L’inosservanza dei provvedimenti dell’autorità: in cosa consiste?
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L’art. 650 c.p., inserito nel libro terzo, titolo I, capo I, sezione I del codice penale, intitolato “Inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità” prevede che chiunque “non osserva un provvedimento legalmente dato dall’Autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica, o d’ordine pubblico o d’igiene, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a 206 euro”.
Il bene giuridico protetto da questa norma incriminatrice è l’ordine pubblico inteso come buon assetto e regolare andamento della convivenza civile che il legislatore ha inteso proteggere contro l’inosservanza individuale di provvedimenti emessi dalla pubblica autorità mentre oggetto “specifico della tutela penale della contravvenzione prevista dall’art. 650 c.p. è l’interesse concernente la “polizia di sicurezza”, strettamente correlata all’ordine pubblico inteso in senso generico”.
Ciò posto, a sua volta il “soggetto attivo del reato di cui all’art. 650 c.p. è il destinatario del provvedimento legalmente dato dall’autorità che potendo ottemperarvi non vi abbia adempiuto”.
Quanto alla natura di questo illecito penale, da un lato, esso, è, di norma, un reato istantaneo pur potendo essere anche eventualmente permanente allorchè “la condotta omissiva (…) protraendosi nel tempo lasci sussistere una situazione non solo antigiuridica ma nella quale permanga l’interesse al rispetto dell’ordine legalmente dato”7 (il che sembra ricorrere nel caso di specie trattandosi di un contagio in atto che, sino a quanto la persona affetta da questo virus non viene curata, rappresenta, ove circoli liberamente, comunque un pericolo, per sé e per gli altri), dall’altro, l’art. 650 c.p. è “norma di natura sussidiaria, che si applica solo quando la violazione del provvedimento amministrativo non sia altrimenti sanzionata”nonché “una norma penale in bianco a carattere sussidiario, applicabile solo quando il fatto non sia previsto come reato da una specifica disposizione, ovvero allorché il provvedimento dell’autorità non sia munito di un proprio, specifico sistema di rimedi a tutela degli interessi coinvolti”.
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Epidemia colposa: quando il singolo è responsabile di contagi?
L’art. 438 c.p., previsto nel libro II, titolo VI, capo II, prevede che chiunque “cagiona un’epidemia mediante la diffusione di germi patogeni è punito con l’ergastolo”.
L’art. 452, c. 1, n. 2, c.p., contemplato nel libro II, titolo VI, capo III, rubricato “Delitti colposi contro la salute pubblica”, dispone a sua volta che chiunque “commette, per colpa, alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 438 e 439 è punito: con la reclusione da uno a cinque anni, nei casi per i quali esse stabiliscono l’ergastolo”.
Ciò posto, il bene giuridico protetto è l’incolumità e la salute pubblica.
Per ciò che riguarda la natura di questo illecito penale, si tratta di un “reato di evento a forma vincolata” posto che, affinché “la fattispecie preveduta e punita dall’art. 438 c.p. possa ritenersi integrata, occorre che la condotta del reato di epidemia, consistente nella diffusione di germi patogeni, cagioni un evento definito come la manifestazione collettiva di una malattia infettiva umana che si diffonde rapidamente in uno stesso contesto di tempo in un dato territorio, colpendo un rilevante numero di persone” fermo restando che l’evento de quo può essere al contempo “un evento di danno e di pericolo”.
Per quanto attiene l’elemento oggettivo, il “reato di epidemia richiede, nella sua materialità, il carattere contagioso e diffuso del morbo, la durata cronologicamente limitata del fenomeno (…), il numero elevato delle persone colpite e l’estensione territoriale dell’affezione, che dev’essere di una certa ampiezza” posto che, in “tema di epidemia, l’evento tipico del reato consiste in una malattia contagiosa che, per la sua spiccata diffusività, si presenta in grado di infettare, nel medesimo tempo e nello stesso luogo, una moltitudine di destinatari, recando con sé, in ragione della capacità di ulteriore espansione e di agevole propagazione, il pericolo di contaminare una porzione ancor più vasta di popolazione”.
Per quanto attiene l’elemento soggettivo, per quel che rileva in questa sede, l’“elemento psicologico nel reato colposo di epidemia (…) consiste nel diffondere, per negligenza, imperizia o inosservanza di disposizioni, germi che l’agente conosce come patogeni, senza intenzione di cagionare un’epidemia”.
Il momento consumativo di questo illecito penale, come rilevato in sede scientifica, infine, coincide nel momento in cui si verifica l’epidemia.
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