Conversione istanza accesso in accesso civico: veto

Allegati

Il veto giurisprudenziale sulla reiterazione dell’istanza di accesso ai documenti e sulla conversione della stessa in istanza di accesso civico generalizzato in sede processuale.
Breve esposizione del più recente indirizzo giurisprudenziale, in materia di accesso ai documenti amministrativi e con riferimento alle differenze tra il predetto istituto e l’istituto dell’accesso civico nella duplice forma di accesso civico semplice e di accesso civico generalizzato.
Volume per approfondimenti: Guida operativa a tutte le tipologie di accesso

Sentenze citate (TAR Milano -sentenza n. 2244/2022 e TAR Bologna, -sentenza n. 207/2023)

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Indice

1. Accesso tradizionale e accesso civico a confronto


L’accesso ai documenti amministrativi (o accesso tradizionale) è stato introdotto nel nostro ordinamento dagli artt. 22 e ss. della legge n. 241/1990 (legge sul procedimento amministrativo) e, allo stato attuale, risulta disciplinato anche dal d.lgs. n. 184/2006. Esso costituisce un principio generale dell’attività della pubblica amministrazione, in quanto la sua ratio risiede nell’esigenza di garantire la partecipazione di tutti i soggetti di diritto privato al procedimento amministrativo, nonché nell’esigenza di garantire la trasparenza della pubblica amministrazione.
Ciononostante, occorre sin da subito precisare che, come sancito dall’art. 24, comma 3, l. n. 241/1990, l’accesso tradizionale non costituisce uno strumento mediante il quale il privato può effettuare un controllo generalizzato sull’operato della pubblica amministrazione, a maggior ragione del fatto che, ai fini dell’accoglimento dell’istanza di accesso, il privato deve proporre un’istanza di accesso motivata, dalla quale deve evincersi la sussistenza in capo all’istante di un interesse giuridicamente qualificato, attuale, concreto e diretto, che sia collegato al documento per il quale si chiede l’accesso. Ne consegue che l’accesso ai documenti amministrativi è sempre condizionato al soddisfacimento di un interesse qualificato dell’istante ed è possibile solo quando abbia ad oggetto documenti materialmente esistenti e detenuti dalla pubblica amministrazione, al momento in cui si avanza la richiesta di accesso.
Al contrario, qualora il privato intenda effettuare un controllo generalizzato sull’operato della pubblica amministrazione, allora occorrerà che avanzi una richiesta di accesso civico, la cui disciplina si rinviene all’art. 5 d.lgs. n. 33/2013 (codice della trasparenza), sia nella forma dell’accesso civico semplice, che nella forma dell’accesso civico generalizzato.
Nello specifico, l’accesso civico semplice è l’istituto che consente a chiunque, a prescindere dalla titolarità di un interesse qualificato e collegato agli atti ai quali si chiede di accedere, di avanzare un’istanza alla pubblica amministrazione, per ottenere la pubblicazione di informazioni, documenti e dati per i quali la pubblica amministrazione non ha osservato il dovere di pubblicazione.
Di contro, l’accesso civico generalizzato è un istituto che consente a chiunque – dunque, anche qui non è richiesta la sussistenza in capo all’istante di un interesse qualificato e collegato agli atti di cui si chiede l’accesso – di avanzare un’istanza alla pubblica amministrazione, per ottenere l’accesso a documenti ulteriori e diversi rispetto a quelli per i quali vige il dovere di pubblicazione, al fine di favorire la partecipazione di tutti al dibattito pubblico; nonché, al fine di favore un controllo diffuso sul perseguimento dei fini istituzionali e sulla gestione delle risorse pubbliche, da parte della pubblica amministrazione.

2. Tutela giurisdizionale dell’istante contro il silenzio della pubblica amministrazione


Orbene, la presentazione dell’istanza di accesso ai documenti amministrativi o di accesso civico introduce, in ambo i casi, un procedimento amministrativo, che deve concludersi con un provvedimento espresso di accoglimento o rigetto entro 30 giorni dalla presentazione dell’istanza.
Con riferimento all’accesso tradizionale, occorre precisare che, nel caso in cui la pubblica amministrazione non concluda il procedimento amministrativo entro il suddetto termine stabilito dalla legge, accade che viene a formarsi il silenzio rigetto (o diniego), che, in quanto silenzio qualificato, costituisce un provvedimento tacito di diniego dell’istanza di accesso ai documenti amministrativi. Ne consegue che avverso tale silenzio l’ordinamento appresta i medesimi strumenti di tutela previsti per il provvedimento espresso di diniego, consentendo al privato istante di ricorrere al Tar competente entro 30 giorni, dal giorno in cui si è formato il silenzio diniego, per ottenerne l’annullamento.
Qualora il silenzio diniego non venga impugnato tempestivamente, accadrà che il provvedimento tacito di rigetto diventa definitivo e non sarà più censurabile davanti al giudice amministrativo.
Per quanto riguarda l’accesso civico, invece, nel caso in cui la pubblica amministrazione non emani un provvedimento espresso di accoglimento o rigetto entro i suddetti termini stabiliti dalla legge, la relativa disciplina non prevede la formazione del silenzio diniego, ma solo la possibilità per l’istante di presentare un’istanza di riesame al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, affinché provveda entra 20 giorni dalla ricezione dell’istanza.
Ne consegue che, in questo caso, la mancata adozione di un provvedimento tempestivo configura il silenzio inadempimento della pubblica amministrazione, avverso il quale il privato istante può intraprendere due azioni: l’azione di adempimento contro il silenzio della pubblica amministrazione, al fine di ottenere la condanna di quest’ultima ad emanare un provvedimento espresso; nonché, l’azione risarcitoria, qualora l’istante dimostri di aver sofferto un ingiusto pregiudizio dalla mancata adozione tempestiva del provvedimento.


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3. L’inammissibilità dell’istanza reiterata ad libitum


Di recente, il Tar Milano, con sentenza n. 2244/2022, ha affrontato diverse questioni giuridiche, una delle quali verteva sulla legittimità della reiterazione di una precedente istanza di accesso ai documenti amministrativi.
In proposito, il suddetto giudice amministrativo ha risolto la questione ribandendo il principio di diritto, già consolidato nella giurisprudenza amministrativa, secondo il quale l’istanza di accesso ai documenti amministrativi, oggetto di precedente diniego, non è reiterabile ad libitum, salvo il caso in cui l’istanza non sia fondata su fatti nuovi, sopravvenuto o meno, ovvero salvo il caso in cui non vi sia una diversa prospettazione dell’interesse giuridicamente qualificato, la cui tutela è collegata alla richiesta di accesso.
Invero, affermare il contrario avrebbe significato riconoscere una illegittima rimessione in termini all’istante, in quanto a quest’ultimo sarebbe stato accordato il potere di impugnare il nuovo provvedimento di rigetto, ancorché il precedente diniego, tacito od esplicito, riferito alla medesima istanza, non sia stato impugnato entro i termini di legge. Il che sarebbe risultato in contrasto con uno dei principi fondamentali del diritto amministrativo, secondo il quale il provvedimento amministrativo non impugnato entro il termine decadenziale stabilito dalla legge diventa definitivo e, in quanto tale, non è più suscettibile di sindacato giudiziale, ma può solamente essere annullato d’ufficio, in virtù del potere di autotutela della pubblica amministrazione.
Inoltre, l’inammissibilità della reiterazione dell’istanza di accesso tradizionale comporta anche che il provvedimento di rigetto dell’istanza reiterata non è impugnabile dinnanzi al competente giudice amministrativo, stante il fatto che il predetto provvedimento è un mero atto meramente confermativo. Infatti, l’istanza reiterata non dà luogo ad un nuovo procedimento amministrativo, con la conseguenza che il relativo provvedimento di diniego si limita a confermare la precedente statuizione e la sua emanazione non presuppone una ponderazione di interessi qualificati.
Ne consegue, pertanto, che il provvedimento meramente confermativo non è impugnabile dinnanzi al giudice, in quanto non costituisce la fonte da cui può scaturire la lesione ad un interesse giuridicamente rilevante del privato, perché la fonte della lesione è il provvedimento precedente, che è oggetto di conferma.
Conformemente all’orientamento ermeneutico espresso dal Tar Milano nella suddetta sentenza, anche il Tar Bologna, con la sentenza n. 207/2023, ha ribadito il principio di diritto in base al quale l’istanza di accesso reiterata può essere accolta solo in presenza di elementi di novità rispetto alla richiesta originaria, altrimenti, in sede processuale, la stessa risulta inammissibile.

4. L’istanza di accesso tradizionale non può essere convertita in istanza di accesso civico in sede processuale


Un’altra questione giuridicamente rilevante che è stata affrontata dal Tar Milano nella sentenza n. 2244/2022 riguarda la legittimità della richiesta di conversione, per la prima volta in giudizio, dell’istanza di accesso ai documenti in istanza di accesso civico generalizzato.
Nel caso di specie, il ricorrente, oltre ad impugnare il provvedimento di diniego parziale, chiedeva all’autorità giudiziaria di verificare se vi erano i presupposti, ai sensi dell’art. 5, comma 2, d.lgs. n. 33/2013 (accesso civico generalizzato), che impongono l’obbligo in capo alla pubblica amministrazione di pubblicare gli stessi documenti per i quali era stato parzialmente negato l’accesso tradizionale.Avverso la suddetta richiesta, l’ente convenuto eccepiva l’inammissibilità del ricorso.
In merito, i giudici lombardi hanno accolto l’eccezione sollevata dalla convenuta, sulla base dei principi di diritto espressi dall’Adunanza Plenaria, nella sentenza n. 10/2020.
In particolare, qui il giudice amministrativo di nomofilachia ha sancito che laddove il privato avanzi un’istanza di accesso ai documenti ex artt. 22 e ss. della legge sul procedimento amministrativo, l’amministrazione sarà tenuta a valutarne la legittimità (e non anche la sussistenza dell’interesse qualificato vantato) in base ai criteri all’uopo fissati dalla stessa legge n. 241/1990, e non potrà utilizzare, a tal fine, i criteri sanciti dal codice della trasparenza. Così come all’amministrazione non sarà dato valutare la legittimità dell’istanza di accesso civico in base ai criteri sanciti dalla legge sul procedimento amministrativo, in quanto in questo caso la valutazione deve essere effettuata solo con riferimento ai criteri previsti dalla disciplina del codice della trasparenza.
Inoltre, aggiunge la menzionata Plenaria che soltanto quando il privato avanzi un’istanza di accesso generica, all’amministrazione è accordato il potere di valutare la legittimità della stessa secondo i parametri previsti da ambo le discipline, ovvero dalla disciplina dell’accesso tradizionale e da quella relativa all’accesso civico.
Infine, l’Adunanza Plenaria in commento ha concluso precisando che i suddetti limiti imposti alla pubblica amministrazione vigono anche nei confronti dell’autorità giudiziaria, con la conseguenza che il giudice non potrà valutare la legittimità di un’istanza di accesso tradizionale secondo i parametri previsti dalla disciplina per l’accesso civico e viceversa. In caso contrario, il giudice incorre in un vizio di ultra-petizione, perché decide su un punto estraneo al petitum tracciato dalle parti in giudizio, tenuto conto del fatto che la giurisdizione amministrativa è una giurisdizione di tipo soggettivo, con la conseguenza che il giudice è tenuto a valutare la legittimità di un provvedimento esclusivamente sulla base delle censure proposte dal ricorrente, nel ricorso introduttivo e nei motivi aggiunti.
Per questi motivi, dunque, il Tar Milano ha sancito l’inammissibilità della conversione di istanza di accesso tradizionale in istanza di accesso civico, per la prima volta in sede processuale.
Del resto, occorre anche precisare che la richiesta avanzata da parte ricorrente all’autorità giudiziaria – ovvero di valutare se vi erano i presupposti per l’obbligo di pubblicazione, ex art. 5, comma 2, d.lgs. n. 33/2013 – risulta illegittimità ed infondata perché, come è stato detto sopra, l’obbligo di pubblicazione sussiste solo per i documenti per i quali è possibile avanzare un’istanza di accesso civico semplice, ai sensi dell’art. 5, comma 1 del codice per la trasparenza. Di contro, l’art. 5, comma 2 del codice per la trasparenza disciplina l’accesso civico generalizzato, la cui ratio, come detto, consiste nel legittimare il privato a chiedere alla pubblica amministrazione l’accesso a documenti ulteriori, e per i quali non previsto alcun obbligo di pubblicazione.

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Simone Laurenzano

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