Originariamente considerato come strumento di comunicazione e marketing, il bilancio sociale viene sempre più diffusamente percepito come pilastro fondamentale nella governance di un’azienda, capace di influenzare le strategie di management e le relazioni con tutti gli stakeholders.
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La Corporate Social Responsability: cos’è?
Nel quadro del progetto di promozione della Corporate Social Responsability (CSR), le istituzioni comunitarie, nel dicembre 2014, hanno promulgato la direttiva UE 2014/95 avente ad oggetto le “comunicazioni di informazioni di carattere non finanziario ed di informazioni sulla diversità da parte di talune imprese e taluni gruppi di grandi dimensioni”.
L’Italia ha recepito la direttiva dell’UE con il D.Lgs. n. 254/2016, introducendo misure prescrittive e sanzionatorie volte a rafforzare la responsabilizzazione delle impresse di grandi dimensioni (c.d. accountability), superando la normativa esistente in materia di sostenibilità.
Banche, imprese assicurative e grandi gruppi industriali facenti capo a società quotate, sono, dunque, chiamati, ed obbligati, ad includere nella relazione sulla gestione una dichiarazione di carattere non finanziario, contente informazioni ambientali, sociali, attinenti al personale, al rispetto dei diritti umani e alla lotta contro la corruzione attiva e passiva, in misura necessaria alle dimensioni ed ai risultati economici dell’impresa, ma anche dell’impatto delle sue attività.
L’applicazione del principio di materialità
Alla base della direttiva, il “principio di materialità” richiede, infatti, che vengano fornite informazioni sugli aspetti che incidono in modo significativo sulla capacità dell’azienda di creare valore nel tempo, individuando le tematiche più significative per la società e per i suoi stakeholders.
In particolare, in forza dell’art. 2, comma 1, del D.Lgs. n. 254/2016, devono redigere la dichiarazione di carattere non finanziario i c.d. “enti di interesse pubblico”, qualora abbiano avuto in media durante l’esercizio finanziario un numero di dipendenti superiore a 500, e, alla data di chiusura del bilancio, abbiano superato almeno uno dei seguenti limiti dimensionali:
(i) totale dello stato patrimoniale € 20.000.000,00;
(ii) totale dei ricavi netti delle vendite e delle prestazioni € 40.000.000,00.
Il decreto prevede anche – all’articolo 7 – la possibilità, per le altre società non ricadenti nella definizione di “ente di interesse pubblico”, di redigere una dichiarazione di carattere non finanziario su base “volontaria”.
Per gli enti di interesse pubblico che siano società madri di un gruppo di grandi dimensioni, invece, l’obbligo è quello di redigere un bilancio di sostenibilità “consolidato”, comprendente i dati della società madre e delle sue società figlie consolidate integralmente.
Sulla base del principio “comply or explain”, richiamato dall’art. 3 del D.Lgs. n. 254/2016, la società risponde per tutte quelle informazioni che omette di trasmettere ai fini del bilancio di sostenibilità.
Per gli amministratori, i componenti dell’Organo di controllo nonché i soggetti incaricati della revisione legale del bilancio e delle attestazioni di conformità, infine, sono previste sanzioni amministrative e pecuniarie comprese in una forbice che va dai € 20.000,00 a € 150.000,00 a seconda della gravità della violazione e della posizione ricoperta all’interno dell’ente.
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