La Corte Costituzionale, con sentenza n. 86 del 13 maggio 2024, ha introdotto la “valvola di sicurezza” dell’attenuante di lieve entità del fatto anche per il reato di rapina.
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Indice
1. I fatti
La pronuncia della Corte Costituzionale scaturisce dalla questione di legittimità sollevata dal Tribunale di Cuneo in relazione all’art. 628, secondo comma, cod. pen. per violazione degli artt. 3 e 27, primo e terzo comma Cost. “nella parte in cui non prevede una diminuente quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o le circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità“.
I fatti riguardano l’imputazione di rapina impropria, aggravata dalla commissione ad opera di più persone riunite, per essersi costoro, dopo aver prelevato dagli scaffali di un supermercato alcuni generi d’uso, assicurato il possesso degli stessi e l’impunità con minacce e uno spintone in danno dell’addetto alla sicurezza e del responsabile dell’esercizio commerciale, intervenuti per recuperare la merce, venendo infine rintracciati nei pressi dell’esercizio stesso mentre consumavano il pane.
In ordine alla rilevanza della questione, il Tribunale di Cuneo osserva che per il reato contestato il minimo edittale di pena detentiva applicabile nella specie sarebbe sproporzionato rispetto alla “scarsa offensività, sia sotto il profilo del valore della merce sottratta (6,19 €), sia sotto quello della modalità esecutiva della rapina (consistita in due frasi minacciose e una spinta)“.
Inoltre, il rimettente osserva che l’attenuante di lieve entità è contemplata riguardo a reati ben più gravi della rapina impropria, come la violenza sessuale, il sequestro di persona a scopo di estorsione e il sequestro di persona a scopo di coazione.
Il Tribunale, dunque, sollecita una pronuncia additiva della Corte Costituzionale, che introduca anche per la rapina impropria una diminuente per i casi di lieve entità, analogamente a quanto disposto per il reato di estorsione con la sentenza n. 120 del 2023.
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2. Lieve entità del fatto anche per il reato di rapina: l’analisi della Corte Costituzionale
La Corte Costituzionale osserva che, tanto per l’estorsione quanto per la rapina, il notevole innalzamento del minimo edittale a un livello che rende sostanzialmente inaccessibile il beneficio della sospensione condizionale della pena, è stato realizzato senza introdurre una “valvola di sicurezza” che permetta al giudice di temperare la sanzione quando l’offensività concreta del fatto di reato non ne giustifichi una punizione così severa.
Rammentando la sentenza n. 120 del 2023 evocata dal Tribunale di Cuneo, la Corte ha effettivamente dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 629 cod. pen. “nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata è diminuita in misura non eccedente un terzo quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità“. Con tale pronuncia si è osservato che la mancata previsione di una “valvola di sicurezza” al cospetto di un minimo edittale particolarmente aspro implica il rischio di irrogazione di una sanzione non proporzionata all’effettiva gravità del fatto, ove questo risulti immune dai profili di allarme sociale che hanno indotto il legislatore a stabilire quel severo minimo.
Ebbene, questa ratio, ad avviso della Corte, vale anche per il reato di rapina.
3. La decisione della Corte Costituzionale
Alla luce di quanto finora esposto, la Corte Costituzionale osserva che già sul piano della comparazione tra il trattamento sanzionatorio previsto per la rapina impropria e quello stabilito per l’estorsione emerge la violazione dell’art. 3 Cost., “non sussistendo ragioni specifiche che valgano a giustificare l’esclusione dell’attenuante di lieve entità del fatto per il reato di cui all’art. 628, secondo comma, cod. pen., ed anzi esistendo i richiamati indici che di tale diminuente impongono l’estensione anche a tale reato“.
Ma l’esigenza dell’attenuante in questione trova fondamento costituzionale anche nei principi di individualizzazione della pena e di finalità rieducativa della stessa.
Infatti, “in presenza di una fattispecie astratta connotata […] da intrinseca variabilità atteso il carattere multiforme degli elementi costitutivi ‘violenza o minaccia’, ‘cosa sottratta’, ‘possesso’, ‘impunità’, e tuttavia assoggettata a un minimo edittale di rilevante entità, il fatto che non sia prevista la possibilità per il giudice di qualificare il fatto reato come di lieve entità in relazione alla natura, la specie, ai mezzi, alle modalità o circostanze dell’azione, ovvero alla particolare tenuità del danno o del pericolo, determina la violazione, ad un tempo, del primo e del terzo comma dell’art. 27 Cost.“.
La Corte Costituzionale ha, dunque, dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 628, secondo comma, cod. pen. “nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata è diminuita in misura non eccedente un terzo quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità” e, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Carta costituzionale), “l’illegittimità costituzionale dell’art. 628, primo comma, cod. pen., nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata è diminuita in misura non eccedente un terzo quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità“.
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