lealtà, buona fede e correttezza nella gestione del risparmio, in Ambrosini- De Marchi (a cura di), Banche, consumatori e tutela del risparmio, Milano, Giuffrè, p. 117; Grisi Negoziazione telematica, informazione e recesso, in Palazzo-Ruffolo  (a cura di), La tutela del navigatore in internet, Milano, Giuffrè, p. 132, il quale rileva che “le forme assunte dalla moderna contrattazione, peraltro, sempre più evidenziano l’esigenza di poter disporre di strumenti di razionalizzazione complessiva delle operazioni contrattuali e, l’impiego generale della clausola della buona fede si rivela di grande utilità per tale fine”.

[30] In giurisprudenza da ultimo Trib. Milano 9 marzo 2016, in www.dirittobancario.it che richiede per la validità del contratto l’accordo originario sul valore finanziario (mark to market) ed il metodo di calcolo del valore. Rinvio a D. Maffeis, Alea giuridica e calcolo del rischio nella scommessa legalmente autorizzata di swap, cit., p. 1106.

[31] La Corte di cassazione argomenta in chiave di informazione e responsabilità e conosce la responsabilità dell’intermediario quando “l’investitore abbia effettuato l’operazione sostanzialmente “alla cieca”» perché osserva che «ciò che si chiede all’intermediario finanziario non è di prevedere il futuro, ma di porre in condizioni l’investitore di effettuare scelte consapevoli, avendo cioè a disposizione dati adeguati a formarsi un convincimento sulla convenienza e sicurezza dell’operazione. Alla base della complessiva finalità della previsione dettata in tema di obblighi informativi dell’intermediario finanziario – ha di recente osservato questa Corte – sta, invero, la considerazione secondo cui ogni investitore razionale è  avverso al rischio, sicché il medesimo, a parità di rendimento, sceglierà l’investimento meno aleatorio e, a parità di alea, quello più redditizio, se non si asterrà perfino dal compiere l’operazione, ove l’alea dovesse superare la sua propensione al rischio” (Cass. Civ., 3 giugno 2016, n. 11466, in www.plurisdata.it).

[32] D. Maffeis, Alea giuridica e calcolo del rischio nella scommessa legalmente autorizzata di swap, cit., p. 1112.

[33] Cfr. A. Antonucci, Fra opacità e regole tossiche: il ruolo degli scenari probabilistici. Scritto per il Convegno «Salvataggio bancario e tutela del risparmio», in Riv. dir. banc., dirittobancario.it, 6, 2016.

[34] D. Maffeis, Alea giuridica e calcolo del rischio nella scommessa legalmente autorizzata di swap, cit., p. 1116.

[35] Rinvio a D. Maffeis, La natura e la struttura dei contratti di investimento, in Riv. dir. priv., 2009, p. 75 ss. In giurisprudenza, Trib. Milano 4 settembre 2015, n. 9910, in www.ilcaso.it argomenta che “le scelte di investimento sono frutto di determinazioni individuali che prescindono” dalla “capacità patrimoniale”, “ben potendo (…) un investitore con un modesto patrimonio e scarse conoscenze, avere un profilo di rischio alto ed un obiettivo di investimento speculativo”.

[36] Cass. Civ., sez. un., 6 maggio 2016, n. 9140, cit., p. 16 della motivazione.

[37] App. Torino 22 aprile 2016, n. 654, in www.dirittobancario.it argomenta in motivazione che “è inscindibile, in vista del riscontro di una causa concreta, la consapevolezza di tutte le connotazioni dello swap in capo al cliente. Incide sulla causa concreta sottostante al negozio giuridico l’occultamento di un valore negativo per il cliente stesso: la “causale” del contratto risulta sfalsata a livello obiettivo, in quanto comporta uno squilibrio, squilibrio non conosciuto e quindi rapportabile ad una falsa cognizione in capo al cliente della funzione stessa del contratto specifico»; soggiunge la Corte che vi è “impossibilità di verificare una causale concreta del particolare meccanismo negoziale se non congiunta ad una consapevolezza totale del cliente”. In senso opposto, App. Milano 3 marzo 2016, n. 858, in www.dirittobancario.it, secondo cui, se è consapevole che il contratto di swap è aleatorio, tanto basta, è irrilevante che il cliente conosca la misura del rischio, tanto sotto il profilo della validità del contratto, quanto sotto il profilo della responsabilità dell’intermediario.

[38] Cass. Civ., 22 aprile 2016, n. 8209, in www.plurisdata.it.

[39] D. Maffeis, Alea giuridica e calcolo del rischio nella scommessa legalmente autorizzata di swap, cit., p. 1109

[40] L. Pontiroli, P. Duvia, Il formalismo nei contratti dell’intermediazione finanziaria e il recepimento della mifid, in Giur. Comm., 2008, l., p. 151.

[41] E. Poillot, Droit européen de la consommation et uniformisation du droit des contrats, Paris, 2006, p. 103 ss. dal quale emerge che nonostante molte direttive prevedano requisiti di forma scritta, ciò non basti per affermare che la regola di validità dell’atto dipenda dall’osservanza del requisito formale, essendo quest’ultimo diretto al rafforzamento dell’informazione

[42] V. Roppo, L’informazione precontrattuale: spunti di diritto italiano e prospettive di diritto europeo, in Riv. Dir. Pri., 2004, p. 747 ss.

[43] Così A. Gentili, Disinformazione e invalidità: i contratti di intermediazione dopo le Sezioni Unite, in I contratti, 2008, n.4, p. 393 ss.

[44] F. Girinelli, I doveri informativi degli intermediari finanziari: la linea di confine tra invalidità e responsabilità., cit., p. 4

[45] Così Trib. Mantova, 18.03.2004, in Banca, borsa, tit. cred., 2004, II, p. 440 ss; Trib. Venezia, 22.11.2005, in Giur. 7 Comm., 2005, p. 489 ss; Trib. Palermo, 17.1.2005, in Giur. it., 2005, p. 2096 ss;

[46] Così Trib. Milano, 11 maggio 2005, n. 6093: laddove si dimostri che il consenso è stato viziato da errore essenziale nonché riconoscibile da parte dell’intermediario, il contratto può essere senz’altro annullato; Trib. Parma, 16 giugno 2005.

[47] V. Roppo, G. Afferni, Dai contratti finanziari al contratto in genere: punti fermi della Cassazione su nullità virtuale e responsabilità precontrattuale, in Danno e responsabilità, 2006, 1, p. 33: il risarcimento del danno per responsabilità precontrattuale non solo può essere chiesto quando la condotta illecita o sleale di controparte non sia stata tale da determinare l’invalidità del contratto, ma anche quando la vittima, nel caso di contratto solo annullabile, non voglia avvalersi di questo rimedio ovvero non possa più farlo, a causa della prescrizione dell’azione di annullamento o della convalida del contratto; Cass. Civ. Sez. I, 29 settembre 2005, n. 19024: l’esame delle norme positivamente dettate dal Legislatore pone in evidenza che la violazione dell’art. 1337 c.c. assume rilievo non solo nel caso di rottura ingiustificata delle trattative o di conclusione di un contratto invalido o comunque inefficace, ma anche quando il contratto posto in essere sia valido e tuttavia pregiudizievole per la parte vittima del comportamento scorretto (art. 1440 c.c.).

48 V. Sangiovanni, Commento a Cass. Civ. Sez. Un. 19 dicembre 2007, n. 26724, in I contratti, 2008, 3, p. 233: l’art. 1418, co. 3, c.c. stabilisce che il contratto è nullo negli altri casi previsti dalla legge. La corte osserva però che non vi è una norma che stabilisca espressamente che la violazione delle norme di comportamento degli intermediari determina la nullità del contratto.

49 F. Girinelli, I doveri informativi degli intermediari finanziari: la linea di confine tra invalidità e responsabilità., cit., p. 8; così Mariconda, L’insegnamento delle Sezioni Unite sulla rilevanza della distinzione tra norme di comportamento e 16norme di validità, in Corriere Giuridico, 2008, 2, p. 233: la corte esclude che la violazione dei doveri di comportamento dell’intermediario possa originare una nullità riconducibile al secondo comma dell’art. 1418 c.c., che come noto costituisce il riflesso negativo dei requisiti essenziali del contratto, la cui mancanza ovvero, quanto all’oggetto ed alla causa, la cui illiceità determina a sua volta la nullità del contratto. Al più, l’esistenza di vizi del consenso potrebbe tradursi nella annullabilità del contratto quadro.

[50] F. Girinelli, I doveri informativi degli intermediari finanziari: la linea di confine tra invalidità e responsabilità., cit., p. 14

[51] Mis-selling is the deliberate, reckless, or negligent sale of products or services in circumstances where the contract is either misrepresented, or the product or service is unsuitable for the customer’s needs.

[52] M. Chiamenti, MiFID II, un decalogo e uno schema per capirci un po’ di più., in professionefinanza.com, 2014.

[53] cfr. Gilotta, In tema di interest rate swap, in Giur. comm., 2007, II, p. 140 ss.

[54] V. Sangiovanni, I contratti di swap, cit., p. 1137

[55] In questa direzione Trib. Lanciano, 6 dicembre 2005, in Giur. comm., 2007, II, 131 ss., con nota di Gilotta

[56] Trib. Roma, 18 luglio 2016, n. 14375, inedita, dichiara nullo un contratto di swap ed osserva in motivazione che la fattispecie del “derivato a copertura” può dubitarsi che “sia effettivamente configurabile”.

[57] Cass. 31 marzo 2016, n. 6255, in www.plurisdata.it ha statuito che “l’azione di regresso prevista dal D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 195, comma 9, nei confronti del responsabile (è) predisposta dall’ordinamento a presidio di un interesse generale, come quello alla trasparenza del mercato finanziario, come tale inderogabile, stante la ratio sottesa a tale azione, volta nel contempo a tutelare – è bene rimarcarlo – pure l’interesse al risparmio, a copertura costituzionale, perché incoraggiato in tutte le sue forme anche attraverso la disciplina, il coordinamento e il controllo dell’esercizio del credito (art. 47 Cost.)”.

[58] V. Sangiovanni, I contratti di swap, cit., p. 1138

[59] P. Corrias, Il problema dell’onerosità-gratuità nel contratto, cit., p. 66 ss; secondo il legislatore il contratto è aleatorio non solo quando siano incerti –al momento della conclusione del contratto- l’an e il quantum  ma anche quando sia impossibile stabilire il valore delle prestazioni, proprio perché incerte.

[60] R. Sacco, Il contratto, a cura di R. Sacco e G. De Nova, tomo II, Torino, Giappichelli, 2004, p. 605: “la limitazione che risulta dalla lettera dell’art. 1448 è irrazionale”  perché “anche attraverso un contratto aleatorio si può perfezionare una lesione, quando il valore della prestazione dedotta in modo aleatorio, moltiplicata per il coefficiente del rischio, sia superiore o inferiore al valore della controprestazione (così ad esempio se si conchiudesse un contratto di assicurazione con premi cinque volte maggiori quelli correnti)”.

[61] D. Maffeis, Alea giuridica e calcolo del rischio nella scommessa legalmente autorizzata di swap, cit., p. 1119.

[62] D. Maffeis, op. ul. cit., p. 1119.

[63] In questo ordine di idee G. Mirabelli, La rescissione del contratto, Napoli, 1962, p. 288.

[64] D. Maffeis, Alea giuridica e calcolo del rischio nella scommessa legalmente autorizzata di swap, cit. p. 1121

[65] Art. 1933 c.c. “non compete azione per il pagamento di un debito di giuoco o scommessa, anche se si tratta di giuoco o di scommessa non proibiti”. Il legislatore ha voluto distinguere tra gioco (che non attribuisce azione in giudizio) e contratti derivati (che danno vita a tutela processuale). Tale distinzione si giustifica per il fatto che il gioco non svolge una funzione economica meritevole di tutela.

[66] Cass. Civ., 17 febbraio 2009, n. 3773, in Danno resp., 2009, p. 503 ss., con nota di V. Sangiovanni.

[67] Cass. Civ., 19 dicembre 2007, nn. 26724 e 26725, in questa Rivista, 2008, p. 221 ss., con nota di V. Sangiovanni; in Corr. giur., 2008, 223 ss., con nota di Mariconda; in Danno resp., 2008, 525 ss., con note di Roppo e di Bonaccorsi.

[68] Sentenza del Trib. di Salerno del 2 maggio 2013, di Ravenna dell’8 luglio 2013 e di Torino del 17 gennaio 2014; App. di Trento del 3 maggio 2013; App.di Milano n. 3459 del 18 settembre 2013.

[69] A. Zuccarello, In nota alla recente giurisprudenza in materia di contratti derivati: il concetto di “alea razionale” quale criterio di valutazione della validità della causa, cit., p. 7.

[70] La Suprema Corte – Cass. Civ., Sez. III, 8 maggio 2006, n. 10490-  ha evidenziato la giustapposizione di un concetto di causa come “funzione economico sociale” del contratto – secondo un approccio ermeneutico, peraltro, di tipo “astratto” che convive, distinguendosi e armonizzandosi, con il concetto di “causa del contratto come strumento di controllo della sua utilità sociale, […] in termini di sintesi degli interessi reali che il contratto stesso è diretto a realizzare (al di là del modello, anche tipico, adoperato). Sintesi (e dunque ragione concreta) della dinamica contrattuale, si badi, e non anche della volontà delle parti. Causa, dunque, ancora iscritta nell’orbita della dimensione funzionale dell’atto, ma, questa volta, funzione individuale del singolo, specifico contratto posto in essere, a prescindere dal relativo stereotipo astratto, seguendo un iter evolutivo del concetto di funzione economico-sociale del negozio che, muovendo dalla cristallizzazione normativa dei vari tipi contrattuali, si volga al fine a cogliere l’uso che di ciascuno di essi hanno inteso compiere i contraenti adottando quella determinata, specifica (a suo modo unica) convenzione negoziale”.

[71] D. Maffeis, La causa del contratto di interest rate swap e i costi impliciti, in Riv. dir. banc., dirittobancario.it, 3, 2013, p. 3.

[72] Trib. Civile di Torino 17 gennaio 2014, I^ sez., est. Martinat, pubblicata su Il Caso.it, sez. Giurisprudenza, n. 9949.

[73] Ex multis, App. di Trento, sentenza n. 141 del 2013; Trib. di Bari, ordinanza del 15.7.2010, ibidem.

[74] Trib. di Torino (sent. 9949 del 17 gennaio 2014): “la causa quale elemento essenziale del contratto non deve essere intesa come mera ed astratta funzione economico sociale del negozio bensì come sintesi degli interessi reali che il contratto è diretto a realizzare e cioè come funzione individuale del singolo, specifico contratto, a prescindere dal singolo stereotipo contrattuale astratto”.

[75] Trib. di Milano, VI^ sez. civile, giudice monocratico dott. Ferrari, sentenza n. 7398 del 16 giugno 2015, pubblicata su www.ilcaso.it, sez. Giurisprudenza, n. 12916.

[76] Trib. Milano, sen. ul. cit.:“il Mark to Market, quale sommatoria attualizzata dei differenziali futuri attesi sulla base delle condizioni dell’indice di riferimento al momento della sua quantificazione, ovviamente presuppone il richiamo al tasso di interesse ma necessita altresì di essere sviluppato attraverso un conteggio che, mediante il ricorso a differenti formule matematiche, consenta di procedere all’attualizzazione dello sviluppo prognostico del contratto sulla base dello scenario esistente al momento del calcolo del m2m”.

[77] cfr. Trib. di Orvieto, ordinanza del 12 aprile 2012; App. di Trento, n. 141, sentenza del 3 maggio 2013, ibidem; App. di Milano, I^ sez. civile, sentenza n. 3459 del 18 settembre.2013, ibidem.

Dott. Lecci Michael

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