La sentenza n. 228 del 24 settembre 2014 della Corte Costituzionale, depositata il 06 ottobre 2014, apre nuovi scenari in ambito tributario-costituzionale ed in specie per quanto attiene alle presunzioni in materia di accertamento delle imposte sui redditi dei lavoratori autonomi.
La pronuncia incentra la dichiarazione di illegittimità costituzionale sull’art. 32 co. 2 del D.P.R. n. 600 del 1973 come modificato dalla legge 311 del 2004.
La norma ad oggi vigente prevede che “i dati ed elementi trasmessi su richiesta (ex art. 32, comma 1, numero 7, del d.P.R. n. 600 del 1973), rilevati direttamente (ex art. 33, commi 1 e 2, del d.P.R. n. 600 del 1973) ovvero nei controlli relativi alle imposte sulla produzione o consumo [ex art. 18, comma 3, lettera b), del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504 (Testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative)] sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli artt. 38, 39, 40 e 41 del medesimo d.P.R. n. 600 del 1973, salvo che il contribuente dimostri che ne ha tenuto conto nella determinazione dei redditi o che essi non hanno rilevanza a tal fine”. Proseguendo, inoltre, prescrive che“i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito delle predette operazioni sono posti come ricavi o compensi a base delle rettifiche e degli accertamenti (e sono quindi assoggettabili a tassazione), se il contribuente non ne indica i soggetti beneficiari e sempreché non risultino dalle scritture contabili”.
La norma inserita nel 2004 con l’art. 1 della legge n. 311 ha difatti integrato la presunzione disciplinata dalla norma del 1973, nella sua originaria formulazione, la quale interessava unicamente gli imprenditori, allargandone l’applicabilità ed estendendone l’ambito operativo ai lavoratori autonomi.
La questione di legittimità costituzionale è stata sollevata in merito alla violazione degli artt. 3, 24, 53 e 111 della Costituzione avente ad oggetto da un verso l’estensione della inversione della prova e della presunzione ai compensi dei lavoratori autonomi e dall’altro l’applicazione retroattiva della norma agli anni di imposta precedenti all’entrata in vigore della legge n. 311 del 2004.
La Consulta, dopo aver esposto i fatti di causa, espressamente descrive in sentenza le differenze di posizione tra l’imprenditore e il lavoratore autonomo, i quali seppur affini, si distinguono per “specificità che inducono a ritenere arbitraria l’omogeneità di trattamento prevista dalla disposizione censurata, alla cui stregua anche per essa il prelevamento dal conto bancario corrisponderebbe ad un costo a sua volta produttivo di un ricavo”.
Stando al tenore della norma del 1973, il lavoratore autonomo che prelevi una somma di denaro dal proprio conto bancario deve imputarla come acquisto di fattori produttivi con la conseguenza di presunzione che tali fattori abbiano prodotto beni o servizi venduti a loro volta non contabilizzati o fatturati, in assenza di giustificazione.
Però, diversamente dall’imprenditore, i lavoratori autonomi apportano preminentemente lavoro proprio, relegando alla marginalità l’apparato organizzativo.
Tale marginalità assume, per la Corte Costituzionale, delle “differenti gradazioni a seconda della tipologia di lavoratori autonomi, sino a divenire quasi assenza nei casi in cui è più accentuata la natura intellettuale dell’attività svolta, come per le professioni liberali”.
Non basta però alla Consulta quanto già esposto, aggiungendo, senza lasciare spazio alla libertà interpretativa, che la “non ragionevolezza della presunzione è avvalorata dal fatto che gli eventuali prelevamenti (che peraltro dovrebbero essere anomali rispetto al tenore di vita secondo gli indirizzi dell’Agenzia delle entrate) vengono ad inserirsi in un sistema di contabilità semplificata di cui generalmente e legittimamente si avvale la categoria; assetto contabile da cui deriva la fisiologica promiscuità delle entrate e delle spese professionali e personali”.
Scontata conclusione potrebbe portare il testo della sentenza n. 228/2014 a collegare tutta la discussione sul piano del tema dell’antiriciclaggio da una parte e all’evasione fiscale dall’altro ed è il caso di dire, a tal proposito, che la Corte, nel corpo della pronuncia, ha precisato che proprio alla luce delle novelle normative degli ultimi anni, non può penalizzarsi il cittadino, di per sé, per mere ragioni presuntive e di sospetto.
La sentenza, infatti, coglie prontamente l’occasione per consolidare il suddetto orientamento socio-giuridico precisando nettamente che “la presunzione è lesiva del principio di ragionevolezza nonché della capacità contributiva, essendo arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell’ambito della propria attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo di un reddito”.
Per i suddetti motivi pertanto la Corte Costituzionale ha dichiarato parzialmente illegittimo l’art. 32 comma 1, numero 2), secondo periodo, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), come modificato dall’art. 1, comma 402, lettera a), numero 1), della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2005) in quanto contrastanti con gli artt. 3,24, 53 e 111 della Costituzione Italiana.
Lì, 07.10.2014.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento