Nessuna proroga, per il 2023, della temporanea abrogazione del contributo integrativo minimo a carico degli iscritti a Cassa Forense, che, entro il 31 dicembre, dovranno procedere al pagamento dell’importo di 805 Euro. Lo ha sentenziato il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione V, n. 18854 del 13 dicembre 2023).
Indice
- 1. La delibera della proroga dell’abrogazione temporanea del contributo minimo
- 2. L’impugnazione della mancata approvazione della delibera
- 3. Questione di tempi
- 4. I bilanci squilibrati
- 5. I rilievi del MEF
- 6. La tesi della mera proroga
- 7. Il potere di vigilanza
- 8. Importo e deadline
- 9. Riduzioni ed esoneri
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1. La delibera della proroga dell’abrogazione temporanea del contributo minimo
Cassa Forense si era rivolta al TAR esponendo che con delibera del 16 settembre 2022, il Comitato dei delegati della medesima Cassa ha deliberato “di prorogare, anche per l’anno 2023, la temporanea abrogazione del contributo integrativo minimo a carico degli iscritti, fermo restando il pagamento del contributo integrativo nella misura del 4% sull’effettivo volume d’affari IVA dichiarato”. La Cassa riferisce che anche la relazione di accompagnamento rileva che quella deliberata costituisce una “mera proroga” della temporanea soppressione del contributo integrativo minimo già prevista nel Regolamento unico della Previdenza, proroga giustificata anche in ragione della necessità di “armonizzare la materia a quanto previsto nella riforma previdenziale approvata dal Comitato dei delegati nella seduta del 28 ottobre 2022, la cui entrata in vigore prevedibile sarà il 1° gennaio 2024”.
2. L’impugnazione della mancata approvazione della delibera
La ricorrente impugna la nota prot. 1509/2023, avente a oggetto “Delibera n. 24 adottata dal Comitato dei Delegati in data 16 settembre 2022 recante esonero contributo minimo integrativo: estensione al 2023”, con la quale il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali ha comunicato la mancata approvazione della delibera della Cassa da parte dei Ministeri vigilanti. La nota rappresenta che sulla delibera si sono espressi anche il Ministero dell’Economia e delle Finanze e quello della Giustizia, e conclude affermando che, “per tutte le considerazioni esposte, di concerto con il covigilante Dicastero dell’economia e delle finanze, si ritiene che il provvedimento in esame non possa essere approvato ai sensi dell’art. 3, comma 2, del D. Lgs. n. 509/1994. Codesta Cassa dovrà pertanto procedere alla riscossione del contributo integrativo minimo, da rivalutarsi ai sensi dell’art. 21 del Regolamento”.
3. Questione di tempi
La deliberazione in parola, come precisato da Cassa Forense “si è resa necessaria per armonizzare la materia con quanto previsto nella riforma previdenziale approvata dal Comitato dei Delegati nella seduta del 28 ottobre 2022”, la quale tuttavia è stata trasmessa ai Ministeri vigilanti solo nel febbraio 2023 ed è tuttora in istruttoria. Per tale ragione, il Ministero del lavoro ha ritenuto di rappresentare, nella nota impugnata n. 1509 del 13.2.2023, che la riforma previdenziale – in ragione della quale la Cassa Forense ha proposto l’esenzione dal versamento del contributo integrativo minimo per il 2023 – potrebbe non entrare in vigore in tempo utile rispetto alla decorrenza ipotizzata per la misura proposta e che, come evidenziato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, laddove fosse attuata nel 2023, determinerebbe “effetti negativi sui saldi di finanza pubblica in termini di minori entrate contributive considerato che gli Enti nazionali di previdenza e assistenza, ancorché organizzati e operanti in regime di diritto privato, sono ricompresi nell’elenco delle Amministrazioni pubbliche (lista S13) definito dall’ISTAT”.
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4. I bilanci squilibrati
Nel rigettare il ricorso formulato da Cassa Forense, il TAR osserva che nel provvedimento impugnato si dà primariamente atto che le Amministrazioni vigilanti hanno rilevato che il bilancio attuariale al 31 dicembre 2020 a normativa vigente, trasmesso ai fini della prevista verifica triennale di sostenibilità ai sensi del d. lgs. n. 509/1994, mostrava una situazione di squilibrio prospettico della gestione nel lungo periodo, “… laddove il saldo previdenziale (differenza fra entrate per contributi e uscite per prestazioni previdenziali) assume valore negativo a partire dall’anno 2041, mentre il saldo totale (differenza fra entrate e uscite totali) assume valore negativo a partire dall’anno 2049 fino alla fine del cinquantennio di previsione. In merito, il Ministero dell’economia rileva che “anche qualora la stima della “contrazione degli accantonamenti patrimoniali” risultasse “di scarso rilievo sulla stabilità di Cassa Forense” (come segnalato nella nota tecnica), nel regime della ripartizione, questa avrebbe comunque effetti negativi e peggiorativi nei confronti della gestione di più breve periodo, atteso che comunque la contestuale spesa pensionistica resterebbe invariata”.
Tale rilievo, a dir del TAR, smentisce che con la nota impugnata i Ministeri vigilanti avrebbero riduttivamente valutato la misura ritenendo erroneamente che essa fosse giustificata dalla Cassa soltanto con la necessità di armonizzarla con quanto previsto nella riforma previdenziale approvata dal Comitato dei delegati nella seduta del 28 ottobre 2022. E’ stata la Cassa a prospettare come la richiesta di proroga della esenzione del contributo integrativo per il 2023 risulti “giustificata anche in ragione della necessità di armonizzare la materia con quanto previsto nella riforma previdenziale approvata dal Comitato dei Delegati nella seduta del 28 ottobre 2022, la cui entrata in vigore è prevista per il 1 gennaio 2024”, sicché avere anche considerato tale aspetto non può costituire un vizio del provvedimento impugnato.
5. I rilievi del MEF
Per il TAR è ragionevole il rilievo del MEF secondo il quale “attesa anche la complessità e la rilevanza di un simile provvedimento, appare poco prudente e inopportuno sospendere, nelle more dell’approvazione dello stesso, la riscossione della misura minima del contributo integrativo”, evidenziando che laddove infatti “la riforma non dovesse entrare in vigore nei tempi auspicati, reiterando la medesima logica alla base del provvedimento in esame, si renderebbe necessaria una nuova delibera di sospensione del pagamento del contributo integrativo minimo, con ulteriore evidente peggioramento dell’equilibrio gestionale del relativo anno”.
6. La tesi della mera proroga
Pure la tesi sostenuta in ricorso, secondo cui l’esenzione dal versamento del contributo integrativo minimo rappresenterebbe una mera “proroga di un provvedimento già in essere”, che sarebbe “sostenuta dalle medesime ragioni che ne fondavano l’originaria introduzione”, è stata ritenuta infondata: la circostanza che le Amministrazioni vigilanti abbiano in un primo tempo consentito l’adozione di una misura ad alto impatto finanziario quale è l’esenzione dal versamento del contributo integrativo minimo per il quinquennio 2017-2022, non può comportare che i Ministeri siano acriticamente tenuti, mercé una sorta di automatismo, ad approvare successive proroghe della misura ancorché fondate sulla medesima ratio, salvo lo svuotamento delle funzioni ad essi riservate dalla legge, rendendosi non solo necessaria, ma anzi indispensabile, un’accurata indagine sulla sussistenza di condizioni e presupposti. Al riguardo, secondo il TAR, la valutazione sull’impatto finanziario deve essere condotta dai Ministeri vigilanti ex novo sulla base delle risultanze attuali relative all’annualità di riferimento non assumendo alcun rilievo elementi analizzati in relazione ad altre annualità e, in ogni caso, non più attuali.
7. Il potere di vigilanza
Col secondo motivo di ricorso la Cassa aveva dedotto l’esistenza di vizi relativi all’illegittimo esercizio del potere di vigilanza, che si traducono in sostanza nella erronea rilevazione, nell’atto approvativo della deliberazione dell’ente previdenziale privatizzato, di presunti profili di illegittimità idonei ad incidere sull’attività istituzionale di rilevanza pubblicistica da esso svolta, e per la tutela dei quali è attribuito alle autorità ministeriali il già menzionato potere di vigilanza. In realtà la vigilanza ministeriale e l’intero sistema dei controlli amministrativi cui è soggetta la Cassa Forense, in dipendenza dell’inalterato carattere pubblicistico dell’attività istituzionale di previdenza ed assistenza da essa svolta, devono perseguire il fine di assicurare la miglior gestione dell’Ente e la migliore erogazione delle prestazioni in favore degli iscritti, sicché costituiscono strumenti per evitare che l’esercizio non corretto dell’autonomia pregiudichi il raggiungimento dei fini istituzionali di rilievo pubblicistico. In tale contesto, nel rispetto dell’autonomia delle Casse, le Amministrazioni vigilanti, rammenta il TAR Lazio, ben possono svolgere un’attività di vigilanza pregnante e diretta, ove necessario, a orientare le scelte della Cassa onde assicurare l’equilibrio finanziario e la tutela di interessi primari.
8. Importo e deadline
Il contributo minimo, pari a 805,00, con scadenza 31.12.2023, sarà posto in riscossione da martedì 19.12.2023 tramite PagoPa.
9. Riduzioni ed esoneri
Gli avvocati per cui il 2023 è ricompreso nei primi 5 anni di iscrizione all’albo, sono esonerati dal contributo minimo integrativo e verseranno il 4% col modello 5/2024, mentre quelli iscritti alla cassa ove il 2023 sia ricompreso fra il 6° e 9° anno e per i quali l’iscrizione all’albo sia avvenuta prima dei 35 anni anagrafici, dovranno versare metà del contributo minimo integrativo, pari a € 402,50. Gli avvocati per cui il 2023 rappresenta il 10 anno o superiore di iscrizione cassa sono tenuti al pagamento dell’intero contributo minimo integrativo € 805,00. Sono esonerati:
- i praticanti iscritti alla cassa per l’intero il periodo di praticantato;
- i pensionati di vecchiaia che hanno maturato il trattamento pensionistico nel 2022.
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