Massima:
La convalida tacita del contratti di cui all’articolo 1444, secondo comma, c.c. non è integrata dalla mera richiesta, formulata dalla parte che avrebbe titolo a domandare l’annullamento, di eliminazione della situazione costituente l’oggetto del vizio del suo consenso (nella specie errore essenziale e riconoscibile sulla libertà da vincoli dell’immobile locato, invece assoggettato ad espropriazione forzata in fattispecie nella quale il conduttore non avrebbe potuto opporre la locazione all’eventuale aggiudicatario).
La sentenza affronta il caso di due società che stipulano un contratto di locazione, per una durata di 5 anni, avente ad oggetto una villa da destinare ad uso foresteria di dirigenti d’azienda. Tale villa, però, è assoggettata ad espropriazione forzata. La società conduttrice contesta al locatore di essere stato gravemente inadempiente perché gli ha nascosto tale assoggettamento, e gli chiede di attivarsi al fine di evitare la vendita della villa. Inoltre, gli comunica che non pagherà più i canoni di locazione fino a quando non sarà eliminato il pericolo di rilascio forzoso.
Il locatore, dopo avergli invano notificato la diffida ad adempiere, cita in giudizio la società conduttrice al fine di ottenere dal giudice la risoluzione del contratto per inadempimento dovuto appunto al mancato pagamento dei canoni, più il risarcimento danni conseguenti al deterioramento della villa.
La convenuta chiede in via riconvenzionale l’annullamento del contratto per dolo del locatore o per errore essenziale del conduttore, o la dichiarazione di inefficacia perché la locazione della villa è stata fatta dal locatore (in qualità di custode) in mancanza dell’autorizzazione del giudice dell’esecuzione (articolo 560 c.p.c.), oppure la dichiarazione della risoluzione avvenuta ai sensi dell’articolo 1454 c.c., o, in subordine, la pronuncia della risoluzione del contratto per grave inadempimento del locatore, nonché il risarcimento dei danni che la conduttrice ha dovuto subire a causa delle spese fatte per adeguare l’immobile alle proprie esigenze.
Il tribunale di Roma accoglie le domande del locatore, rigettando quelle della convenuta la quale subisce la condanna al pagamento dei canoni nonché al risarcimento danni.
In Appello la sentenza viene riformata in parte, accogliendo l’appello principale della conduttrice in riferimento al computo degli interessi sulla somma da versare. Il locatore viene altresì condannato a risarcire parte dei danni chiesti dalla società conduttrice.
La Corte d’Appello ritiene essenziale l’errore del conduttore consistente nel fatto che egli ignorava l’esistenza dell’espropriazione forzata, ma poi afferma che il contratto di locazione è stato convalidato dallo stesso conduttore (ex art. 1444 c.c.) perché ha poi chiesto al locatore, con lettera raccomandata, – nonostante fosse già a conoscenza dell’espropriazione – di adoperarsi al fine di scongiurare la vendita della villa.
In sostanza, in tal modo ha chiesto di adempiere all’obbligazione.
Ad avviso del giudice di secondo grado, dunque, il contratto è stato convalidato perché con tale comunicazione la società conduttrice avrebbe rinunciato a chiedere l’annullamento.
Il conduttore ricorre in Cassazione denunciando violazione e falsa applicazione di norme di diritto e vizio della motivazione. Il giudice di legittimità dichiara fondata tale censura, e rammenta che la dottrina ha da tempo qualificato la convalida tacita come una “rinuncia al diritto potestativo a chiedere l’annullamento”. Dopodiché, la stessa corte, espone le ragioni sulla base delle quali non condivide il ragionamento fatto dalla Corte d’Appello. Non condivide cioè che la convalida tacita si è avuta perché il locatario ha chiesto al locatore di far in modo di evitare la vendita forzosa della villa, ovverosia di evitare quel fatto che se conosciuto dal conduttore in anticipo, non lo avrebbe indotto a stipulare il contratto di locazione.
Il giudice di legittimità, invece, sostiene che ciò “è esattamente il contrario della fattispecie considerata dalla legge” perché per avere la convalida tacita del contratto bisogna che “la parte che avrebbe il diritto a domandarne l’annullamento vi dia essa stessa esecuzione pur sapendolo annullabile”. Dunque, la parte che dà comunque esecuzione al contratto dimostra di essere interessata al consolidamento della sua efficacia, nonostante il contratto stesso sia viziato.
Nel caso in esame, viceversa, il conduttore ha sùbito smesso di pagare il canone non appena ha saputo che era in corso l’espropriazione della villa. Ne consegue che da tale comportamento non si può desumere la volontaria esecuzione del contratto. Infatti, dal contenuto della richiesta emerge non l’interesse a conservarne l’efficacia nonostante l’espropriazione – della cui ignoranza costituisce errore essenziale, peraltro evidentemente riconoscibile da parte del locatore che glielo aveva nascosto – ma semmai emerge l’interesse a che sia eliminata quella situazione di pregiudizio.
Perciò con la richiesta di scongiurare la vendita, non si può dire che vuole convalidare il contratto.
La corte osserva poi che in presenza di una condanna generica al risarcimento danni, il giudice, quando valuta l’esistenza o meno dei presupposti della responsabilità, e dunque l’esistenza o meno dei fatti costitutivi (che comprendono anche il nesso di causalità) del diritto, può stabilire che tali presupposti non sussistono relativamente ad un certo tipo di conseguenze pregiudizievoli. E lo può stabilire anche se manca l’eccezione del debitore. Sulla base di tale principio il giudice delle leggi afferma che la Corte d’Appello – peraltro con motivazione che la Cassazione ritiene incensurabile – ha correttamente escluso la condanna generica del locatore al risarcimento danni subiti dalla conduttrice per le spese che ha dovuto affrontare.
Nella sentenza si affronta poi il problema dell’esistenza dei limiti previsti dall’art. 2725 c.c. con riferimento alla prova testimoniale quando essa è destinata a provare una simulazione relativa che, nel caso di specie, consiste nella destinazione dell’immobile in contrasto con quanto prevede il contratto. Infatti, la Corte d’Appello, con ratio decidendi non contestata dal giudice di legittimità, ha dichiarato inammissibili le prove orali dedotte dalla conduttrice, appunto perché destinate a provare una destinazione dell’immobile difforme da quella prevista dal contratto di locazione.
La Cassazione rinvia alla stessa Corte d’Appello (che costituisce appunto il giudice del rinvio) ma in diversa composizione, la quale dovrà poi decidere rispettando il principio di diritto pronunciato dalla corte di legittimità.
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