Indice
- Corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio (art. 319 c.p.)
- Circostanze aggravanti (art. 319 bis c.p.)
1. Corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio (art. 319 c.p.)
Per completezza dell’esposizione, giova ricordare che il delitto il scrutinio è stato oggetto di riforma, in merito al trattamento sanzionatorio, ad opera della legge 6 novembre 2012, n. 190 – Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’ illegalità nella pubblica amministrazione – e dalla successiva legge 27 maggio 2015, n. 69 – Disposizioni in materia di delitti contro la pubblica amministrazione, di associazioni di tipo mafioso e di falso in bilancio – che hanno determinato l’attuale seguente testo: “Il pubblico ufficiale, che, per omettere o ritardare o per aver omesso o ritardato un atto del suo ufficio, ovvero per compiere o per aver compiuto un atto contrario ai doveri di ufficio, riceve, per sé o per un terzo, denaro od altra utilità, o ne accetta la promessa, è punito con la reclusione da sei a dieci anni [32quater].”
Una definizione esaustiva della norma in commento è data dal seguente consolidato orientamento giurisprudenziale: “Il bene giuridico tutelato dall’art. 319 c.p. è costituito dai principi di buon andamento e imparzialità dell’amministrazione indicati nell’art. 97, comma primo, della Costituzione. La contrarietà ai doveri d’ufficio può riguardare la condotta complessiva del funzionario, che anche tramite l’emanazione di atti formalmente regolari può venir meno ai suoi compiti istituzionali, inserendo tali atti in un contesto avente finalità diverse da quella di pubblica utilità. L’attenzione dell’interprete, per valutare la contrarietà o meno della condotta del pubblico ufficiale ai suoi doveri, deve incentrarsi non sui singoli atti, ma sull’insieme del servizio reso al privato, per cui, anche se ogni atto separatamente considerato corrisponda ai requisiti di legge, l’asservimento costante della funzione, per denaro, agli interessi privati concreta il reato di cui all’art. 319 c.p. anziché quello di cui al precedente art. 318”. (Cass. pen. n. 7259/1990).
Il comportamento censurato dal legislatore nella norma in commento riguarda la corruzione propria compiuta dal pubblico funzionario. Si configura un delitto proprio che prevede ai sensi dell’art. 321 c.p. – pene per il corruttore – anche la punibilità del concorrente necessario extraneus, ossia il soggetto privato che dà o promette, all’intraneus, denaro od altra utilità.
Con riferimento all’elemento oggettivo ognuno dei correi porrà in essere la propria parte della condotta dato che si tratta di un delitto concorsuale che si compie mediante modalità eterogenee. L’intraneus riceve o accetta la promessa, l’estraneus offre o promette. Così come accade per la fattispecie delittuosa della corruzione per l’esercizio della funzione (art. 318 c.p.) anche il delitto de quo è qualificato dal nesso economico o utilitaristico che intercorre tra l’intraneus e l’estraneus.
>>>Sul punto leggi: Corruzione per l’esercizio della funzione (art. 318 c.p.).
“In tema di corruzione, lo stabile asservimento del pubblico ufficiale ad interessi personali di terzi realizzato attraverso l’impegno permanente a compiere od omettere una serie indeterminata di atti ricollegabili alla funzione esercitata, integra il reato di cui all’art. 318 cod. pen. e non il più grave reato di corruzione propria di cui all’art. 319 cod. pen., salvo che la messa a disposizione della funzione abbia prodotto il compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio”. (Cass. n. 4486/2019). Ed ancora: “Integra il delitto di corruzione propria la condotta del pubblico ufficiale che, dietro elargizione di un indebito compenso, esercita i poteri discrezionali spettantigli rinunciando ad una imparziale comparazione degli interessi in gioco, al fine di raggiungere un esito predeterminato, anche quando questo risulta coincidere, “ex post”, con l’interesse pubblico, e salvo il caso di atto sicuramente identico a quello che sarebbe stato comunque adottato in caso di corretto adempimento delle funzioni, in quanto, ai fini della sussistenza del reato in questione e non di quello di corruzione impropria, l’elemento decisivo è costituito dalla “vendita” della discrezionalità accordata dalla legge.” (Cass. n. 23354/2014).
Il comportamento contra legem deve consistere nell’omissione o nel ritardo di un atto di ufficio, ossia nella commissione di un atto antitetico ai doveri dell’ufficio stesso.
“In tema di corruzione, anche un parere meramente consultivo può integrare l’atto di ufficio oggetto di mercimonio.” (Cass. n. 36212/2013).
L’espressione “atto contrario ai doveri di ufficio” riguarda la violazione dell’obbligo di fedeltà che l’intraneus è tenuto ad osservare.
Caratteristica del reato de quo è la presenza del pactum sceleris tra funzionario pubblico (ovvero l’intraneus) ed il cittadino (ossia l’estraneus), riguardante la commissione da parte dell’intraneus di un atto rientrante nelle proprie competenze contrario ai propri doveri nonché nella mancata commissione di un atto rientrante nelle proprie competenze.
La corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio (art. 319 c.p.) configura un reato a consumazione frazionata dato che il delitto è consumato e perfetto nel momento della promessa, spostando più avanti nel tempo le successive dazioni di somme di denaro postergando di fatto i termini di prescrizione del delitto. Con riferimento all’elemento soggettivo, ad avviso della dottrina maggioritaria, è inquadrato nel dolo specifico caratterizzato dalla coscienza e dalla volontà di riscuotere somme di denaro non dovute a titolo di corrispettivo con l’ulteriore finalità di compiere un atto contrario ai doveri d’ufficio. Il delitto in scrutinio ha natura plurisoggettiva dato che si perfeziona in virtù dell’incontro – pariterico – tra intraneus ed estraneus. (I soggetti del pactum sceleris agiscono in condizioni di parità a differenza di ciò che accade ad esempio del delitto di concussione di cui all’art. 317 c.p.).
>>>Sul punto leggi: La fattispecie delittuosa della concussione (art. 317 c.p.)
Con riferimento allo svolgimento di concorsi pubblici si segnala il seguente arresto giurisprudenziale: “Integra il delitto di corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio la condotta del componente di una delle commissioni d’esame per concorso pubblico che indichi a un candidato l’espediente da seguire per eludere il risultato del sorteggio per l’assegnazione della commissione, così da ottenere l’abbinamento con quella d’appartenenza dello stesso commissario. Pertanto, i donativi ricevuti dal commissario da parte del candidato favorito, a titolo di compenso del trattamento ricevuto, costituiscono retribuzione di un atto corruttivo”. (Cass. n. 46065/2008).
Una casistica assai frequente e affrontata in giurisprudenza è la seguente: cosa accade se vi sono prove in merito ad un funzionario infedele che viene retribuito sistematicamente ma non viene ad individuarsi nessun atto specifico? Tale fattispecie configura il totale asservimento del funzionario pubblico messo a c.d. libro paga del corruttore. In tal senso vengono in ausilio le sentenze della Corte di Cassazione n. 12357/1998; n. 23804/2004; n 2818/2006 e Cass. n. 9883/2014: “In tema di corruzione, lo stabile asservimento del pubblico ufficiale ad interessi personali di terzi, attraverso il sistematico ricorso ad atti contrari ai doveri di ufficio non predefiniti, né specificamente individuabili “ex post”, integra il reato di cui all’art. 319 cod. pen., e non il più lieve reato di corruzione per l’esercizio della funzione di cui all’art. 318 cod. pen. (nel testo introdotto dalla legge 6 novembre 2012, n. 190)”.
Sotto il profilo processuale si evidenzia che “in tema di corruzione, l’incertezza sulla identità dei corruttori i quali siano stati assolti perché le dichiarazioni predibattimentali, non ribadite in sede di dibattimento, sono state ritenute inutilizzabili può non avere rilievo, ai fini della configurazione del reato di cui all’art. 319 c.p., qualora emerga anche aliunde la prova dell’intervenuto accordo corruttivo e del versamento del compenso al funzionario corrotto”. (Cass. n. 26625/2004).
2. Circostanze aggravanti (art. 319 bis c.p.)
L’art. 319 bis c.p., introdotto dalla Legge 26 aprile 1990, n. 86 – Modifiche in tema di delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione – , testualmente dispone che: “La pena è aumentata se il fatto di cui all’art. 319 ha per oggetto il conferimento di pubblici impieghi o stipendi o pensioni o la stipulazione di contratti nei quali sia interessata l’amministrazione alla quale il pubblico ufficiale appartiene nonché il pagamento o il rimborso di tributi [32 quater]”.
La norma de qua disciplina due diverse ipotesi di aggravanti speciali applicabili alla corruzione propria ovvero alla fattispecie di cui all’art. 319 c.p. – corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio (art. 319 c.p.) -.
Le aggravanti in scrutinio trovano applicazione qualora il pactum sceleris tra funzionario pubblico e privato abbia ad oggetto particolari atti che per il legislatore codicistico sono particolarmente pregiudizievoli per la Pubblica Amministrazione e che si vuole punire in maniera più incisiva.
“La circostanza aggravante prevista dall’art. 319 c.p. (avere conferito pubblici impieghi, stipendi o pensioni o stipulato contratti interessanti la P.A. di appartenenza) si applica anche ai dirigenti di aziende municipalizzate in relazione ai contratti che essi abbiano stipulato in loro nome” (Cass. n. 38698/2006). Ed ancora sul punto: “La circostanza aggravante ad effetto speciale prevista dall’art. 7 del D.L. 13 maggio 1991, n. 152, conv. con mod. dalla L. 12 luglio 1991, n. 203, nella sua forma agevolativa, è configurabile anche quando lo scopo di favorire il gruppo criminale costituisce un movente solo concorrente dell’azione criminosa, mentre non è sufficiente che il risultato di vantaggio per la cosca si ponga esclusivamente come una conseguenza accettata della condotta”. (Cass. n. 29311/2015).
In materia di successione di leggi penali si segnala che: “In tema di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio, l’art. 319 bis (introdotto dall’art. 8, L. 26 aprile 1990, n. 86) ha definito diversamente l’ambito di applicazione dell’aggravante già prevista nel precedente testo dell’art. 319 cpv., n. 1, c.p., legando l’aumento di pena non più al verificarsi del risultato bensì all’oggetto dell’accordo criminoso. La L. n. 86/1990 non ha, pertanto, abrogata, ma soltanto modificata la predetta aggravante, per cui il giudice, ai sensi dell’art. 2, comma 3, c.p., deve applicare la disposizione più favorevole al reo”. (Cass. n. 9927/1995).
Da ultimo, si evidenza che all’esito del procedimento penale, nel caso di condanna per la fattispecie delittuosa di cui all’art. 319 c.p. troverà attuazione l’applicazione della misura accessoria dell’incapacità di contrattare con la Pubblica Amministrazione di cui all’art. 32 quater c.p.
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