Assegno divorzile: la rilevanza della convivenza pre-matrimoniale

Chiara Schena 22/12/23
Allegati

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 35385 del 2023, hanno affermato che la convivenza dei coniugi prima del matrimonio debba essere presa in considerazione dal giudice in sede di commisurazione dell’assegno divorzile. I giudici, in particolare, riconoscono come non si possa non dare rilevanza nell’attuale società alla convivenza prematrimoniale. 
Per i giudici di Piazza Cavour, infatti, la convivenza prematrimoniale rappresenta “un fenomeno di costume sempre più radicato nei comportamenti della nostra società cui si affianca un accresciuto riconoscimento dei legami di fatto intesi come formazioni familiari e social di tendenziale pari dignità rispetto a quelle matrimoniali”.

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Corte di Cassazione-sez. Unite civili- sent. n. 35385 del 18-12-2023

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Indice

1. La questione


La Corte d’appello di Bologna, con sentenza n. 1581 del 2020, riformava la decisione adottata dal giudice di prime cure sulla misura dell’assegno divorzile. In particolare, i giudici d’appello decidevano di ridurre la misura dell’assegno divorzile in favore dell’ex moglie e dell’assegno di mantenimento in favore del figlio. 
La corte, infatti, aveva ritenuto eccessiva l’assegnazione fatta dal Tribunale in ragione dell’attuale situazione economica dell’ex marito, della durata del matrimonio e della natura solo assistenziale dell’assegno. 
Contro questa sentenza, l’ex moglie ricorreva in Cassazione. 

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2.Il percorso argomentativo delle Sezioni Unite sulla rilevanza della convivenza nell’assegno divorzile

Con ordinanza interlocutoria n. 30671/2022, la Prima Sezione civile della Suprema corte decideva di rimettere la questione al Primo Presidente, affinché potesse valutare un’eventuale rimessione alle Sezione Unite sulla vicenda. 
In particolare, dal contenuto dell’ordinanza emerge la necessità di chiarire l’esclusione, ai fini della commisurazione dell’assegno divorzile, del periodo di convivenza prematrimoniale, così come deciso dai giudici bolognesi in secondo grado.
In particolare, la sezione rimettente ha osservato che «la convivenza prematrimoniale è un fenomeno di costume che è sempre più radicato nei comportamenti della nostra società cui si affianca un accresciuto riconoscimento – nei dati statistici e nella percezione delle persone – dei legami di fatto intesi come formazioni familiari e sociali di tendenziale pari dignità rispetto a quelle matrimoniali»).
Il percorso argomentativo seguito dalle Sezioni Unite non può che prendere le mosse dal riferimento normativo contenuto nell’art. 5, comma 6, della l. 898 del 1970 che precisa, appunto, come nella sentenza che pronuncia la cessazione o lo scioglimento degli effetti civili del matrimonio, il tribunale debba prendere in considerazione diversi indici in grado di commisurare l’entità dell’assegno divorzile, tra cui le “condizioni dei coniugi, il reddito di entrambi, il contributo personale ed economico dato da ciascuno al ménage familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno e di quello comune» e le “ragioni della decisione”. Solo la valutazione di questi fattori può portare il giudice a decidere in merito alla corresponsione dell’assegno a favore del coniuge “debole” fino a quando, quest’ultimo, passi a nuove nozze, in base a quanto statuito dall’art. 10 della medesima legge.
L’iter normativo è proseguito con la legge n. 76/2016 (Legge Cirinnà), che ha assegnato rilevanza alla convivenza di fatto tra due persone, riconoscendo la possibilità di stipulare un contratto di convivenza per la regolamentazione degli aspetti patrimoniali. In particolare, la normativa dispone che la fine della convivenza può dar luogo alla corresponsione dell’assegno alimentare, per il periodo proporzionato alla convivenza, qualora uno dei conviventi non possa provvedere a sé stesso per ragioni oggettive
Infine, le Sezioni Unite ricompongono il quadro normativo anche con riferimento al dato legislativo sovranazionale garantito dagli artt. 8 e 14 della Convenzione europea sulla salvaguardia dei diritti dell’uomo: la giurisprudenza europea è decisamente orientata, infatti, ad una visione ampia di famiglia caratterizzata da una “disciplina non discriminatoria”.
 Uno dei primi orientamenti sostenuti dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 11490 del 1990 aveva precisato che «l’assegno periodico di divorzio, nella disciplina introdotta dall’art. 10 della legge 6 marzo 1987 n. 74, modificativo dell’art. 5 della legge 1 dicembre 1970 n. 898, ha carattere esclusivamente assistenziale, atteso che la sua concessione trova presupposto nell’inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante, da intendersi come insufficienza dei medesimi, comprensivi di redditi, cespiti patrimoniali ed altre utilità di cui possa disporre, a conservargli un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, senza cioè che sia necessario uno stato di bisogno, e rilevando invece l’apprezzabile deterioramento, in dipendenza del divorzio, delle precedenti condizioni economiche, le quali devono essere tendenzialmente ripristinate, per ristabilire un certo equilibrio. 
Questo orientamento è rimasto pressoché inalterato sino ad un nuovo intervento delle Sezioni Unite del 2018 che aveva affermato, in merito al criterio di adeguatezza dei mezzi del coniuge,  la necessità di adeguamento ai parametri europei «attraverso l’applicazione dei criteri di cui alla prima parte della norma di cui all’art. 5, comma 6 della l. 898 del 1970 i quali costituiscono il parametro di cui si deve tener conto per la relativa attribuzione e determinazione, ed in particolare, alla luce della valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all’età dell’avente diritto». Queste Sezioni Unite, inoltre, avevano evidenziato come il principio dell’autoresponsabilità debba venire in rilievo non solo nella fase di crisi del matrimonio ma debba essere presa in considerazione durante l’intero arco della vita matrimoniale della coppia.
Un’ordinanza successiva del 2019 ha chiarito la funzione non solo assistenziale ma anche perequativa e compensativa delle scelte di vita effettuate dalla coppia e dei sacrifici riposti nelle aspettative professionali di ciascun coniuge.
Il chiarimento è stato affermato anche dalle Sezioni unite del 2021 che hanno ricordato la rilevanza della natura compensativa e perequativa dell’assegno divorzile anche laddove l’ex coniuge privo di mezzi intraprenda una nuova convivenza di fatto: infatti, nel caso di specie, a venir meno è solo la natura assistenziale dell’assegno poiché bisogna comunque dar conto delle scelte di vita dei coniugi durante l’unione coniugale in ottica solidaristica. 
Il cuore della questione, oggetto della recente rimessione alle Sezioni Unite, riguarda l’aspetto legato alla convivenza prematrimoniale, laddove viene indicato dall’ordinanza di rimessione come uno dei criteri di cui il giudice è tenuto a dare rilievo ai fini della determinazione dell’assegno divorzile. 
Alla luce di questo quadro giurisprudenziale, formatosi negli ultimi anni, il Supremo Consesso ha sottolineato l’importanza della convivenza prematrimoniale “laddove protrattasi nel tempo (nella specie, sette anni), abbia «consolidato» una divisione dei ruoli domestici capace di creare «scompensi» destinati a proiettarsi sul futuro matrimonio”.  
Si tratta di considerare il matrimonio come l’unico fattore generatore della crisi coniugale e di attribuire rilievo all’aspetto precedente della convivenza come indice compensativo e valoriale dell’assegno. 

3. Il principio di diritto

Il principio di diritto elaborato dalle Sezioni Unite, in riferimento alla questione di massima importanza declinata dalla Sezione Rimettente è il seguente: Ai fini dell’attribuzione e della quantificazione, ai sensi dell’art. 5, comma 6, l. n. 898/1970, dell’assegno divorzile, avente natura, oltre che assistenziale, anche perequativo-compensativa, nei casi peculiari in cui il matrimonio si ricolleghi a una convivenza prematrimoniale della coppia, avente i connotati di stabilità e continuità, in ragione di un progetto di vita comune, dal quale discendano anche reciproche contribuzioni economiche, laddove emerga una relazione di continuità tra la fase «di fatto» di quella medesima unione e la fase «giuridica» del vincolo matrimoniale, va computato anche il periodo della convivenza prematrimoniale, ai fini della necessaria verifica del contributo fornito dal richiedente l’assegno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno dei coniugi, occorrendo vagliare l’esistenza, durante la convivenza prematrimoniale, di scelte condivise dalla coppia che abbiano conformato la vita all’interno del matrimonio e cui si possano ricollegare, con accertamento del relativo nesso causale, sacrifici o rinunce, in particolare, alla vita lavorativa/professionale del coniuge economicamente più debole, che sia risultato incapace di garantirsi un mantenimento adeguato, successivamente al divorzio».

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