La Corte dei Conti, sezione giurisdizionale regionale per il Lazio, con le ordinanze 54 e 55 del 2021, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 261 – 268, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 – Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021 – (Legge di Bilancio per l’anno 2019), in riferimento agli artt. 3, 23, 36, 38 e 53 della Costituzione, “in relazione all’intervento di decurtazione percentuale per un quinquennio dell’ammontare lordo annuo dei trattamenti ivi previsti”. Ad avviso del rimettente l’introduzione di un prelievo forzoso dalla durata abnorme nonché ingiustificatamente selettivo, violerebbe i parametri impugnati e nello specifico sarebbe contra legem con riferimento ai “principi di ragionevolezza, di affidamento, di uguaglianza e di adeguatezza del trattamento previdenziale nonché quello di capacità contributiva”.
Nei giudizi, di cui sopra, è intervenuto L’INPS e la Presidenza del Consiglio dei Ministri rappresentata e difesa per il tramite dell’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo, facendo leva sulla sentenza della Corte Costituzione n. 234 del 2020, di dichiararsi inammissibili o manifestamente infondate le questioni impugnate. Con la statuizione del Giudice delle Leggi è stata dichiarata “l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 261, della legge n. 145 del 2018, per violazione degli artt. 3, 23, 36 e 38 Cost., nella parte in cui stabilisce la riduzione degli assegni «per la durata di cinque anni», anziché «per la durata di tre anni»; che, costituitosi in entrambi i giudizi, l’INPS ha formulato conclusioni analoghe, in ragione della medesima sentenza sopravvenuta, avendo questa determinato la cessazione del prelievo a far data dal 31 dicembre 2021”.
Indice
- La disciplina della Legge di Bilancio 2019: art. 1, commi 261 – 268
- Il precedente della sentenza n. 234/2020 della Corte Costituzionale: il principio solidaristico di cui all’art. 2 Cost. alla base della decisione
- La decisione della Corte
- La disposizione testuale della Corte
1. La disciplina della Legge di Bilancio 2019: art. 1, commi 261 – 268
I commi 261 – 268 dell’art. 1 della legge 30 dicembre 2018, n. 145 – Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021 testualmente dispongono che: “261. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge e per la durata di cinque anni, i trattamenti pensionistici diretti a carico del Fondo pensioni lavoratori dipendenti, delle gestioni speciali dei lavoratori autonomi, delle forme sostitutive, esclusive ed esonerative dell’assicurazione generale obbligatoria e della Gestione separata di cui all’articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, i cui importi complessivamente considerati superino 100.000 euro lordi su base annua, sono ridotti di un’aliquota di riduzione pari al 15 per cento per la parte eccedente il predetto importo fino a 130.000 euro, pari al 25 per cento per la parte eccedente 130.000 euro fino a 200.000 euro, pari al 30 per cento per la parte eccedente 200.000 euro fino a 350.000 euro, pari al 35 per cento per la parte eccedente 350.000 euro fino a 500.000 euro e pari al 40 per cento per la parte eccedente 500.000 euro.
- Gli importi di cui al comma 261 sono soggetti alla rivalutazione automatica secondo il meccanismo stabilito dall’articolo 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448.
- La riduzione di cui al comma 261 si applica in proporzione agli importi dei trattamenti pensionistici, ferma restando la clausola di salvaguardia di cui al comma 267. La riduzione di cui al comma 261 non si applica comunque alle pensioni interamente liquidate con il sistema contributivo.
- Gli organi costituzionali e di rilevanza costituzionale, nell’ambito della loro autonomia, si adeguano alle disposizioni di cui ai commi da 261 a 263 e 265 dalla data di entrata in vigore della presente legge.
- Presso l’INPS e gli altri enti previdenziali interessati sono istituiti appositi fondi denominati “Fondo risparmio sui trattamenti pensionistici di importo elevato” in cui confluiscono i risparmi derivati dai commi da 261 a 263. Le somme ivi confluite restano accantonate.
- Nel Fondo di cui al comma 265 affluiscono le risorse rivenienti dalla riduzione di cui ai commi da 261 a 263, accertate sulla base del procedimento di cui all’articolo 14 della legge 7 agosto 1990, n. 241.
- Per effetto dell’applicazione dei commi da 261 a 263, l’importo complessivo dei trattamenti pensionistici diretti non può comunque essere inferiore a 100.000 euro lordi su base annua.
- Sono esclusi dall’applicazione delle disposizioni di cui ai commi da 261 a 263 le pensioni di invalidità, i trattamenti pensionistici di invalidità di cui alla legge 12 giugno 1984, n. 222, i trattamenti pensionistici riconosciuti ai superstiti e i trattamenti riconosciuti a favore delle vittime del dovere o di azioni terroristiche, di cui alla legge 13 agosto 1980, n. 466, e alla legge 3 agosto 2004, n. 206”.
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2. Il precedente della sentenza n. 234/2020 della Corte Costituzionale: il principio solidaristico di cui all’art. 2 Cost. alla base della decisione
Con sentenza n. 234/2020, pubblicata in G.U. 11/11/2020 n. 46, il Giudice delle Leggi ha qualificato la detrazione in scrutinio come intervento di solidarietà endoprevidenziale, non come prelievo tributario, poiché i risparmi della spesa pubblica che ne deriva sono accantonati in fondi previdenziali e non acquisiti al bilancio dello Stato. Pertanto, il sindacato di legittimità costituzionale non è riferibile al principio di universalità di cui all’art. 53 della Costituzione – “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività” – bensì alla ragionevolezza della prestazione patrimoniale imposta dall’art. 23 Cost. – “Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge” – nell’ottica di ottemperare al principio solidaristico di cui all’art. 2 della Costituzione: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.
L’ammontare della detrazione sulle posizioni di ogni percettore è mitigata dalla progressività delle aliquote sugli scaglioni nonché dalla clausola di salvaguardia in virtù della quale “(…) l’applicazione del contributo di solidarietà non può mai ridurre la prestazione erogata al di sotto della soglia dei 100.000 euro annui”.
L’intervento in scrutinio ha una natura di riequilibrio intergenerazionale. Invero la misura non trova applicazione per le pensioni erogate per intero mediante il sistema contributivo, solitamente appannaggio dei lavoratori più giovani e avente un ammontare minore a quelle erogate con il sistema retributivo o misto. “In tal senso rileva la connessione teleologica tra la misura in questione e gli obiettivi di ricambio generazionale nel mercato del lavoro, che il legislatore ha inteso perseguire tramite il pensionamento anticipato in “quota 100”, introdotto in via sperimentale per il triennio 2019-2021”.
3. La decisione della Corte
Il Giudice delle Leggi ha ritenuto che, non in merito alla detrazione in sé, ragionevole e solidaristicamente orientata, gli artt. 3, 23, 36 e 38 Cost. sono stati comunque violati dalla durata ultratriennale della decurtazione, eccedente la proiezione temporale della misura pensionistica nota come “Quota 100”, fissata in anni tre. Come conseguenza della declaratoria di illegittimità costituzionale emessa dalla medesima Corte con la, summenzionata, sentenza n. 234 del 2020, la detrazione prevista dall’art. 1, comma 261, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 è venuta meno al 31 dicembre 2021. Quindi, con riferimento alla durata quinquennale della detrazione, le questioni sottoposte all’attenzione dei Giudici di Piazza del Quirinale devono essere dichiarate manifestamente inammissibili, data la legittimazione costituzionale ricondotta al solo triennio, determinando di fatto il difetto del motivo del contendere. Per ciò che concerne la diminuzione degli assegni nel termine avente durata triennale, data l’insussistenza di nuove questioni da valutare rispetto a quelle già vagliate dalla, citata, sentenza n. 234/2020 della Corte Costituzionale, il medesimo Consesso ritiene che le questioni debbano essere dichiarate manifestamente infondate.
4. La disposizione testuale della Corte
La Corte Costituzionale riuniti i giudizi: “1) dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi da 261 a 268, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021), nella parte in cui stabilisce la riduzione dei trattamenti pensionistici ivi indicati «per la durata di cinque anni», anziché «per la durata di tre anni», sollevate, in riferimento agli artt. 3, 23, 36, 38 e 53 della Costituzione, dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per il Lazio, con le ordinanze indicate in epigrafe; 2) dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi da 261 a 268, della legge n. 145 del 2018, nella parte in cui stabilisce la riduzione dei trattamenti pensionistici ivi indicati «per la durata di tre anni», sollevate, in riferimento agli artt. 3, 23, 36, 38 e 53 Cost., dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per il Lazio, con le ordinanze indicate in epigrafe”.
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