di Fabio Fiorentin
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(l’originale è stato pubblicato su “Guida al Diritto” n.17 del 1. maggio 2004)
1.Nuove norme a garanzia della riservatezza della corrispondenza di detenuti e internati.
Licenziata in via definitiva dalla Camera dei deputati nella seduta del 24 marzo 2004, è entrata in vigore la legge 8 aprile 2004, n.95 (pubblicata in G.U. n.87 del 14 aprile 2004), recante “Nuove disposizioni in materia di visto di controllo sulla corrispondenza dei detenuti”.
La disciplina di nuovo conio è esecutiva – ai sensi dell’art.4 della legge citata -dal giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (e dunque, dal 15 aprile 2004) .
Con la vigenza delle nuove norme, l’ordinamento penitenziario si arricchisce così di una disciplina organica dei controlli attivabili dall’amministrazione penitenziaria e dall’autorità giudiziaria sull’esercizio di un diritto fondamentale della persona – quello della libertà e segretezza della corrispondenza – presidiato da garanzie costituzionali(art.15 Cost.)[1].
Si tratta di un provvedimento lungamente atteso, che viene a colmare una lacuna legislativa già costata all’Italia numerose condanne in sede europea, pronunciate dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo(CEDU), in seguito ad una serie di ricorsi di detenuti italiani,i quali lamentavano l’illegittimità del regime dei controlli sulla corrispondenza in arrivo e in partenza dal carcere quale disciplinato dalla legge penitenziaria italiana (legge 26 luglio 1975, n.354, Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure limitative e privative della libertà) per contrasto con i principi stabiliti, in ambito europeo, dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali, a tutela della libertà e riservatezza della corrispondenza[2].
La Corte europea ha, in più occasioni, censurato la normativa nazionale, giudicata non conforme, sotto una serie articolata di profili (su cui v. infra), ai principi sanciti nella citata Convenzione .
Sulla scia delle reiterate condanne subite, l’Italia aveva iniziato l’adeguamento della propria normativa interna alle norme europee:era stata, in particolare, adeguata la prassi amministrativa in tema di visto di controllo sulla corrispondenza in arrivo e in partenza(Circ.DAP 14.3.1994 n.3382/5832); ed erano state inserite alcune disposizioni in tema di controllo della corrispondenza dei detenuti in seno al nuovo regolamento penitenziario, emanato con D.P.R. 30 giugno 2000, n.230[3].
La legge n.95/2004 rappresenta – in tale cornice- la più recente (e convincente) manifestazione dello sforzo del legislatore nazionale di adeguare la normativa penitenziaria interna ai principi stabiliti a livello europeo, realizzando il necessario contemperamento tra le esigenze preventive e di controllo sull’ordine e la sicurezza degli istituti di pena e il diritto dei detenuti all’esercizio dell’attività di corrispondenza con la società civile esterna al carcere.
2.I controlli sulla corrispondenza dei detenuti nella disciplina anteriore alla L.95 /2004.
Il regime giuridico dei controlli sulla corrispondenza epistolare e telegrafica delle persone detenute e internate era disciplinato, nella normativa nazionale anteriore alla L.95/2004, dall’art.18, L.354/1975(Ordinamento Penitenziario) e dall’art.38, D.P.R. 230/2000.
L’art.18 dell’O.P. stabilisce – ai fini delle esigenze del trattamento penitenziario -un fondamentale principio generale di favore nei confronti di tutte le forme di contatto del condannato con l’ambiente libero, ivi inclusa la corrispondenza, senza limiti quantitativi o qualitativi[4].
Correlativamente, tuttavia, la facoltà riconosciuta ai detenuti di intrattenere contatti con il mondo esterno è soggetta a particolari limitazioni e controlli, predisposti con la finalità di prevenire l’utilizzo della facoltà di interloquire con la società libera per finalità contrastanti con l’esigenza di prevenire la commissione di reati e tutelare la sicurezza e l’ordine interno agli istituti di pena.
Il coordinato normativo dei citati artt.18 O.P. e 38,D.P.R.230/2000,comprende, conseguentemente, tanto disposizioni animate dalla finalità di agevolare (o quantomeno non ostacolare) i contatti di detenuti e internati con l’esterno;quanto un parallelo, complesso sistema di controlli preventivi delle forme di comunicazione concesse ai soggetti ristretti, sotto la specie di “autorizzazioni” ai colloqui, visivi o telefonici, e di “controlli”sulla corrispondenza e la stampa..
Con specifico riferimento alla corrispondenza, sul versante degli incentivi l’art.18, comma 4, O.P. officia l’amministrazione penitenziaria a mettere a disposizione dei reclusi il materiale di cancelleria necessario per la corrispondenza, senza limitazioni di quantità (quantunque l’art.38, commi 2 e 3, D.P.R. 230/2000 precisi che l’onere suddetto, per l’amministrazione, è contenuto nella fornitura gratuita, ogni settimana, dell’occorrente per scrivere una lettera e dell’affrancatura ordinaria, salvo comunque il diritto dei detenuti di acquistare a proprie spese quanto necessario alla corrispondenza epistolare presso lo spaccio dell’istituto).
Quanto al sistema dei controlli, esso si articola sugli strumenti dell’ispezione, del visto sulla corrispondenza e dell’eventuale trattenimento di questa,con l’intervento dell’autorità giudiziaria.
Più precisamente,la norma dell’art.18,comma7,O.P.(ora abrogata per effetto della disposizione di cui all’art. 3,comma 2, della L.95 /2004) prevedeva che la corrispondenza dei singoli detenuti o internati[5] potesse essere sottoposta, con provvedimento motivato del magistrato di sorveglianza, a visto di controllo del direttore dell’istituto o di un appartenente all’amministrazione penitenziaria designato dallo stesso direttore.
Analoga procedura era stabilita (art.18. comma 8, O.P.) con riferimento alla corrispondenza degli imputati.
Il controllo poteva essere effettuato direttamente dal magistrato ovvero – nell’ordinarietà delle ipotesi – dall’autorità amministrativa a ciò delegata (art.18, comma 9, O.P., abrogato per effetto della disposizione di cui all’art. 3,comma 2, della L. 95/2004).
Potevano, altresì, essere disposte limitazioni nella corrispondenza e nella ricezione della stampa, su decisione dell’autorità giudiziaria (art.18, comma 9, u.p., O.P.,abrogato: ora, art. 18 ter, comma 5, O.P.)[6].
Quest’ultima, era ritenuta – nella materia di che trattasi – svolgere funzioni non già propriamente giurisdizionali, bensì assolvere competenze di tipo squisitamente amministrativo.
Nel precedente assetto normativo, non sussisteva un diritto soggettivo perfetto del detenuto all’esercizio della libertà di corrispondenza epistolare e telegrafica.
In proposito, la giurisprudenza assolutamente dominante configurava la descritta situazione soggettiva nei più ristretti termini dell’interesse legittimo del detenuto o internato al corretto utilizzo del potere di controllo da parte dell’amministrazione penitenziaria e dell’autorità giudiziaria.
La Cassazione era, peraltro,pacificamente orientata nel ritenere che l’ordinamento non prevedesse alcuna forma di tutela giurisdizionale nei confronti dell’eventuale lesione di tale posizione soggettiva, se non l’eventuale ricorso avanti alla giustizia amministrativa ( T.A.R.)[7].
3. Le condanne della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nei confronti dell’Italia.
La descritta disciplina sui controlli della corrispondenza dei detenuti presentava rilevanti profili di contrasto non soltanto con le garanzie costituzionali (art.15 Cost.), ma anche con i principi europei sanciti dalla Convenzione Europea per la tutela dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali[8], posti a fondamento delle numerose pronunce della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo(CEDU) a sanzione degli aspetti di maggiore contrarietà delle norme penitenziarie interne con la Convenzione.
La giurisprudenza della Corte di Strasburgo ha interpretato in senso estensivo la nozione di corrispondenza contemplata dall’art.8 della Convenzione, ritenendola comprensiva non soltanto delle comunicazioni interpersonali su supporto cartaceo, ma anche attraverso mezzi diversi, quali il telefono[9].
La maggior parte dei casi presi in esame dalla CEDU concerne proprio i reclami formulati da soggetti detenuti in relazione ai controlli ovvero alle “censure” delle autorità carcerarie.
La Corte europea aveva, in particolare, ritenuto in contrasto con la normativa europea:
1)l’eccessivo margine di discrezionalità concesso, dalla legislazione italiana, all’autorità pubblica (amministrativa e giudiziaria) nel disporre limitazioni o controlli della corrispondenza, senza che tale ampia facoltà fosse controbilanciata dalla previsione di precisi presupposti normativi circa le condizioni in presenza delle quali il meccanismo dei controlli potesse legittimamente attivarsi;
2)la carenza di un’adeguata tutela giurisdizionale del detenuto a fronte degli eventuali atti lesivi da parte dell’autorità pubblica, amministrativa o giudiziaria(Corte, 15 novembre 1996, Diana c.Italia)[10];
3)la mancata predisposizione di uno strumento atto a comprovare l’effettiva consegna della corrispondenza sottoposta a visto di controllo al detenuto interessato (Corte,23 febbraio 1993, Messina c.Italia, in Cass.Pen., 1994 , 1109);[11]
4)le censure operate dall’amministrazione penitenziaria nei confronti della corrispondenza inviata dal detenuto al proprio legale (Corte, 25 febbraio 1992, Pfeiffer c. Austria A 227);
La Corte Europea tornò in seguito ad occuparsi della disciplina nazionale sul controllo della corrispondenza dei detenuti, con una nuova pronuncia, resa in rapporto ad un ricorso formulato da un detenuto sottoposto al regime speciale di cui all’art. 41 bis O.P.,e per tale motivo soggetto al visto di controllo su tutta la corrispondenza, inclusa quella indirizzata alle autorità di cui all’art.38, comma 11, D.P.R. 230/2000.
La sentenza sul caso citato(Corte,sez.IV, 26 luglio 2001,Di Giovine c. Italia), riafferma alcuni principi ormai tradizionalmente acquisiti al repertorio della giurisprudenza di Strasburgo nella materia de qua:
5) viene anzitutto ribadito il divieto di qualsiasi tipo di censura in rapporto ad atti e missive indirizzate alla Corte stessa[12];
Elementi di novità ben più significativi sono però contenuti nella seconda parte della decisione, laddove la Corte censura l’art.18 O.P. per ravvisato contrasto con il disposto degli artt. 8 e 13 della Convenzione, sotto due principali aspetti[13]:
6)Il primo di essi è ravvisato nella mancata previsione normativa della durata massima della sottoposizione al visto di controllo;
7)Il secondo viene individuato nella mancata indicazione dei motivi specifici che giustificano l’adozione, da parte dell’autorità pubblica, delle misure di controllo sulla corrispondenza dei detenuti.
Quanto alla ravvisata carenza – nella legislazione nazionale – della previsione di precisi presupposti ai fini dell’attivazione dei controlli, non v’è dubbio che il giudice nazionale potesse (e possa tuttora) richiamarsi a quelli stabiliti dall’art. 8 della Convenzione (sicurezza nazionale, la sicurezza pubblica, il benessere economico del paese, la difesa dell’ordine e la prevenzione dei reati, la tutela della salute o della morale, la tutela delle libertà e diritti altrui): esse, infatti, salvo quanto disposto ora dall’art.18ter O.P., costituiscono coordinate normativamente certe alle quali ancorare – sotto il profilo motivazionale – il provvedimento di sottoposizione della corrispondenza a visto di controllo[14].
Per quanto concerne l’onere di motivazione che incombe sull’autorità giudiziaria competente a decidere sulla sottoposizione a visto della corrispondenza dei reclusi, esso doveva ritenersi implicito, già prima della sentenza citata, alla luce dei rilevanti interessi costituzionalmente tutelati che la decisione del magistrato è suscettibile di comprimere.
4. Il D.P.R. 30 giugno 2000, n.230.
Con l’emanazione del citato D.P.R. 230/2000, il legislatore italiano,disciplinando la materia della corrispondenza, ha inteso rispondere, almeno in parte, ai rilievi mossi dalla Corte Europea.
In ordine alla regolamentazione dei controlli, l’art.38, D.P.R. 230/2000, richiamandosi soltanto parzialmente alla disciplina della legge penitenziaria (art.18 O.P.) articola il sistema dei controlli sulla corrispondenza dei detenuti su un duplice sistema di filtri: l’ispezione e il trattenimento, attribuendone la titolarità, in entrambi i casi, alla direzione dell’istituto penitenziario, salva – nella seconda fattispecie -la decisione conclusiva dell’autorità giudiziaria in ordine all’inoltro o al trattenimento definitivo[15].
Per quanto concerne, all’adeguamento ai principi della Convenzione europea, gli ultimi due commi dell’art.38 D.P.R. 230/2000 contengono disposizioni volte proprio ad appianare alcuni dei più eclatanti profili di contrasto evidenziatisi in seguito alle citate pronunce della CEDU.
Precisamente, il comma 10 della norma citata prevede che il detenuto o l’internato sia immediatamente informato che la corrispondenza è stata trattenuta (ciò evidentemente, per metterlo in condizioni di interloquire con l’autorità giudiziaria preposta alla decisione definitiva sul trattenimento); mentre il successivo comma 11 stabilisce che “non può essere sottoposta a visto di controllo la corrispondenza epistolare dei detenuti e degli internati indirizzata ad organismi internazionali amministrativi o giudiziari preposti alla tutela dei diritti dell’uomo, di cui l’Italia fa parte”.
La complessiva disciplina sui controlli della corrispondenza,tuttavia, si manteneva in perdurante contrasto sia con la Costituzione quanto con i principi contenuti nella Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali.
Invero, l’art.15 Cost. presidia con particolare rigore il diritto alla libertà e riservatezza della corrispondenza, sottoponendo ogni fattispecie idonea ad incidere sul pieno esercizio di tale posizione soggettiva alla doppia garanzia: della riserva di legge e della riserva di giurisdizione[16].
Il regolamento penitenziario n.230/2000, inoltre, non fornisce un’adeguata risposta a livello di disciplina normativa ai rilievi – stigmatizzati nell’assise europea – circa l’estrema ampiezza del potere discrezionale conferito all’autorità giudiziaria nell’adottare i provvedimenti incisivi della libertà e segretezza della corrispondenza dei detenuti, senza che a tale facoltà conseguisse, per l’autorità giudiziaria, l’obbligo di motivare le ragioni dell’adozione delle limitazioni o dei controlli sulla corrispondenza con riferimento a precise condizioni stabilite dalla legge (e non, dunque, facendo ricorso a motivazioni “apparenti”, quali clausole di stile ovvero formule ellittiche o tautologiche rispetto al dettato normativo).
Quanto al profilo dell’assenza di uno strumento di tutela giurisdizionale nei confronti delle decisioni dell’autorità giudiziaria in materia di controllo della corrispondenza, vi era effettivamente – come si è detto – nella disciplina anteriore alla L.95/2004, una grave lacuna nel sistema di tutela delle posizioni soggettive dei detenuti, mancando nell’ordinamento un rimedio giurisdizionale specifico che presidiasse – con un controllo di legalità da parte di un giudice – la corretta applicazione della normativa penitenziaria sui controlli e sulle limitazioni della corrispondenza .
Soltanto con riferimento ai provvedimenti amministrativi era ammessa, secondo l’orientamento prevalente della giurisprudenza, la possibilità di sindacare la corretta gestione, da parte degli organi dell’amministrazione penitenziaria, dell’esecuzione della pena detentiva, sia con il ricorso alla giustizia amministrativa, sia ai sensi degli artt. 35 e 69, comma 5, O.P.
La norma da ultimo citata consente, in particolare, al magistrato di sorveglianza di impartire alla direzione dell’istituto, “nel corso del trattamento, disposizioni dirette ad eliminare eventuali violazioni dei diritti dei condannati e degli internati”.
La ricordata tutela magistratuale dei diritti delle persone detenute sussiste ed opera laddove sono compressi diritti costituzionalmente garantiti, quali il diritto alla libertà ed alla segretezza della comunicazione.
Peraltro,tale sia pur embrionale e inadeguato rimedio (poiché non assistito da effettivi poteri coercitivi nei confronti dell’eventuale inadempimento dell’amministrazione penitenziaria alle disposizioni del magistrato di sorveglianza) costituiva l’unico strumento di tutela attivabile,anteriormente all’entrata in vigore della L. 95/2004.
In altri termini, il quadro delle garanzie a favore del soggetto sottoposto ai controlli sulla corrispondenza era carente non soltanto poiché non vi era la possibilità di impugnare i provvedimenti giudiziari emessi ai sensi dell’art.18 O.P.; ma anche perché – con riferimento alla tutela nei confronti degli atti amministrativi emessi dalla direzione dell’istituto di pena – persisteva la lacuna evidenziata dalla Corte Costituzionale con la sentenza 26/1999.
Con detta pronuncia, la Consulta aveva, infatti, dichiarato la parziale illegittimità costituzionale degli articoli 35 e 69 dell’O.P., nella misura in cui non prevedono una tutela giurisdizionale nei confronti degli atti dell’amministrazione penitenziaria lesivi di diritti di coloro che sono sottoposti a restrizione della libertà personale[17].
5. La nuova disciplina introdotta dalla legge 95/2004 .
L’emanazione del D.P.R. 230/2000 non aveva, dunque, eliminato del tutto i profili di contrasto della normativa penitenziaria nella materia de qua con i principi costituzionali e con quelli stabiliti nell’assise giurisdizionale europea ai sensi della Convenzione del 1950.
Rilevavano, infatti, quanto all’art.38 D.P.R. 230/2000, e in relazione ai principi costituzionali:
la persistenza della violazione della riserva assoluta di legge prevista dall’art.15 Cost.;
l’indicazione del mero “sospetto” quale presupposto per l’attivazione del controllo sulla corrispondenza(cfr.art.38, comma 6, D.P.R. 230/2000) e dunque, l’eccessiva discrezionalità attribuita all’autorità ai fini dell’esercizio del potere di controllo sulla corrispondenza;
la carenza della disciplina del regime giuridico degli atti sottoposti al trattenimento;
quanto all’art.18 della L. 354/75, e rispetto alle pronunce della CEDU:
la mancata previsione di un termine massimo di durata del controllo ;
la mancata previsione di un onere di motivazione della decisione dell’autorità giudiziaria;
l’assenza dell’indicazione della forma che il provvedimento in materia di controllo della corrispondenza dovesse assumere;
La nuova legge agisce, coerentemente con l’esigenza di adeguare la disciplina penitenziaria dei controlli sulla corrispondenza ai principi costituzionali ed europei, lungo due direttrici principali:
1)razionalizza, anzitutto, la disciplina esistente (art.18 L. 26 luglio 1975, n.354 e art.38 D.P.R. 30 giugno 2000, n.230), attraverso la (ri)formulazione organica della disciplina sui controlli della corrispondenza all’interno di un’unica disposizione normativa,inserendo nel corpo della L. n.354/75 il nuovo art.18 ter (ed abrogando, conseguentemente, le disposizioni previgenti dell’art.18 O.P. riprodotte nel tessuto normativo del nuovo articolo di legge);
2)introduce, con lo stesso art.18ter O.P., importanti disposizioni atte a conformare la disciplina dei controlli sulla corrispondenza dei detenuti ai principi della Convenzione Europea del 1950, più volte richiamati dalle sentenze della Corte di Strasburgo.
Il risultato più importante che ne consegue, più ed oltre le problematiche di armonizzazione delle normative interna ed europea, è che, con la previsione della completa giurisdizionalizzazione del procedimento in tema di controlli sulla corrispondenza; l’indicazione di condizioni tassative per l’attivazione delle misure restrittive;ma soprattutto con l’introduzione della possibilità di reclamo di fronte all’autorità giudiziaria dei provvedimenti in materia di controllo della corrispondenza, il legislatore ha assicurato alla facoltà del detenuto di corrispondere con il mondo esterno la disciplina normativa e lo status di vero e proprio diritto soggettivo.
Detta posizione soggettiva si configura, infatti, quale diritto fruibile ordinariamente senza limitazioni quantitative o qualitative, e comprimibile soltanto nelle ipotesi tassativamente previste dalla legge, con la garanzia del controllo giurisdizionale di legittimità sui provvedimenti che incidono le facoltà connesse a tale diritto.
L’art. 1 della L. /2004 inserisce – come detto – nell’Ordinamento Penitenziario un articolo di nuovo conio -l’art.18ter – che disciplina, quale fonte di rango primario ( in ossequio, dunque, alla riserva assoluta di legge contenuta nell’art.15 Cost.), le limitazioni al controllo della corrispondenza.
La nuova norma precisa, anzitutto, quali sono le condizioni che legittimano l’attivazione dei meccanismi di controllo, individuandole nelle “esigenze attinenti le indagini o investigative o di prevenzione dei reati, ovvero per ragioni di sicurezza o di ordine dell’istituto”.
Tale disposizione ricalca, in gran parte, quanto già previsto a livello regolamentare dalla disposizione regolamentare dell’art.38, comma 6, D.P.R. 230/2000.
Non può che essere apprezzata, in proposito, l’espressa e tassativa indicazione dei motivi per i quali può essere disposta la limitazione della corrispondenza dei detenuti, e la conferma del divieto (già peraltro evincibile dalla previsione dell’abrogato comma 7 dell’art. 18 O.P.)di sottoporre intere categorie di reclusi (o intere sezioni dell’istituto di pena) ai controlli previsti dalla norma in esame.
Il provvedimento dell’autorità giudiziaria dev’essere sempre motivato: evidentemente,con riferimento alla ricorrenza delle condizioni previste dall’art.18 ter O.P.; ma, si ritiene, anche con le ulteriori fattispecie indicate nell’art.8 della citata Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
Degna di nota è l’eliminazione di qualsiasi riferimento alla categoria del “sospetto”(che invece rimane il presupposto dell’attivazione del trattenimento amministrativo:cfr. art.38,comma 6, D.P.R 230/2000 ) dal novero delle fattispecie fondanti l’adozione dei provvedimenti restrittivi da parte dell’autorità giudiziaria.
Ne consegue che i provvedimenti che incidono sull’esercizio del diritto alla corrispondenza non potranno essere basati sulla ricorrenza del mero “sospetto” della sussistenza dei presupposti normativi indicati; ma dovranno essere fondati su elementi di valutazione concreti (sia pure anche di livello indiziario) tali da conferire un adeguato coefficiente di oggettività (nei termini di una ragionevole probabilità di sussistenza) alle “esigenze” e “ragioni” allegate dal PM o dalla direzione dell’istituto di pena ai fini del vaglio dell’autorità giudiziaria competente per la decisione in ordine all’adozione dei controlli stessi.
Sotto tale profilo si pone in rilievo la circostanza che l’autorità amministrativa si muove alla luce del semplice “sospetto”(art.38,comma 6, D.P.R. 230/2000), mentre la successiva decisione dell’autorità giudiziaria investita della decisione finale sul trattenimento o inoltro della missiva dovrà corrispondere alle coordinate normative indicate dal comma 1 dell’art.18 ter O.P. che sottendono l’esigenza del raggiungimento della prova in ordine alla sussistenza delle condizioni richiamate dalla normativa stessa..
Il giudice è tenuto,infatti, alla luce del nuovo art.18 ter O.P., a motivare la propria decisione sulla base di riscontrate esigenze attinenti ai profili previsti dal comma 1 della norma citata.
Il comma 1 dell’art.18 ter O.P. stabilisce che il provvedimento giudiziario di controllo sulla corrispondenza ha efficacia per un termine massimo di sei mesi, prorogabili successivamente per periodi di tre mesi ciascuno.
Se è apprezzabile la previsione di una sorta di riesame automatico della decisione del giudice decorso il termine iniziale fissato nel provvedimento (ovvero,in ogni caso, quello massimo stabilito dalla legge);deve, per contro, osservarsi come la previsione di un termine di fatto elastico, quale previsto dalla nuova norma, elude il dictum della Corte di Strasburgo, che aveva – come sopra detto – censurato la normativa italiana proprio sotto il profilo della carenza della previsione di un termine massimo di applicazione delle misure restrittive.
Peraltro, la decorrenza del termine sopra detto senza che sia intervenuta una nuova decisione dell’autorità giudiziaria si ritiene comporti la caducazione automatica del regime dei controlli imposti alla corrispondenza del detenuto, trattandosi di provvedimenti – quelli previsti dall’art.18 ter O.P., a carattere eccezionale a fronte della fruizione di un diritto costituzionalmente garantito.
La nuova disciplina integra opportunamente la normativa già vigente[18] stabilendo che i controlli di cui al comma 1 dell’art.18ter O.P. non possono estendersi alla corrispondenza epistolare o telegrafica indirizzata ai soggetti indicati nel comma 5 dell’articolo 103 del codice di procedura penale[19], all’autorità giudiziaria, alle autorità indicate nell’articolo 35 O.P.[20], ai membri del Parlamento, alle Rappresentanze diplomatiche o consolari dello Stato di cui gli interessati sono cittadini ed agli organismi internazionali, amministrativi o giudiziari, preposti alla tutela dei diritti dell’uomo di cui l’Italia fa parte.
6. La tipologia dei controlli attivabili.
Ricorrendo le condizioni di legge sopra viste, “possono essere disposti, nei confronti dei singoli detenuti o internati, per un periodo non superiore a sei mesi, prorogabile per periodi non superiori a tre mesi:
limitazioni nella corrispondenza epistolare e telegrafica e nella ricezione della stampa;
la sottoposizione della corrispondenza a visto di controllo;
il controllo del contenuto delle buste che racchiudono la corrispondenza, senza lettura della medesima.”
L’art.18ter O.P. di nuova introduzione distingue un triplice ordine di provvedimenti che, in ordine di crescente incisività sul diritto di cui all’art.15 Cost., sono: il controllo delle buste,senza esame degli scritti contenuti nelle stesse(in tal caso, l’apertura delle buste che racchiudono la corrispondenza avviene alla presenza del detenuto o dell’internato); il visto di controllo (che implica l’esame dello scritto);le limitazioni alla possibilità di ricevere ed inviare corrispondenza, o di ricevere la stampa.
Si tratta di attività di controllo molto diverse tra loro: mentre le prime due realizzano un vulnus sulla riservatezza della corrispondenza, senza tuttavia limitarne l’esercizio; la terza pregiudica la possibilità stessa di esercitare pienamente il diritto inciso.
La prima ipotesi di controllo riproduce la disciplina dell’ispezione, prevista dall’art.38, comma 5, D.P.R. 230/2000.
L’ispezione si connota quale atto non più di competenza esclusiva dell’amministrazione penitenziaria, come invece prevedeva la disposizione regolamentare citata; bensì devoluta all’autorità giudiziaria.
Per tale ragione, deve ritenersi che la disposizione regolamentare dell’art.38, comma 5, D.P.R. 230/2000, sia stata implicitamente abrogata dallo jus superveniens , fonte di rango primario.
L’ispezione è mirata alla verifica che la corrispondenza in busta chiusa, in arrivo o in partenza, non contenga valori ovvero oggetti non consentiti.
Detta operazione coinvolge l’intero volume della corrispondenza del detenuto o internato ed ha evidenti finalità di prevenzione in rapporto alle esigenze di tutelare l’ordine e la sicurezza interna all’istituto di pena.
Poiché l’accennato strumento ispettivo può,ora, essere attuato soltanto su decisione dell’autorità giudiziaria e con modalità tali da garantire l’assenza di controlli sullo scritto, la disposizione sembra compatibile con la garanzia della “doppia riserva” posta a tutela della riservatezza delle comunicazioni dall’art.15 della Costituzione .
Va, peraltro,considerato che neppure nella vigenza della vecchia disciplina aveva ragione di porsi un problema di rispetto delle garanzie costituzionali, poiché, trattandosi – l’ispezione – di uno strumento di controllo non esteso al contenuto dello scritto, non incideva la sfera di inviolabilità e riservatezza della corrispondenza presidiata dall’art.15 Cost. .
La seconda tipologia di controlli(visto di controllo con possibilità di trattenimento) ha modalità ben maggiormente invasive dell’area di tutela costituzionalmente circoscritta.
La disposizione dell’art.18 ter, comma 5, O.P. stabilisce che” Qualora, in seguito al visto di controllo, l’autorità giudiziaria…ritenga che la corrispondenza o la stampa non debba essere consegnata o inoltrata al destinatario, dispone che la stessa sia trattenuta.”
Analoga previsione è inserita nell’art.38, comma 6, D.P.R. 230/2000:la direzione dell’istituto, quando abbia sospetto che, nella corrispondenza epistolare, siano contenuti elementi che costituiscono pericolo per l’ordine o la sicurezza ovvero che integrano fattispecie di reato, trattiene la missiva, inoltrando immediata segnalazione all’autorità giudiziaria[21] per i provvedimenti del caso.
In tali evenienze, l’autorità giudiziaria investita dal direttore dell’istituto potrà disporre gli opportuni provvedimenti, previa verifica della sussistenza dei presupposti che hanno giustificato il trattenimento della corrispondenza.
In particolare, il magistrato di sorveglianza potrà trasmettere gli atti alla competente Procura della Repubblica (e disporre la sottoposizione a visto della corrispondenza del recluso) qualora ritenga integrata una notizia di reato; in caso contrario disporrà l’inoltro della missiva al destinatario ; mentre l’autorità giudiziaria procedente potrà direttamente attivarsi, anche nelle forme cautelari (cfr. artt. 253 e 254 c.p.p.).
Qualora la corrispondenza sospetta sia già oggetto di sottoposizione a visto di controllo, è inoltrata o trattenuta su decisione dell’autorità giudiziaria (art. 38, comma 6, D.P.R. 230/00)[22].
E’ dubbio se la citata disposizione regolamentare conservi efficacia, essendo dettata con riferimento all’attività ispettiva disciplinata dall’art.38, comma 5, D.P.R. 230/2000 (non più consentita).
Pare, tuttavia , plausibile ritenere che possa residuare in capo alla direzione dell’istituto il potere cautelare di trattenimento previsto dalla disposizione dell’art.38, comma 6, in esame, non rientrando, quest’ultima, tra le ipotesi di controllo la cui disciplina è stata riformulata dalla nuova disciplina introdotta dalla L. 95/2000, trattandosi di atto cautelare, necessariamente attivato dall’amministrazione penitenziaria nell’immediatezza della situazione che genera il “sospetto” sul contenuto della missiva, e non ponendosi, per giunta, alcun problema di contrarietà con i principi costituzionali od europei, stante la previsione dell’immediato investimento dell’autorità giudiziaria ai fini della decisione finale..
Di contro, potrebbe obiettarsi, che il principio costituzionale sancito dall’art.15 Cost., risulta in buona sostanza eluso, sia sotto il profilo della riserva di legge (poiché la disciplina del trattenimento amministrativo della corrispondenza è stabilita unicamente dalla norma regolamentare di cui all’art. 38, comma 6, del D.P.R.230/00); sia per l’assenza dell’intervento dell’autorità giudiziaria fin dal primo momento della potenziale compressione di tale diritto .
Una regolamentazione della materia maggiormente armonica con i richiamati principi costituzionali avrebbe dovuto tenere conto del carattere assoluto e immediatamente cogente della tutela costituzionale della libertà di comunicazione, e della subordinazione delle limitazioni poste dal legislatore all’esercizio di tale diritto alle garanzie costituzionali della duplice riserva di legge e giurisdizione[23].
Peraltro, sotto l’aspetto dell’eccessiva discrezionalità attribuita alla pubblica autorità nell’adottare comportamenti lesivi della libertà di corrispondenza dei reclusi, stigmatizzata dalla Corte di Strasburgo,la norma dell’art.38, comma 6, del D.P.R. 230/2000 appare senz’altro contrastante con i principi europei, poiché collega l’intervento censorio dell’autorità amministrativa e – in seconda battuta – giudiziaria, al presupposto, quanto mai vago e impalpabile, della sussistenza del “sospetto” che nella corrispondenza si celino elementi di reato o costituenti comunque pericolo per l’ordine e la sicurezza.
7. Le limitazioni alla possibilità di ricevere corrispondenza e stampa.
L’art. 18 ter, comma 1, lett.a), O.P. prevede altresì che l’autorità giudiziaria può, con decreto motivato, stabilire “limitazioni nella corrispondenza epistolare e telegrafica e nella ricezione della stampa”.
La norma di nuovo conio riproduce la corrispondente disposizione dell’art.18, comma 9 O.P., abrogato dall’art.3 della L.95/2004 .
Il potere disciplinato dalla citata norma si distingue nettamente dalle altre due tipologie di interventi previsti : mentre l’ispezione e la sottoposizione della corrispondenza a visto di controllo si caratterizzano per costituire forme di controllo in senso proprio; le limitazioni alla ricezione della corrispondenza e della stampa si configurano quali strumenti a spiccata connotazione cautelare con finalità specialpreventiva, suscettibili di incidere nella possibilità stessa di esercitare pienamente il diritto di corrispondenza con l’esterno del carcere.
Dette limitazioni possono essere adottate tanto in seguito all’attivazione dei controlli (ispezione e visto) previsti dall’art.18 ter, comma 1, O.P.; quanto in seguito alla richiesta del PM ovvero della direzione dell’istituto, anche a prescindere dalla sussistenza dell’ eventuale visto di controllo già disposti dal giudice.
Ciò posto, appare evidente l’affinità dello strumento delle limitazioni alla ricezione della corrispondenza e della stampa con le misure cautelari (la limitazione in esame può essere,infatti, chiesta al giudice dal PM per ” esigenze attinenti le indagini o investigative o di prevenzione dei reati” (art.18 ter, comma 1, O.P.).
Consequenziale alla rilevata natura giuridica dell’istituto, le limitazioni alla possibilità di ricevere corrispondenza e stampa non possono essere disposte dall’autorità amministrativa né dall’autorità giudiziaria requirente – le quali conservano unicamente la facoltà di compulsare il giudice – essendo, quello di applicare le viste misure, un potere riservato esclusivamente all’autorità giudiziaria competente.
Il potere di disporre limitazioni alla ricezione della stampa e della corrispondenza non è limitato, dalla legge, sotto il profilo quantitativo, potendo l’estensione delle limitazioni stabilite dal giudice estendersi ad un numero e tipologia indefinita di contatti epistolari o di stampa, con l’unico limite – arguibile dalla lettera della legge – che le limitazioni imposte non determinino la totale esclusione della possibilità di interloquire con l’esterno attraverso tali forme di comunicazione.
Per converso, la legge è più precisa nel disciplinare le condizioni sussistendo le quali è consentito al giudice di emettere il provvedimento di cui al comma 1 dell’art.18 ter O.P.: si tratta di quelle specificamente indicate nella stessa norma citata oltre – come si ritiene – a quelle previste dall’art.8 della Convenzione Europea del 1950.
8. Il regime giuridico della corrispondenza o della stampa trattenuta.
La nuova disciplina introdotta dalla L. 95/2004 non tocca la delicata questione concernente il regime giuridico cui gli atti, trattenuti ai sensi dell’art.18ter ,comma 5, O.P.,devono essere assoggettati[24].
Invero, quanto al trattamento giuridico della corrispondenza trattenuta, non è dato rinvenire, nella normativa penitenziaria, alcuna disposizione che disciplini le vicende successive al provvedimento di trattenimento definitivo, in particolare con riferimento alla problematica della custodia delle missive trattenute e della loro eventuale restituzione all’interessato.
In proposito, pare anzitutto opportuno distinguere le due diverse fattispecie che integrano il presupposto per il provvedimento di trattenimento: costituite, rispettivamente, dal “sospetto” che nella corrispondenza si celino elementi di reato; ovvero che la missiva costituisca, essa stessa, “pericolo per l’ordine e la sicurezza”(art.38, comma 6, D.P.R. 230/00).
A queste si aggiunge, quale terza fattispecie, la previsione di cui all’art.18ter, comma 5, O.P., che disciplina l’analogo trattenimento della corrispondenza o della stampa in seguito all’adozione dei provvedimenti di cui al comma 1 della norma citata.
Nella prima ipotesi, all’autorità giudiziaria competerà la delicata valutazione in ordine all’effettiva sussistenza, nella corrispondenza segnalata dalla direzione dell’istituto, di quegli “elementi di reato” che giustificano il provvedimento cautelare.
Nel caso affermativo, sempre che non vi abbia già provveduto d’iniziativa il personale di P.G. presso l’ufficio matricola dell’istituto di pena (art.321 c.p.p.), il magistrato trasmetterà gli atti alla Procura della Repubblica competente a ricevere la notizia di reato, e pertanto l’eventuale sequestro del corpo di reato, la sua custodia ed eventuale restituzione, seguirà la disciplina del codice processuale penale (artt. 253 ss. c. p.p.).
Qualora, al contrario, l’autorità giudiziaria non ravvisi la sussistenza di elementi costituenti reato nella corrispondenza esaminata, ne disporrà la restituzione all’autorità amministrativa per l’inoltro al destinatario.
Diversa è l’ipotesi in cui la missiva trattenuta rappresenti un “pericolo per l’ordine e la sicurezza”: in tal caso, la corrispondenza, in forza di motivato provvedimento dell’autorità giudiziaria, è definitivamente trattenuta presso l’ufficio matricola del carcere e non può essere inoltrata.
Si realizza, in tal guisa, una forma di sequestro preventivo atipico: esso mira, infatti, a realizzare gli scopi di prevenzione propri dello strumento di cui all’art.321 c.p.p.
Desta perplessità la constatazione che l’ordinamento non prevede alcuna forma di tutela giurisdizionale a fronte dell’eventuale diniego dell’autorità giudiziaria alla restituzione della corrispondenza trattenuta.
E’ da ritenere, infatti, che la direzione dell’istituto non sia tenuta né autorizzata a disporre la restituzione o l’inoltro della corrispondenza trattenuta e depositata presso di sé, ovvero acconsentire al rilascio di copia della stessa, senza richiedere l’intervento dell’autorità giudiziaria.
Quest’ultima dovrà verificare che la situazione di pericolo per l’ordine o la sicurezza, che aveva formato il presupposto per l’adozione del provvedimento di trattenimento, non sia più attuale, e, in tal caso, disporrà l’immediata restituzione o inoltro della corrispondenza trattenuta.
E’ infatti opportuno osservare che, trattandosi – il decreto che dispone il trattenimento della corrispondenza – di provvedimento ad effetti continuativi, legittimamente emesso soltanto in presenza dei presupposti previsti dalla legge (elementi di reato ovvero di pericolo per l’ordine e la sicurezza); il sopravvenuto venir meno del presupposto priverebbe, per conseguenza, il provvedimento stesso del suo scopo tipico, rendendo a quel punto illegittimo il mantenimento ulteriore dell’operatività del medesimo.
In tal caso, parrebbe già possibile l’emissione di un decreto magistratuale in sede di autotutela, diretto alla rimozione dell’atto di trattenimento, su sollecitazione o meno del destinatario di esso, mediante revoca (rectius: abrogazione) del provvedimento, ciò che non richiede un’ esplicita previsione normativa.
L’immanenza del principio costituzionale dell’art.15 Cost. sopra ricordato, posto a garanzia della libertà di corrispondenza, rende al contrario la revoca, nell’ordinarietà delle ipotesi discrezionale, un atto dovuto.
Va, peraltro, considerato che la stessa previsione normativa, che collega l’emissione del provvedimento di trattenimento della corrispondenza all’attualità della situazione di pericolo per l’ordine e la sicurezza, contiene in sé la previsione del termine finale di efficacia, cioè il venir meno della descritta contingenza.
Ciò posto, l’intervento del magistrato di sorveglianza avrebbe natura e contenuti di atto di mero accertamento dichiarativo.
Allo stesso modo, la stessa istanza dell’interessato diretta alla restituzione della corrispondenza cesserebbe di essere necessariamente configurata nei termini di reclamo-ricorso ex art. 35 e 69 O.P., venendo a configurarsi quale semplice domanda di restituzione delle cose trattenute, fondata sul (riespanso) diritto del proprietario .
9.La corrispondenza con il difensore.
Una sfera adeguata di tutela è riservata invece, nella materia in rassegna, alla corrispondenza epistolare con il difensore.
L’art.103, comma 6, c.p.p. pone infatti un divieto assoluto di controllo o sequestro della corrispondenza tra l’imputato e il proprio difensore, derogabile soltanto qualora l’autorità giudiziaria abbia fondato motivo di ritenere che si tratti di corpo del reato.
L’art.35 disp. att. c.p.p. completa la citata tutela sottraendo la corrispondenza tra l’imputato detenuto e il suo difensore al sistema dei controlli stabiliti dalla normativa penitenziaria.
Stante la lettera della legge, appare dubbia – ma plausibile alla luce dell’inviolabilità del diritto di difesa- la possibilità di estendere la descritta disciplina alla corrispondenza dei detenuti o internati che non rivestono la qualifica giuridica di “imputati” (paradigmatico il caso di detenuti in espiazione di pena a titolo definitivo che intendono interloquire con il proprio difensore in relazione ad un procedimento di sorveglianza).
Un’ulteriore piano di valutazione è costituito dall’intersezione della normativa penitenziaria in esame con il regime delle indagini difensive introdotto con la legge 397/2000[25].
E’ da ritenere, infatti, applicabile, in relazione ai controlli sulla corrispondenza previsti dall’art. 38 DPR 230/2000 , il disposto dell’art. 391 quater c.p.p., introdotto dalla citata L. 397/2000 laddove stabilisce che, ai fini delle indagini difensive, “il difensore può chiedere i documenti in possesso della pubblica amministrazione e di estrarne copia a sue spese”[26].
In questi casi, se pure la pubblica amministrazione compulsata può opporre un eventuale, motivato, rifiuto, questo comunque potrà essere superato dal provvedimento di sequestro giudiziale della documentazione richiesta in seguito all’istanza del difensore al giudice di cui all’art. 368 c.p.p., disposizione richiamata dal comma 3 della norma dell’art. 391 quater citato.
Incomberà, peraltro, in casi consimili, ai funzionari amministrativi il dovere di diligenza nell’accertarsi della qualità del difensore che richiede l’accesso ai documenti detenuti, in particolare attraverso l’esibizione del mandato difensivo che dovrà,in particolare, essere congruo con la natura dei documenti richiesti in visione o in copia, sotto il profilo tanto oggettivo che soggettivo .
Per quanto concerne, invece, l’ipotesi che la corrispondenza trattenuta sia stata trasfusa nell’istruttoria di un procedimento giurisdizionale, il regime che ne regola l’accesso e la consultazione dovrà rapportarsi alle norme del diritto processuale penale.
Tuttavia, qualora tali documenti siano già presenti nel fascicolo processuale depositato presso la cancelleria del giudice che procede il difensore dovrà rivolgersi alla citata cancelleria per essere ammesso alla consultazione del fascicolo, non potendosi in tal caso applicare la norma dell’art.391 quater citata, che si riferisce esclusivamente alla fase delle indagini preliminari.
Con riferimento ai procedimenti trattati con il rito camerale,vale il principio generale della ostensibilità degli atti e documenti che afferiscono ad un procedimento già incardinato.
L’indicata regola generale, sia pure non stabilita in termini espliciti dal codice di rito, viene fatta derivare dal combinato disposto degli artt. 666 e 678, comma 1, c.p.p., laddove è consentito alle parti del procedimento in camera di consiglio di depositare memorie in cancelleria “fino a cinque giorni prima dell’udienza”.
Tale diritto, si argomenta, presuppone logicamente la previa libera consultazione dei documenti presenti nel fascicolo procedimentale.
Al contrario, fondati dubbi possono palesarsi in rapporto all’applicabilità del citato principio di piena ostensibilità con riferimento ai procedimenti di competenza della magistratura di sorveglianza per la concessione dei permessi (ai sensi degli artt. 30 e 30 ter O.P.) e per i procedimenti interinali o “cautelari” di competenza del magistrato di sorveglianza (quali, a es. quelli incardinati ai sensi degli artt 684 c.p.p., . 51 bis e 51 ter dell’O.P., ovvero quelli avviati ai sensi dell’art. 47 comma 4 o 47 ter comma 1 bis dell’O.P. come modificati dalla legge “Simeone”).
Quanto ai secondi, si realizza una sorta di “ostensibilità differita”,al momento dell’incardinazione del procedimento presso il tribunale di sorveglianza ai fini della decisione definitiva.
Tuttavia, essendo i procedimenti di natura “cautelare” attribuiti al magistrato di sorveglianza ai sensi degli artt. 47 comma 4, 47 ter comma 1 bis e 51 bis e ter della L. 354/75, di evidente natura giurisdizionale – essendo suscettivi di incidere immediatamente sulla libertà personale del soggetto e prodromici , quali sub procedimenti , alla pronuncia definitiva da parte del competente tribunale di sorveglianza, pare conseguente ritenere – anche in tale fattispecie – la piena ed immediata ostensibilità degli atti.
In rapporto ai procedimenti per la concessione dei permessi, pare fondata la tesi della natura amministrativa degli stessi, essendo l’esperienza premiale parte del trattamento penitenziario e non incidendo sulla libertà della persona (che continua, anche se ammessa ai permessi premio) ad essere assoggettata all’espiazione detentiva della pena)[27].
Sembra, pertanto, conseguente far discendere da tale premessa la sottrazione dei documenti e degli atti presenti nel fascicolo del permesso alla disciplina dell’accesso ai documenti contemplata dagli artt. 666 e 678 del codice di procedura penale.
Ricorrendone i presupposti, potrà, invece, essere consentito l’accesso agli atti del fascicolo ai sensi degli artt. 236 e 391 quater c.p.p..
Piuttosto singolarmente, deve rilevarsi che anche tra coloro che ritengono pacifica la natura giurisdizionale del procedimento in materia di permessi, è tuttavia radicata la tesi della non ostensibilità degli atti inseriti nel fascicolo, alla luce della considerazione che la legge non prevede l’assistenza tecnica del difensore e che la decisione viene adottata senza formalità di procedura[28].
La tesi peraltro non è del tutto persuasiva, poiché collega il diritto di accesso ai documenti fascicolati alla possibilità del difensore di interloquire nel procedimento: facoltà che deve ritenersi pienamente consentita al difensore eventualmente nominato dall’interessato, in particolare se si accoglie la tesi della giurisdizionalizzazione della procedura in materia di concessione dei permessi.
La prospettiva muta in caso di reclamo al tribunale di sorveglianza avverso il provvedimento del magistrato di sorveglianza in materia di permessi (art. 30 bis O.P.), poiché in tal caso, indubbia essendo la natura giurisdizionale del procedimento camerale così attivato, vigerà il regime di piena ostensibilità degli atti contenuti nel fascicolo del reclamo secondo la normativa processuale (artt. 666, 678 c.p.p.).
10.Procedimento applicativo .
La nuova disciplina stabilisce (art.18 ter, comma 3, O.P.) che i provvedimenti in materia di controllo sulla corrispondenza dei detenuti sono adottati con decreto motivato, su richiesta del pubblico ministero o su proposta del direttore dell’istituto, dal magistrato di sorveglianza (se riguardano la posizione di persone condannate a titolo definitivo o gli imputati dopo la pronuncia della sentenza di primo grado) ovvero dal giudice indicato dall’art.279 c.p.p. e – in caso di giudice collegiale – il presidente del tribunale o della corte d’assise (nel caso di soggetti imputati prima della pronuncia della sentenza di primo grado) .
Per quanto concerne gli imputati, la corrispondente previsione dell’art.18 comma 8 è abrogata in parte qua, per quanto attiene ai controlli, dalla disposizione dell’art.3, comma 3, della L. 95 /2004.
L’attuale assetto normativo esclude, inoltre, la possibilità di attivazione officiosa del controllo da parte dell’autorità giudiziaria:l’art.3,comma 2, L. 95/2004 ha,infatti,abrogato espressamente il comma 7 dell’art.18 O.P. che consentiva l’iniziativa autonoma del magistrato di sorveglianza.
Deve, del pari, ritenersi implicitamente abrogata anche la disposizione dell’art.38, comma 7, D.P.R. 230/2000, in materia di trattenimento definitivo della corrispondenza,per incompatibilità con lo jus superveniens (la norma regolamentare espressamente ammetteva l’iniziativa ufficiosa dell’ autorità giudiziaria ai fini della sottoponibilità a visto di controllo della corrispondenza, in alternativa alla segnalazione della direzione dell’istituto di pena),e dal momento che la corrispondente disciplina del trattenimento definitivo è ora integralmente disciplinata dall’art.18 ter, comma 5,O.P.).
La mancata previsione dell’attivabilità ex officio del controllo appare giustificata in rapporto alle esigenze attinenti alle indagini, che il giudice del processo può non conoscere, del che risulta logica l’attribuzione dell’iniziativa unicamente al PM, organo deputato al coordinamento delle indagini preliminari.
Appare, al contrario, incongrua, tale previsione, con riferimento all’esclusione dell’iniziativa officiosa del magistrato di sorveglianza, soprattutto alla luce dei poteri di controllo e vigilanza sulla vita carceraria attribuiti a detto organo dall’art.69 O.P. .
Alla stregua di quanto stabilito dall’art.18 ter O.P., infatti, al magistrato di sorveglianza è preclusa la possibilità di attivarsi motu proprio, anche in presenza di eventuali pericoli per l’ordine e la sicurezza dell’istituto dei quali egli venga a conoscenza in sede – poniamo – di colloqui con i detenuti o nel corso delle periodiche visite agli istituti di pena: con la conseguenza che il magistrato si vedrà costretto a compulsare la direzione dell’istituto affinché gli faccia pervenire una richiesta di provvedere nel senso indicato dall’art.18 ter O.P., con un circolo vizioso esiziale in rapporto al carattere di immediatezza e urgenza proprio di tale tipo di intervento magistratuale.
Viene ribadita dalla normativa di nuova vigenza (art.18 ter, comma 4, O.P.) la possibilità – già prevista dall’abrogato comma 9 dell’art. 18 O.P.- che l’autorità giudiziaria, nel disporre la sottoposizione della corrispondenza a visto di controllo, se non ritiene di provvedere direttamente, possa delegare il controllo al direttore o ad un appartenente all’amministrazione penitenziaria designato dallo stesso direttore.
Già contenuta nella normativa regolamentare vigente per il trattenimento amministrativo (art.38, comma 7, D.P.R. 230/2000) è – come detto – la previsione che qualora, in seguito al visto di controllo, l’autorità giudiziaria competente ritenga che la corrispondenza o la stampa non debba essere consegnata o inoltrata al destinatario, ne è disposto il trattenimento (art.18 ter, comma 5,O.P.).
La nuova norma non precisa la forma del provvedimento di trattenimento, che peraltro, alla luce delle considerazioni sopra svolte, non pare possa prescindere dal rivestire le forme del decreto motivato.
11. Reclamabilità dei provvedimenti di controllo della corrispondenza.
A somiglianza di quanto disposto dall’art.38, comma 10, D.P.R. 230/2000, la nuova legge prevede che il detenuto e l’internato vengano immediatamente informati dell’avvenuto trattenimento (art.18 ter, comma 5, O.P.).
Tale previsione appare non perfettamente coerente con la nuova prospettiva in cui si muove la L. 95/2004.
Si tratta, invero, della pedissequa riproposizione della previsione di cui all’art.38, comma 10, D.P.R. 230/2000, che, tuttavia, non era finalizzata alla attivazione dell’eventuale tutela giurisdizionale.
Infatti – come si é detto – alla stregua della normativa previgente era ipotizzabile soltanto l’esperimento del reclamo al magistrato di sorveglianza avverso il provvedimento amministrativo adottato dalla direzione dell’istituto ai fini del controllo sulla corrispondenza del detenuto (artt.35 e 69 O.P.), ovvero il ricorso al T.A.R.; mentre non era possibile alcuna tutela giurisdizionale nei confronti dei provvedimenti emessi dall’autorità giudiziaria.
Con la nuova disposizione, viene, invece, espressamente prevista la possibilità di proporre , “contro i provvedimenti dell’autorità giudiziaria di cui ai commi 1 e 5 dell’art.18 ter O.P., reclamo, secondo la procedura prevista dall’articolo 14-ter O.P. al tribunale di sorveglianza, se il provvedimento è emesso dal magistrato di sorveglianza, ovvero, negli altri casi, al tribunale nel cui circondario ha sede il giudice che ha emesso il provvedimento”, prevedendo altresì che “del collegio non può fare parte il giudice che ha emesso il provvedimento” e che “si applicano le disposizioni dell’articolo 666 del codice di procedura penale.”
Appare pertanto incongruo che, alla luce della configurazione del procedimento relativo al reclamo dei detenuti di cui all’art.18 ter O.P. quale forma di tutela giurisdizionale e non (più) amministrativa, non sia stata correlativamente previsto l’obbligo dell’adozione, in relazione all’informativa all’interessato, di forme congrue con il carattere giurisdizionale del procedimento (a es. la forma della comunicazione o della notificazione del provvedimento giudiziario suscettibile di impugnativa) e con la conseguente necessità di disporre di un atto avente data certa ai fini della verifica del rispetto da parte del detenuto del termine per proporre il reclamo.
L’omessa previsione desta ancor maggiori perplessità laddove il legislatore prevede espressamente, nell’art.14ter O.P., che la facoltà di reclamo può essere esercitata dall’interessato nel termine di dieci giorni “dalla comunicazione del provvedimento definitivo” .
Resta, inoltre, del tutto pretermessa la problematica di assicurare all’interessato un’efficace tutela in sede giurisdizionale nei confronti degli atti amministrativi lesivi del diritto all’esercizio della corrispondenza, i quali, allo stato, continuano ad essere sindacabili soltanto con ricorso al magistrato di sorveglianza ai sensi degli artt.35 e 69 O.P. (risultando di ben difficile praticabilità l’ipotesi del ricorso al T.A.R.).
E’ evidente, peraltro, dal momento che, nell’attuale disciplina alla luce della L.95/2004, all’autorità amministrativa è consentita unicamente l’adozione di atti di tipo cautelare (ispezione e trattenimento: art.38, comma 6, D.P.R. 230/2000), destinati ad essere immediatamente doppiati da una pronuncia giudiziale (reclamabile ai sensi dell’art.14 ter O.P.),che il sistema attuale assicura un’adeguata tutela alle posizioni soggettive della persona detenuta suscettibili di essere incise dai provvedimenti restrittivi di cui all’art.18 ter O.P. .
La più grave omissione della nuova disciplina si registra, invece, nella mancata previsione dell’obbligo di informativa al detenuto o all’internato del provvedimento previsto al comma 1 dell’art.18 ter O.P. ai fini della decorrenza del termine per la proposizione dell’eventuale reclamo .
Tale carenza rende estremamente difficoltoso l’esercizio del diritto di adire l’autorità giudiziaria da parte del soggetto detenuto o internato la cui corrispondenza sia sottoposta al visto di controllo, poiché egli verrà a conoscenza dell’esistenza del provvedimento del giudice soltanto nel caso la corrispondenza, dopo il visto, sia stata trattenuta definitivamente con provvedimento del giudice, ovvero nel momento in cui riceverà la comunicazione prevista dalla citata circolare 14.3.1994 n.3382/5832 ; od ancora, nel momento in cui sarà chiamato a presenziare all’esame di cui all’art.18 ter, comma 1, lett. c), O.P.
12.Le nuove norme applicabili ai procedimenti in corso.
L‘art.2 della L.95/2004 stabilisce che le disposizioni dell’articolo 18-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354,si applicano anche ai provvedimenti in corso di esecuzione alla data di entrata in vigore della medesima legge.
Avverso tali provvedimenti l’interessato, nel termine di venti giorni (si ritiene, dalla data di entrata in vigore della legge 95/2004, cioè dal 15.4.2004) può proporre reclamo secondo le modalità indicate dal medesimo articolo 18-ter, comma 6, O.P., e dunque attivando il procedimento avanti al tribunale disciplinato dall’art. 14 ter O.P. in materia di reclamo avverso il provvedimento che dispone o proroga il regime di sorveglianza particolare.
A differenza del citato procedimento, di competenza esclusiva del tribunale di sorveglianza, il reclamo previsto dall’art. 18 ter, coma 6, O.P. , la competenza si radica avanti al tribunale di sorveglianza se il provvedimento impugnato è stato emesso dal magistrato di sorveglianza; presso il tribunale ordinario nel cui circondario ha sede il giudice che ha emesso il provvedimento, negli altri casi.
13.Il regime di sorveglianza particolare.
L’art.3 della L. 95/2004 sostituisce la disposizione dell’articolo 14-quater,comma 2, della legge n.354/75,che detta disposizioni in materia di contenuto del regime di sorveglianza particolare, riformulandone il testo nei termini seguenti:“per quanto concerne la corrispondenza dei detenuti, si applicano le disposizioni dell’articolo 18-ter”.
La disposizione appare opportuna: la facoltà di reclamo avverso il provvedimento che applica il regime di sorveglianza particolare era già prevista dall’art.14 ter O.P.; mancava, per converso, la previsione di analoga tutela nei confronti del provvedimento dell’autorità giudiziaria che disponga il visto di controllo sulla corrispondenza del detenuto sottoposto a sorveglianza particolare.
Con la nuova disciplina si completa, dunque, organicamente il sistema delle tutele poste a garanzia del controllo di legittimità nei confronti dei provvedimenti che impongono le restrizioni del regime di sorveglianza particolare.
14. L’emissione dei provvedimenti di cui all’art. 18 ter O.P. non comportano l’incompatibilità del giudice.
L’art.3, comma 4, della L. 95/2004, stabilisce che “All’articolo 34 del codice di procedura penale, al comma 2-ter, lettera b), le parole: “previsti dall’articolo 18” sono sostituite dalle seguenti: “previsti dagli articoli 18 e 18-ter”.
Con la citata norma, il legislatore ha esteso la previsione di non applicabilità dell’incompatibilità disciplinata dall’art.34 c.p.p. ai provvedimenti emessi ai sensi della nuova norma dell’art.18 ter O.P. .
Note:
[1] La libertà di corrispondere con il mondo esterno è considerata di grande importanza ai fini del trattamento penitenziario (art.15 L. 26 luglio 1975, n.354), particolarmente per tutti coloro che, in quanto detenuti stranieri o ristretti in istituti di pena lontani dai luoghi di origine, proprio attraverso la corrispondenza possono mantenere vivi i contatti con i propri familiari e l’ambiente sociale di provenienza.
[2] La “Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali”, firmata a Roma il 4 novembre 1950, è stata ratificata dall’Italia con L. 4 agosto 1955, n.848. Il testo originario della Convenzione è stato ampiamente emendato dal Protocollo addizionale n.11, fatto a Strasburgo l’11 maggio 1994 e ratificato dall’Italia con L. 28 agosto 1997, n.348. Paradigmatica, in materia di tutela della corrispondenza,, la sentenza della Corte Europea dei diritti dell’Uomo sul caso del detenuto Calogero Diana (CEDU 15.11.1996, Diana c.Italia), in Dir.Pen.Proc.,1997,p.162 e seg., che rappresenta il leading case della giurisprudenza della Corte di Strasburgo in tema di garanzie sul controllo della corrispondenza delle persone detenute negli istituti di pena del nostro Paese. In tema, cfr. BARTOLE-CONFORTI-RAIMONDI, Commentario alla Convenzione Europea per la tutela dei diritti delll’uomo e delle libertà fondamentali,2001, Cedam,Padova, p.311-312.
[3] Il D.P.R. 30 giugno 2000, n.230, “regolamento recante norme sull’ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà”, ha sostituito, mediante abrogazione espressa, il regolamento penitenziario previgente (D.P.R. 26 aprile 1976, n.431).
[4] Cfr. GREVI-GIOSTRA-DELLA CASA, Ordinamento Penitenziario,2000, Cedam, Padova,p.196. Sono consentiti, oltre ai colloqui, la corrispondenza telefonica, epistolare e telegrafica.Quella a mezzo fax è consentita solo in arrivo.Nulla si dice a proposito delle comunicazioni radiofoniche, a mezzo cassette registrate o via e-mail. Data l’elencazione precisa e dettagliata contenuta nella legge e nel regolamento, essa deve considerarsi come esaustiva e perciò stesso escludente, così come appare nell’intenzione del legislatore. Ne consegue il divieto dell’utilizzabilità, da parte dei reclusi, di mezzi di comunicazione diversi da quelli previsti ed autorizzabili.
[5] E’ chiaro, pertanto, il divieto di sottoporre a censura generalizzata (indiscriminata) tutta la corrispondenza in uscita da un determinato istituto di pena.Tale divieto deve ritenersi sussistente anche alla luce della nuova disposizione (art.18 ter, comma 3,O.P., che ha sostituito l’abrogato comma 7 dell’art.18 O.P. .
[6] E’ opportuno sottolineare che, per orientamento unanime della dottrina, la disposizione cui si fa cenno (art.18, comma 9, ultimo periodo, O.P.) deve essere intesa come applicabile soltanto nei confronti degli imputati, dovendosi ritenere finalizzata alla prevenzione di possibili interferenze nell’accertamento giudiziale dei fatti oggetto del procedimento penale.Non vi è ragione per ritenere che tale opzione ermeneutica non possa essere confermata in relazione alle corrispondenti disposizioni del nuovo art.18 ter L.354/75, che hanno sostituito quelle del citato comma 9 dell’ art.18 O.P., abrogate dall’art.3 L. 95/2004.
[7]Non vi era – anteriormente alla L.95/2004, alcuna norma che prevedesse forme e termini di reclamabilità dei provvedimenti di censura della corrispondenza dei detenuti, e la stessa Corte di cassazione, nel prendere atto della rilevata lacuna, ha sempre escluso la configurabilità di qualsivoglia veicolo di impugnazione o reclamo a tutela del diritto costituzionalmente garantito alla riservatezza della corrispondenza in favore dei soggetti detenuti : cfr. Cass.,I, 11.03.1994,n.796,Calabro’.In argomento anche Cass.,I, 20.03.1989,ord.n.309,Tuti, che stabilisce la non ricorribilità per cassazione del provvedimento con il quale il magistrato di sorveglianza dispone la sottoposizione a visto di controllo della corrispondenza epistolare e telegrafica del detenuto, in quanto non incide sulla libertà personale nel senso indicato dall’art. 111 Cost. Sulla non reclamabilità del provvedimento con cui il magistrato di sorveglianza dispone, a norma dell’art. 18 legge 26 luglio 1975, n. 354, che la corrispondenza di un detenuto sia sottoposta al visto di controllo, stante la tassatività – nel nostro ordinamento giuridico – dei mezzi d’impugnazione e la mancata previsione, nella legge suddetta, di alcuno di questi cfr. Cass., I, 3.7.1987,n.2182,Rapisarda,in CED; Cass.,I, 14.02.1990,n.3141,Scrima,in CED;Cass.,I, 6.09.1994,n.3558,Ilacqua, in CED;Cass.,I, 24.03.1995,n.6102,Padovani). Nello stesso senso, tenuto conto della natura di atto amministrativo di tipo trattamentale della sottoposizione al visto sulla corrispondenza, cfr. Cass., I, 4.2.1992 n. 4687, Vallanzasca, in CED; Cass., I, 19.05.1993,ord. n.823,Sena,in CED).
[8] Cfr. nota 2 .
[9] Per una rassegna della giurisprudenza CEDU in tema di tutela della corrispondenza, si veda BARTOLE-CONFORTI-RAIMONDI,op.cit.,loc.cit. .
[10] Cfr. nota 2.
[11] Per adeguarsi al principio di diritto stabilito dalla Corte, l’Amministrazione penitenziaria ha disposto con propria circolare dd.14.3.1994 n. 3382/5832 – pur in assenza di disposizioni legislative in merito – che la corrispondenza in arrivo sottoposta a visto di controllo sia annotata in un apposito registro, dandone immediata comunicazione al detenuto interessato, il quale controfirmerà per ricevuta al momento della consegna della corrispondenza controllata.
[12] La valutazione della portata della decisione della Corte europea richiede una precisazione del concetto di “censura”. Il significato corrente del termine, infatti, è quello di esame, da parte di una pubblica autorità, di un testo al fine di consentirne o no la pubblicazione o la rappresentazione, ovvero di impedirne la trasmissione. Il visto sulla corrispondenza introdotto dal legislatore italiano non ha, al contrario, dette finalità, bensì la più limitata funzione di “presa visione” del contenuto di essa.In altri termini, il “visto di controllo” previsto dall’ordinamento penitenziario esula dall’ambito proprio della censura. Peraltro, nella caso specifico, va tenuto presente che il contenuto della corrispondenza indirizzata ad organismi internazionali, amministrativi o giudiziari, preposti alla tutela dei diritti dell’uomo, è destinato necessariamente ad essere notificato allo Stato italiano in sede di formale contestazione.
[13] L’art. 8 della Convenzione Europea per la tutela dei Diritti dell’Uomo recita: “Ogni persona ha diritto al rispetto… della sua corrispondenza. Non è ammessa alcuna limitazione di una pubblica autorità all’esercizio di questo diritto, se non se tale limitazione è prevista dalla legge e costituisce una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, la sicurezza pubblica, il benessere economico del paese, la difesa dell’ordine e la prevenzione dei reati, la tutela della salute o della morale, la tutela delle libertà e diritti altrui.”
Il testo dell’art.13 della Convenzione è il seguente:” Ogni persona i cui diritti e libertà riconosciuti nella presente Convenzione fossero violati, ha diritto di presentare un ricorso avanti ad una magistratura nazionale, anche quando la violazione fosse commessa da persone che agiscono nell’esercizio di funzioni ufficiali”.
[14] Sull’importanza che il provvedimento di sottoposizione a controllo della corrispondenza dei detenuti sia adeguatamente motivato, soprattutto nell’attuale situazione di incertezza normativa in materia, nonché adottato nel rigoroso rispetto delle fattispecie previste dalla legge, cfr. la decisione della Sezione disciplinare del CSM n.78/2000R.G. dd.5.10.00-1.12.00, n.141/00 Reg.dep. Pres.Verde, est. Tossi Brutti, in Quaderni del C.S.M., anno 2002, n.124, p.177.
[15]Sulla disciplina dei controlli prevista dal regolamento penitenziario n.230/2000, cfr. FIORENTIN F. Il controllo sulla corrispondenza epistolare e telegrafica dei detenuti, diritto di difesa e salvaguardia dei diritti fondamentali della persona,in Giust. Pen.,2004,II.
[16] Il testo dell’art.15 Cost. è il seguente:”La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili.La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge”.
[17] Corte Cost. 8-11 febbraio 1999, n.26, pubblicata in G.U., Serie speciale, n.7.
[18] Si tratta di disposizioni in larga parte già previste in sede regolamentare (art.38, comma 11, D.P.R. 230/2000) o nello stesso Ordinamento Penitenziario, laddove stabilisce la possibilità per il detenuto di interloquire “direttamente” con il magistrato di sorveglianza inviandogli missive con il sistema della c.d. “busta chiusa”, cioè non controllabile dall’amministrazione penitenziaria (art.35 O.P.).
[19] Si tratta dei difensori, degli investigatori privati autorizzati e incaricati in relazione al procedimento, dei consulenti tecnici e loro ausiliari. La previsione si pone in linea con la giurisprudenza CEDU in tema di incensurabilità della corrispondenza tra i detenuti ed i loro legali .
[20] Si tratta del direttore dell’istituto, nonché degli ispettori, del direttore generale per gli istituti di prevenzione e di pena, del Ministro della giustizia,del magistrato di sorveglianza,delle autorità giudiziarie e sanitarie in visita all’istituto,del presidente della giunta regionale, del Capo dello Stato.
[21] Anche in tale fattispecie, la normativa regolamentare ripartisce la competenza tra le diverse autorità giudiziarie (rispettivamente, magistrato di sorveglianza o autorità giudiziaria che procede) tenuto conto della posizione giuridica del detenuto.
[22] Le stesse disposizioni dettate in tema di controllo sulla corrispondenza epistolare si applicano ai telegrammi: cfr. art.38 commi 8 e 9 D.P.R. 230/2000.
[23] Con una nota sentenza (C.Cost. n.212/1997), la Corte costituzionale ha in proposito stabilito il principio che il detenuto “pur trovandosi in situazione di privazione della libertà personale in forza della sentenza di condanna, è pur sempre titolare di diritti incomprimibili, il cui esercizio non è rimesso alla semplice discrezionalità dell’autorità amministrativa preposta all’esecuzione della pena detentiva, e la cui tutela pertanto non sfugge al giudice dei diritti”. Più in generale, per il riconoscimento che, anche in situazioni di restrizione della libertà personale, sussistono diritti che l’ordinamento tutela, cfr. le sentenze della Corte Costituzionale n. 410/1993, 351/1996, 376/1997. In altra occasione (cfr. sent. Corte Cost. n.26/99, citata alla nota 8), il giudice delle leggi ebbe così ad esprimersi: “L’idea che la restrizione della libertà personale possa comportare conseguenzialmente il disconoscimento delle posizioni soggettive attraverso un generalizzato assoggettamento all’organizzazione penitenziaria è estranea al vigente ordinamento costituzionale, il quale si basa sul primato della persona e dei suoi diritti…I diritti inviolabili dell’uomo,il riconoscimento e la garanzia dei quali l’art.2 della Costituzione pone tra i principi fondamentali dell’ordine giuridico, trovano nella condizione di coloro i quali sono sottoposti a una restrizione della libertà personale i limiti a essa inerenti, connessi alle finalità che sono proprie di tale restrizione, ma non sono affatto annullati da tale condizione. La restrizione della libertà personale secondo la Costituzione vigente non comporta dunque affatto una capitis deminutio di fronte alla discrezionalità dell’autorità preposta alla sua esecuzione.”
[24] In tema FIORENTIN,cit. .
[25] Si tratta della legge 7 dicembre 2000, n.397, recante “Disposizioni in materia di indagini difensive”, pubblicata in G.U. n.2 del 3 gennaio 2001.
[26] Cfr. nota precedente. L’art. 391 quater c.p.p. recita:”Ai fini delle indagini difensive, il difensore può chiedere i documenti in possesso della pubblica amministrazione e di estrarne copia a sue spese. L’istanza deve esse rivolta all’amministrazione che ha formato il documento o lo detiene stabilmente. In caso di rifiuto della pubblica amministrazione si applicano le disposizioni degli art 367 e 368.”
[27] Cfr. tuttavia per la tesi della giurisdizionalizzazione del procedimento per la concessione dei permessi C. Cost. Sentenza n. 227 del 1995 del 02/06/95 “Secondo la linea da ultimo tracciata dalla giurisprudenza costituzionale, deve essere affermata la natura non amministrativa ma giurisdizionale dei procedimenti di concessione o diniego dei permessi premio e della procedura del reclamo davanti al tribunale di sorveglianza. Da ciò consegue la legittimazione di detto tribunale, ex art. 23, primo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, a sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 30ter della legge 26 luglio 1975, n. 354. Sulla natura amministrativa del procedimento in materia di permessi premio, cfr.Cass.,I, n. 436/1989; Cass.,I, n.1163/1988. Per la nuova linea giurisprudenziale richiamata nella massima, v. Cass.,I, n. 53/1993 e n.349/1993 .
[28] Cfr. Lazzaroni M., intervento in occasione dell’incontro organizzato dal CSM “Tribunali di sorveglianza tra vecchi problemi e nuove prospettive”, Pavia, 24 novembre 2001.
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