Corte dei conti – del. N. 1/2005/l – sezione regionale di controllo per l’Umbria – controllo preventivo di legittimita’ – duplicita’ di provvedimenti con pronunzia di non luogo a provvedere per uno e di ricusazione di visto e conseguente registrazione p

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L’ interessante delibera in allegato in sede di preventivo di legittimità – in disparte anche le questioni pregiudiziali ivi affrontate – costituisce un esempio pratico di pronunzia di non luogo a provvedere relativamente ad uno dei provvedimenti sottoposti al vaglio della Corte e di ricusazione per l’ altro con conseguente diniego di registrazione. Il legame logico e cronologico fra i due provvedimenti assoggettati a controllo viene chiarmanete evidenziato in motivazione.
  
REPUBBLICA ITALIANA
Corte dei conti
la Sezione Regionale di controllo per l’Umbria
composta dai seguenti magistrati:
Dott. ***************                                 Presidente
Dott. *****************                                 Consigliere            
Dott.ssa ******************                            I Referendario
nell’adunanza del giorno 27 gennaio 2005
Visto il testo unico delle leggi sulla Corte dei conti approvato con R.D. 12 luglio 1934, n. 1214 e successive modificazioni ed integrazioni;
vista la legge 14 gennaio 1994, n. 20;
vista la legge 11 novembre 2000, n. 340, ed in particolare l’art. 27;
visto il regolamento adottato dalle Sezioni riunite della Corte dei conti con deliberazione n. 14/DEL/2000 del 16 giugno 2000;
visti i decreti n. 525-B10222/1-B10222/3 e n. 3260-B10222 entrambi in data 5 ottobre 2004, emessi dal Direttore del Settore Infrastrutture del Servizio Integrato Infrastrutture e *****************-Umbria e concernenti la fase conclusiva dell’attività di realizzazione del nuovo complesso edilizio penitenziario di Perugia;
visto il rilievo istruttorio n. 2 del 6 dicembre 2004 e la relativa risposta dell’Amministrazione di cui alla nota n. 1594 del 5 gennaio 2005;
vista la relazione del magistrato istruttore e la conseguente richiesta di esame collegiale avanzata dal Consigliere delegato con nota n. 37 del 17 gennaio 2005;
vista l’ordinanza presidenziale del 17 gennaio 2005 di convocazione della Sezione per l’odierna adunanza;
udito il relatore *****ssa ******************;
udito, in rappresentanza dell’Amministrazione, il dirigente dott. *****************;
Ritenuto in
FATTO
         In data 5 novembre 2004 sono pervenuti, ai fini del controllo preventivo di legittimità ex art. 3, comma 1, lett. g) della legge n. 20/94, i due provvedimenti richiamati in epigrafe, che appaiono caratterizzati da elementi di connessione oggettiva, essendo entrambi riferibili alla gestione – pendente dal lontano 1986 ed in atto finalmente giunta alla fase di definizione – degli interventi di realizzazione del nuovo complesso edilizio penitenziario sito nel territorio del Comune di Perugia, località Mandoleto, commissionati unitamente alla progettazione in regime di concessione con convenzione generale sottoposta a suo tempo ad analogo controllo da parte della Corte dei conti.
         Trattasi dei decreti direttoriali n. 3260-B10222 e n. 525-B10222/1-B10222/3 (d’ora in avanti per semplicità individuati solo come nn. 3260 e 525), acquisiti separatamente a protocollo in quanto corredati da autonome richieste di esame, rispettivamente provenienti dalla stessa Amministrazione procedente per l’uno e per l’altro dagli Uffici della Ragioneria Provinciale dello Stato di Perugia, che ha fatto comunque da tramite nell’inoltro.
         Ambedue i provvedimenti, sono stati perfezionati dal direttore generale preposto al Settore Infrastrutture del nuovo organo periferico del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti, denominato Servizio Integrato Infrastrutture e Trasporti (c.d. SIIT) per la Toscana e l’Umbria, con sede in Firenze e sede coordinata in Perugia, recentemente subentrato, in applicazione delle norme di riorganizzazione di cui al D.P.R. 2 luglio 2004, n. 184, ai Provveditorati regionali alle Opere Pubbliche in precedenza operanti in ciascuna delle indicate Regioni.
         In tale contesto, gli stessi, che risultano formalmente intestati alla sede coordinata umbra, sono stati previamente sottoposti ai controlli di cui agli artt. 9, comma 1, e 10, comma 2, lett. a) del D.P.R. 20 febbraio 1998, n. 38 da parte della stessa Ragioneria provinciale di Perugia.
         Emanati in pari data (5 ottobre 2004), i due atti presentano una precisa successione logica e cronologica, ricostruita in sede istruttoria non tanto dalla relativa numerazione progressiva – la cui significatività all’uopo non appare determinante essendo il numero di protocollo integrato da disomogenee classificazioni seriali – quanto piuttosto in base ad indicazioni desumibili dai contenuti testuali.
         Emerge, infatti, in particolare dal richiamo espresso nel decreto 3260 all’altro provvedimento come quest’ultimo sia antecedente rispetto a quello.
         Ai fini di meglio ricostruirne la natura e le finalità concrete, non si può prescindere dal tener conto del contesto gestionale da cui gli atti sono stati occasionati. In effetti, la realizzazione dell’opera pubblica oggetto della quasi ventennale gestione è stata parcellizzata in una pluralità di lotti e stralci progettati ed affidati in epoche diverse, nel quadro di una convenzione generale di concessione, con atti attuativi ed integrativi autonomamente finanziati mediante assegnazioni ex lege 17 agosto 1960, n. 908 disposte a valere sugli stanziamenti annualmente disponibili in bilancio per l’edilizia penitenziaria e precisamente per la realizzazione del vasto programma straordinario di carattere pluriennale varato in base alle leggi 12 dicembre 1971, n. 1133, 1° luglio 1977, n. 404 e 30 marzo 1981, n. 119, più volte rideterminato e rifinanziato nel corso del tempo.  
         La formula adottata ha esposto la fase esecutiva a sopravvenienze di varia natura che hanno di fatto comportato innumerevoli modifiche progettuali in corso d’opera le quali, oltre ad allontanare patologicamente nel tempo il conseguimento del risultato, hanno inciso sui quadri economici dell’opera più volte rimodulati e rimpinguati a seconda delle necessità, con continue modifiche pure delle somme accantonate per imprevisti.
         Siffatta compromessa situazione è all’origine dei due provvedimenti all’esame, che risultano perfezionati in epoca successiva all’intervenuto completamento dell’opera, coincidente con l’emanazione del certificato di ultimazione dell’ultimo lotto dei lavori che data 1° gennaio 2004, ed in pendenza della fase del relativo collaudo generale, propedeutica alla definitiva chiusura dei rapporti con l’impresa, alla liquidazione delle spettanze ancora dovute ed allo svincolo delle cauzioni.
         Il decreto n. 525 appare finalizzato ad effettuare una indispensabile ricognizione complessiva dei pagamenti che secondo i registri di contabilità risulterebbero ancora dovuti all’impresa a fronte dei lavori commissionati.
         In tale ambito – accanto alle obbligazioni pecuniarie non ancora estinte derivanti da convenzioni ed atti aggiuntivi intervenuti nella fase esecutiva, tutti asseverati anche sotto il profilo della rituale assunzione degli impegni contabili dalla competente Ragioneria provinciale ed in alcuni casi assoggettati pure al vaglio preventivo di legittimità di questa Corte – figura fra i pagamenti dovuti un importo ulteriore di euro 459.448,06 per interventi aggiuntivi “di revisione e messa a norma degli impianti elettrici, speciali e meccanici dei lavori di primo stralcio” ordinati dal direttore dei lavori, senza alcuna previa approvazione formale, in data 19 aprile 2004 e, cioè, successivamente alla ultimazione dei lavori.
         Risulta dal provvedimento che a fronte di tali ultimi interventi, mai fatti oggetto di apposito atto aggiuntivo, l’Amministrazione ha inteso adottare un provvedimento di approvazione in sanatoria con contestuale assunzione di impegno contabile. Detto atto non ha, tuttavia, prodotto gli effetti sperati a causa dei rilievi della Ragioneria (foglio n. 12 del 23 luglio 2004) fondati, oltre che su profili di illegittimità, anche sulla asserita assenza di copertura, in sé ostativa all’avvio del procedimento di spesa.
         Sempre dal contesto del decreto 525 si apprende che analoghi rilievi (fogli nn. 13 e 14, rispettivamente in data 4 e 14 agosto 2004) erano già stati mossi in precedenza anche riguardo a certificati di pagamento emessi dall’Amministrazione in relazione ai due stralci dell’opera affidati per ultimi e terminati pressoché coevamente (e cioè i lavori di completamento 1° stralcio inizio II lotto e quelli concernenti il c.d. lotto di completamento, comprensivi di opere d’arte in corso di separata acquisizione tramite procedura di appalto concorso gestita dalla concessionaria). Detti certificati, emessi a titolo di stati di avanzamento a lavori già finiti, oltre a liquidare spettanze fino a concorrenza totale degli importi negoziali dovuti, non apparivano agevolmente conciliabili con quanto riportato nei relativi stati finali redatti dal direttore dei lavori il 30 giugno 2004. A tali rilievi si era accompagnata una sospensione “sine die” dei pagamenti, pur basati su impegni regolarmente assunti, nella considerazione della scarsa chiarezza del quadro contabile complessivo relativo ai predetti due ultimi blocchi di lavori nonché del dubbio circa la possibile emersione di ulteriori oneri occulti in sede di saldo.
         La ufficiale ricognizione dei pagamenti di cui al decreto 525 evidentemente stimolata dalla necessità di superare il blocco delle procedure di spesa provocato dai rilievi dell’organo di controllo ed effettuata dall’Amministrazione sotto la propria piena responsabilità, attesa che l’importo delle risorse delle quali è effettivamente possibile disporre in atto sono inferiori ai debiti contratti ed ancora non pagati, se in essi si considera compreso quello correlato agli interventi ordinati a fase esecutiva ultimata, e vanno perciò integrati con una assegnazione ex novo pari a euro 198.242,91, la cui mancanza impedisce l’assunzione formale del più recente impegno contabile afferente proprio ai predetti interventi.
         Nel provvedimento, con specifica proposizione decretativa, viene fatta riserva di disporre tale impegno dei predetti fondi ad intervenuta integrazione dei finanziamenti, fatto che evidenzia come la carenza di fondi si riferisca non già ad una semplice indisponibilità di cassa, bensì all’incapienza degli stanziamenti in atto in dotazione.
         Costituiscono ulteriore avallo in tal senso i dati riportati nei prospetti uniti all’atto che documentano la complessiva esistenza in bilancio unicamente di fondi provenienti da assegnazioni relative al 1999 ed al 2002, tutte ascrivibili al c.d. stralcio di completamento e, con l’eccezione di un importo minimo, tutte riferite a precedenti vincoli giuridici e contabili.
         Di dette somme la Amministrazione si è riservata di indicare “ la suddivisione dell’utilizzo” in sede di riproduzione dei decreti assoggettati a rilievi.
         Dalla documentazione in atti risulta, altresì, che le predette ridotte risorse “libere” sono ricavabili a consuntivo in base alla contabilità finale dei lavori dello stralcio di completamento e grazie allo svincolo di somme corrispondenti a residui perenti per obbligazioni in concreto già pagate mediante utilizzo di fondi di diversa provenienza.
         Non vi è traccia, invece, di disponibilità attuali derivanti dalle assegnazioni originariamente assentite per l’altro lotto di lavori, risalenti all’esercizio 1995, sebbene l’Amministrazione asserisca di averle a suo tempo interamente impegnate dal punto di vista contabile in concomitanza con l’approvazione del quadro economico annesso alla prima convenzione di affidamento e sebbene – detratte le obbligazioni su di esse contratte, quasi tutte pagate in passato salva una modesta quota corrispondente a residui perenti appositamente riassegnati – stando ai calcoli effettuati dalla direzione dei lavori esse evidenzierebbero una rimanenza di importo corrispondente proprio alla perizia per gli interventi extracontrattuali.
         Siffatta, per vero non agevolmente comprensibile, situazione contabile è alla base anche del decreto dirigenziale n. 3260. Questo, infatti, è formulato come approvazione della predetta perizia tecnica concernente gli interventi aggiuntivi sopra richiamati formalmente considerati a fini contabili come afferenti ai lavori di completamento primo stralcio ed inizio secondo lotto commissionati, a seguito di altro precedente insieme di interventi sempre concernenti il c.d. primo stralcio, con la convenzione n. 2945 in data 8 marzo 1996. Contestualmente, si è proceduto a disporre la conferma dell’ordine di esecuzione degli interventi di ripristino in argomento già impartito dal direttore dei lavori in data 19 aprile 2004 ed alla assunzione di impegno parziale sulle risorse disponibili.
         Il provvedimento appare dunque rivolto a confermare, con le precisazioni che scaturiscono dalla effettuata ricognizione delle disponibilità finanziarie, un vincolo giuridico già formalizzato in precedenza e rimasto inefficace in virtù dei rilievi della ragioneria, dando atto al tempo stesso della fondatezza dei rilievi.
         Tale ultima asserzione appare in contrasto con la espressa imputazione finanziaria dei detti lavori al quadro economico del primo lotto, che contraddittoriamente l’Amministrazione ha, per l’ennesima volta ed a pertinenti lavori finiti, nuovamente rimodulato, con ciò contraddicendo i conteggi da essa stessa effettuati come sopra illustrati e le richieste di nuove assegnazioni, viceversa non necessarie ai fini dell’impegno contabile, bensì solo del pagamento, ove si considerassero ancora valide ed efficaci sul piano autorizzatorio quelle già disposte originariamente.
         Quanto alla natura degli interventi aggiuntivi di cui trattasi, emerge in atti che gli stessi sono stati rivolti a ripristinare la funzionalità delle opere di impiantistica a suo tempo realizzate nei corpi di fabbrica compresi nel primo stralcio dei lavori, affidati a più riprese con svariate convenzioni e compresi per il completamento anche nella sopra menzionata convenzione del 1996. In particolare, questi hanno trovato fondamento nel verbale della Commissione di collaudo reso in data 20 ottobre 2003 ed attestante, ai sensi dell’art. 202 del D.P.R. 554/99, la impossibilità di procedere alle operazioni in considerazione dello stato di obsolescenza dei predetti impianti, portati a compimento già nel 1993, stato aggravato dall’essere stati gli stessi sottoposti all’epoca a prove di funzionamento mai seguite dall’utilizzo effettivo e tali da aver determinato pure il venir meno delle garanzie prestate dai produttori delle relative componenti tecniche. In considerazione di quanto sopra, la Commissione di collaudo, evidenziando i rischi di danneggiamento anche degli impianti di più recente installazione insiti nella messa in funzione simultanea delle predette opere, ha invitato l’Amministrazione ad intervenire prontamente per ricondurre la situazione a fisiologia e per consentire la collaudazione finale dell’opera.
         In base a tale valutazione tecnica, peraltro non corredata da alcuna altra indicazione di dettaglio, si è proceduto a richiedere al concessionario la presentazione di un progetto tecnico e di un’offerta economica validata dalla direzione dei lavori (vedasi nota n. 1796 del 5/11/03). Su tale proposta è stata avviata una apposita contrattazione volta ad ottenere un abbattimento dei costi mediante applicazione dei prezzi del 1995 convenuti nell’ambito della convenzione n. 2945 del 1996. In esito a tale contrattazione, l’Amministrazione, previo parere favorevole espresso dal responsabile del procedimento (giusta nota del 30 marzo 2004), ha autorizzato il direttore dei lavori ad impartire l’ordine di immediata esecuzione, con assegnazione di un tempo contrattuale pari a novanta giorni per l’ultimazione. Non si riscontrano in atti elementi concernenti l’andamento dei predetti lavori. Per completezza si precisa che negli stati finali relativi all’opera principale, redatti dalla direzione dei lavori in data 30 giugno 2004, e cioè solo dopo l’inizio degli interventi straordinari, non si fa ad essi alcun riferimento.
         Esaminati gli atti prodotti, l’Ufficio con foglio di rilievo n. 2/2004 sollecitava, per entrambi, chiarimenti in ordine ai nuovi assetti organizzativi periferici del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti, prospettando in primo luogo l’emergere nella specie di questioni pregiudiziale relativa alla sussistenza della competenza territoriale di questa Sezione. Quanto alla fattispecie di cui al decreto n. 3260 sollevava dubbi e perplessità in punto di legittimità sia con riguardo all’iter procedimentale seguito per commissionare i nuovi lavori – caratterizzato dalla tardiva approvazione formale della relativa perizia tecnica – sia con riguardo alla prospettata mancanza di copertura, ravvisando comunque la necessità di opportune integrazioni documentali e di conoscere lo stato esecutivo effettivo degli interventi in questione nonché gli esiti delle operazioni di collaudo eventualmente compiute nelle more.
         Con la risposta al rilievo prot. 1594 in data 5 gennaio 2005 l’Amministrazione ha fornito chiarimenti in ordine alla sua organizzazione attuale, che, per essere ancora non completato il disegno innovativo con i necessari provvedimenti attuativi, è sostanzialmente immutata rispetto al passato.
         Non è stata in grado di fornire, invece, elementi utili a dipanare la situazione contabile sopra descritta, solo insistendo per la legittimità dei provvedimenti emanati e sottolineando che gli interventi aggiuntivi attengono ad impianti completati nel 1993.
         Ritenuta la risposta fornita non sufficiente a dissipare i dubbi esistenti al riguardo e considerato comunque necessario il vaglio collegiale in ordine alla questione pregiudiziale di competenza, si sollecitava il deferimento delle fattispecie all’esame della Sezione. In tale contesto si richiamava l’attenzione sulla natura del decreto n. 525, al fine di stabilire se lo stesso fosse autonomamente riconducibile nell’ambito del controllo preventivo di legittimità ex art. 3, comma 1, della legge n. 20/94.
         In adunanza, il rappresentante dell’Amministrazione ha sostanzialmente confermato quanto emerso in atti e quanto dichiarato con la risposta al rilievo. Ha, inoltre, dichiarato che gli interventi supplementari sono stati conclusi nei tempi fissati e che ad essi non è ancora seguito alcun collaudo.
        
DIRITTO
         La Sezione è chiamata, in via pregiudiziale, a pronunciarsi sulla questione concernente la ascrivibilità all’ambito della propria competenza territoriale dell’esame e del giudizio sulla legittimità, ex art. 3, comma 1, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, di entrambi i provvedimenti ad essa sottoposti.
         Ed invero, poiché ai sensi dell’art. 2, comma 3, del regolamento per l’organizzazione delle funzioni di controllo approvato con deliberazione delle Sezioni Riunite n. 14/DEL/2000 e successive modificazioni, in materia detta competenza è per ciascuna Sezione regionale radicata in base all’unico criterio della provenienza degli atti controllati da amministrazioni statali aventi sede nel territorio della rispettiva circoscrizione, non è ininfluente nella specie stabilire se gli intervenuti mutamenti organizzativi concernenti il nuovo assetto degli organi periferici del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti, chiamati ad operare su base “pluri-regionale”, abbiano allo stato comportato una sorta di degradazione degli uffici presenti in Umbria, per modo che gli stessi non costituiscano più centro di imputazione di interessi e competenze esterne dell’Amministrazione e, cioè, sede in senso giuridico.
         Incidentalmente si osserva come la problematica presenti un indubbio rilievo anche con riferimento al controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato, attribuito alle Sezioni regionali secondo identico criterio di collegamento territoriale dal medesimo art. 2, comma 3.
         La questione esige, nella specie, attenta ponderazione, dovendosi tener conto della normativa di riferimento ed apparendo in forza di questa non automaticamente evocabile l’orientamento seguito ordinariamente nella prassi dei vecchi Uffici di controllo, che esercitavano le funzioni in forza di delega, per il quale il controllore “naturale” dell’atto andrebbe individuato in base al luogo di allocazione dell’organo munito di rappresentanza esterna ed al quale, perciò, l’atto è imputabile.
         La predetta tesi, invero, è fondata oltre che sul presupposto della corrispondenza biunivoca fra organo e sede anche su quello – tutto da dimostrare nell’ipotesi concreta all’esame – della chiara ubicazione del c.d. ufficio-organo, con compiti primari rispetto a quelli di eventuali altri uffici diversamente dislocati.
         Il D.P.R. 184/04 fornisce sul punto elementi ambivalenti. Tale normativa, infatti:
·         Da un lato ha espressamente individuato nei SIIT – istituiti in numero di nove con ambiti di attribuzioni territoriali più ampi di quelli propri dei preesistenti Provveditorati regionali alle Opere Pubbliche – i nuovi organi periferici dell’Amministrazione centrale articolati per materia in due settori con diversi preposti direttori generali;
·         Dall’altro non ha soppresso le strutture burocratiche operanti su base regionale, delle quali anzi ha confermato la presenza sui rispettivi territori tarando in base ad esse la organizzazione dei SIIT in una pluralità di uffici tutti indicati espressamente come sedi – siano esse non altrimenti qualificate, siano accompagnate dall’aggettivazione di “coordinate” – e dei quali in astratto non è possibile differenziare le competenze se non sul piano della riferibilità ai rispettivi ambiti territoriali.
In tale contesto, il SIIT competente per i territori di Toscana e Umbria ha formalmente sede sia in Firenze, sia in Perugia, dove è presente una sede coordinata.
         Ciò, se da un lato è sufficiente per escludere che il varato riassetto organico corrisponda ad un effettivo snellimento degli apparati periferici, dall’altro non consente di ritenere validamente utilizzabile, ai fini che occupano il Collegio, il criterio della “territorialità” dell’organo per trarne quello della “territorialità” dell’Amministrazione periferica.
         Ed invero, anche ammettendo che la presenza di un organo sia determinante per aversi una sede, mancherebbe comunque nella specie qualsivoglia appiglio testuale atto a stabilire l’allocazione esclusiva dell’organo presso l’una o l’altra struttura, essendo semmai al contrario possibile astrattamente ritenerne integrata la presenza in entrambe, proprio perché entrambe sono, per espresso dettato normativo, elevate al rango di “sedi legali”.
         Neppure, d’altra parte, ad avviso del Collegio, si potrebbe argomentare per la “esclusività” della sede di Firenze in ragione della sua pretesa natura di sede “principale”, carattere peraltro ricavabile solo attraverso indici indiretti, tra cui non ultimo il richiamo implicito alla titolarità di funzioni di “coordinamento” nei confronti della sede di Perugia, definita appunto “coordinata”.
         A parte la considerazione che proprio dalla presenza di tali funzioni è lecito desumere la assenza di subordinazione gerarchica della sede umbra rispetto all’altra nonché, sul piano delle competenze, la totale compatibilità per essa di una sfera di attribuzioni proprie ed autonome sul piano decisionale – fatto del resto fisiologico per ogni ufficio retto da personale di livello dirigenziale, ancorché non generale, dotato di poteri di spesa in base alle disposizioni del d.lgs. 165/01 – la predetta equazione non vale a dimostrare l’assunto per il quale una sede “principale” non possa coesistere con una o più sedi, anch’esse tali a tutti gli effetti ancorché secondarie.
         Per le osservazioni che precedono, appare evidente come la questione richieda un approccio di tipo diverso con spostamento dell’attenzione verso il “substrato” sostanziale che connota la nozione di sede in senso giuridico.
         A tale fine, prendendo spunto dalla accezione desumibile dall’art. 46 del codice civile che individua in pratica la sede della persona giuridica privata come il luogo in cui questa agisce per il perseguimento dei propri fini principali, non necessariamente corrispondente alle indicazioni statutarie, pare del tutto plausibile sostenere che detto luogo per un soggetto pubblico sia identificabile in ragione della esistenza di una organizzazione elevata a centro di riferimento degli interessi di cui questo è portatore.
         Così opinando, occorre stabilire se il dato di fatto, consistente nella presenza di una struttura organizzativa dell’Amministrazione sul territorio risponda all’esigenza di garantire con questa lo svolgimento di quelle attività gestionali nelle quali si esprime localmente la cura degli interessi pubblici primari affidati all’Amministrazione stessa, secondo quello stesso principio di effettività che è alla base dell’art. 46 c.c.
         Detta acquisizione – almeno fino al completo perfezionamento del nuovo disegno organizzativo con l’emanazione degli atti organizzativi non regolamentari, tuttora inesistenti, finalizzati a disporre, ex art. 17, comma 4bis, lett. e) della legge 23 agosto 1988, n. 400, la riorganizzazione interna delle predette strutture, individuando pure l’assetto ed i compiti degli uffici di livello dirigenziale non generale a ciascuna assegnati – non può altrimenti essere raggiunta se non in base ad elementi concreti e non meramente formali.
         In questa direzione, appaiono illuminanti le copiose puntualizzazioni offerte dalla giurisprudenza civile in relazione alla c.d. sede effettiva delle società (vedasi per tutte Cass. Sez. I, n. 497/1997, Cass. Sez. lavoro, n. 9978/2000) nonché con riferimento alla giurisdizione di responsabilità, dalla stessa giurisprudenza contabile, che ha evidenziato diverse interpretazioni possibili del richiamo al concetto di sede (cfr SS.RR. n. 4/Q.M./2002), tra cui quella dinamico-funzionale collegata alle funzioni svolte dalle unità territoriali.
         Orbene, se l’effettività vale ad identificare la presenza di una sede a prescindere da norme espresse, ancor di più essa rileva per interpretare correttamente un esistente riferimento normativo letterale.
         Ai fini dell’imputazione alla c.d. sede coordinata di Perugia della gestione che ha occasionato gli atti all’esame, sono utili le stesse precisazioni rese in punto di fatto dalla Amministrazione nella risposta al rilievo ed avallate dalla intestazione dei provvedimenti proprio alla predetta sede.
         Per esse, almeno in prima applicazione “ed in mancanza di circolari o di qualsivoglia altro atto interpretativo, si è ritenuto opportuno dare continuità alle attività amministrative correnti” seguitando ad espletarle su base regionale secondo le linee di programmazione già adottate per l’esercizio finanziario in corso ed in base alle quali le risorse assegnate in dotazione ai vecchi Provveditorati hanno continuato a mantenere trattamento separato sul piano dell’imputazione e dei pertinenti controlli contabili, tuttora di fatto partitamente intestati ai due uffici di ragioneria provinciale di Firenze e di Perugia.
         Dette precisazioni – indipendentemente dall’altro richiamo, per vero di per sé sovrabbondante, al fatto che il competente Direttore generale avrebbe “emesso e firmato gli atti concernenti il territorio delle province toscane nella sede di Firenze e quelli delle province umbre nella sede di Perugia” – corroborano il convincimento, del resto non in contrasto con il dettato del D.P.R. 184/04, che continui a sussistere di fatto quel collegamento fra Ministero delle Infrastrutture e Trasporti e territorio umbro che, in forza del già citato regolamento per l’organizzazione delle funzioni di controllo, consente di ritenere radicata la competenza di questa Sezione.
         Si osserva, ad abundantiam come siffatta impostazione sostanziale appaia confortata pure da un recente orientamento espresso dalle Sezioni Riunite con riguardo al riparto interno delle attribuzioni di controllo sulle gestioni delle agenzie fiscali e di protezione civile, considerate parte integrante dell’organizzazione statale, che ha avuto riguardo ai contenuti delle funzioni da queste esercitate ed alla dimensione statale o locale dell’interesse pubblico con esse di volta, in volta perseguito quale elemento decisivo per allocare la competenza nell’organo centrale ovvero nelle Sezioni regionali (vedasi SS.RR. deliberazione n. 9/CONTR/2001).
         Nel procedere all’esame dei provvedimenti, secondo l’ordine indicato nella relazione istruttoria, occorre affrontare l’altra questione pregiudiziale posta riguardo al decreto n. 525 e concernente la possibilità di ricondurre tale atto nell’ambito delle attribuzioni di controllo di legittimità ex art. 3 comma 1, lett. g), della legge n. 20/94.
         Ritiene al riguardo il Collegio che, attesi i contenuti del provvedimento così come ampiamente illustrati in fatto, ad esso non possa attribuirsi altro effetto se non quello di una indispensabile ricognizione delle risultanze emergenti dai registri di contabilità dell’opera, rientrante nella fisiologica gestione dei rapporti in atto con l’impresa e che, ove doverosamente effettuata dall’Amministrazione a tempo debito, sarebbe stata utile anche ai fini della quantificazione delle economie di gestione effettivamente utilizzabili per gli interventi integrativi, senza alcuna necessità di formalizzazione in provvedimento.
         A questa, invece, l’Amministrazione si è determinata ad addivenire solo in quanto costretta dall’urgenza di procedere agli ultimi pagamenti, operazione impossibile senza una chiara situazione consuntiva di quelli precedentemente disposti in concomitanza degli impegni assunti.
         Si tratta, dunque, di un atto che solo accidentalmente e per i comportamenti tenuti dall’Amministrazione nella fase esecutiva dei contratti è venuto ad esistenza e nella cognizione della Corte.
         Orbene, ad avviso del Collegio, pur in presenza dell’orientamento estensivo della giurisprudenza contabile (vedasi per tutte Sezione controllo Stato deliberazione nn. 17/96 e 55/96), fatto proprio anche da questa Sezione (cfr deliberazione n. 3/2003/L) ed inteso a ricondurre nell’ alveo del controllo preventivo sui decreti di approvazione dei contratti anche provvedimenti che appaiono come filiazione di un contratto originario, nella specie non sussistano gli estremi per procedere a controllo ai sensi dell’art. 3, comma 1, della legge n. 20/94.
         In disparte, infatti, ogni considerazione circa la ammissibilità di una reintroduzione in via interpretativa del controllo preventivo anche per fattispecie che non intervengono direttamente a modificare i contenuti di contratti già controllati pur essendo da questi occasionati, in difformità alla “ratio” della norma richiamata, vi è da osservare che siffatto controllo appare destituito a monte di ogni effettività rispetto ad atti come quello all’esame che non hanno effetti dispositivi a carico dell’erario ed in quanto volti unicamente a riassumere una situazione contabile derivante dalla gestione di pregressi rapporti negoziali – di diritto o di fatto – costituiscono dichiarazioni incontestabili.
         In simili circostanze, venendo meno ogni ragione giustificativa del controllo, la sua attivazione si tradurrebbe in una irrazionale forzatura della vigente normativa generale che conferisce dette attribuzioni.
         Si osservi, per completezza, come ad analoghe conclusioni di non luogo a pronuncia si perverrebbe anche ove si riconoscesse all’atto l’efficacia implicita di un riconoscimento di debito – del quale peraltro mancano nella specie gli elementi indefettibili (valorizzazione delle utilità acquisite, chiara assunzione dell’impegno e determinazione di pagamento) – per le obbligazioni assunte con l’ordine di esecuzione degli interventi integrativi commissionati dopo la conclusione dei lavori, essendo questo inferiore ai limiti di valore posti dalla lettera g) dell’art. 3, comma 1, della legge n. 20/94 per il controllo sui decreti approvativi di contratti, ai quali i provvedimenti di riconoscimento del debito sono assimilati dalla giurisprudenza contabile per sostenere la autonoma assoggettabilità a controllo interdittivo dell’efficacia (Sezione centrale controllo di legittimità, deliberazione n. 17/2003/P).
         In questo contesto, sia pure in via del tutto incidentale, pare opportuno al Collegio chiarire che i pagamenti di cui è stata data dimostrazione nel decreto n. 525 in rapporto alle obbligazioni già assunte e sostenibili con i fondi impegnati vanno effettuati tempestivamente. Per questi, invero, l’esistenza di ogni censura di mancanza di copertura appare ex se incomprensibile e non giustificata dal sospetto che l’Amministrazione esponga in futuro l’emersione di nuovi oneri, rispetto ai quali solo nel momento della attualizzazione si potranno semmai avanzare contestazioni circa il modo in cui sono stati assunti e circa le fonti di copertura.
         Parimenti, va chiarito che poiché le predette somme esistenti in bilancio sono, per ammissione della stessa Amministrazione, già vincolate contabilmente al soddisfacimento di sottostanti obbligazioni contrattuali, è al pagamento di queste che vanno destinate, non potendosi più considerare “disponibili” ai fini di sopravvenienze diverse, la cui eventualità esige autonoma e puntuale autorizzazione di spesa, da impegnare e pagare nel rispetto delle norme inderogabili che presiedono all’assunzione di obbligazioni a carico dell’erario e della cui osservanza sono responsabili coloro che agiscono per l’Amministrazione stessa.
         Quanto al decreto n. 3260, non ci si può esimere dall’osservare che le indubbie contraddizioni che questo presenta rispecchiano la scarsa consapevolezza con la quale l’Amministrazione ha sempre gestito le risorse in dotazione, senza preoccuparsi in alcun modo di adottare, nella pluriennale fase esecutiva dell’opera quei comportamenti accorti necessari per assicurarne proficuo e corretto impiego.
         Rientra in questo quadro la prassi di introdurre modifiche agli atti convenzionali con perizie di variante sistematicamente approvate dopo l’avvio della fase esecutiva, avvio a sua volta demandato all’indiscriminato ricorso ai cc.dd. ordini di servizio, utilizzati anche nel caso di varianti incrementali indipendentemente e prima del perfezionamento dei necessari atti aggiuntivi.
         Questi ultimi, di conseguenza, sono sempre stati emanati a lavori già ampiamente avviati e qualche volta al limite della relativa conclusione, con alterazione della stessa fisiologia del controllo di legittimità di questa Corte, che è conformato come “preventivo”. Inoltre, praticamente mai nel corso di tanti lunghi anni l’Amministrazione si è preoccupata di evitare danni connessi alla inevitabile obsolescenza dei manufatti via, via realizzati, né di gestire la contabilità dei diversi lotti dell’opera in modo analitico in rapporto ai diversi impegni contrattuali, dando contezza con la trasparenza e l’ordine che la complessità della gestione, legata anche alla formula concessoria prescelta, avrebbe imposto.
         A tali errate prassi operative non si è sottratta neppure la fase degli interventi aggiuntivi, trattati amministrativamente e contabilmente alla stessa stregua di varianti in corso d’opera, sebbene la relativa necessità sia emersa solo a fase esecutiva conclusa e per espressa segnalazione, pur generica, della Commissione incaricata delle operazioni di collaudo generale, impossibilitata in assenza di essi a procedere e ad attestare la piena fruibilità dell’opera.
         In effetti, questi risultano ricondotti nell’ambito del quadro economico e negoziale del troncone di opera denominato “completamento I stralcio – inizio II lotto” ed in forza di ciò commissionati a trattativa diretta all’impresa unitamente alla redazione del capitolato tecnico-prestazionale con le procedure “semplificate” sempre adottate, richiamandosi da ultimo all’art. 134, commi 9 e 10, del D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, per tutte le varianti non comportanti costi aggiuntivi rispetto a quelli complessivamente stanziati per la specifica parte dell’opera interessata alla modifica e la cui approvazione è rimessa al responsabile del procedimento. Così operando, poi, la Amministrazione non ha inteso formalizzare la propria volontà negoziale in atto aggiuntivo, ma ritenendola sottintesa alla accettazione con modifiche del progetto proposto dall’impresa, si è limitata ad autorizzare l’immediata esecuzione con ordine di servizio del direttore dei lavori, senza acquisire altrimenti la sottomissione dell’impresa stessa se non in calce a detto atto.
         La sequenza seguita evidenzia notevoli irregolarità sul piano formale, essendo nella specie venuto a mancare un atto scritto espresso di affidamento da parte dell’Amministrazione da trasfondere in un provvedimento di approvazione suscettibile di controllo e valevole ai fini dell’assunzione dell’impegno contabile.
         Ed in effetti, i contenuti del provvedimento oggi all’esame, al quale la Amministrazione è addivenuta unicamente in occasione della disposizione dei pagamenti in favore dell’impresa i quali in assenza di esso sono almeno apparentemente destituiti di un supporto negoziale, mostrano una sovrapposizione fra i due momenti dell’approvazione del progetto e di quella dell’affidamento, che nell’iter tracciato dalla normativa vigente in materia di lavori pubblici (in particolare, art. 16, comma 6, e 17 comma 14 sexies, della c.d. legge Merloni, nonché artt. 46 e segg. Del D.P.R. 554/99), sono concepiti come logicamente distinti e dei quali solo il secondo è destinato ad assumere rilievo esterno anche ai fini del controllo della Corte dei conti.
         Entrambe le proposizioni sono oggettivamente in sé tardive, in quanto successive all’esecuzione dei lavori commissionata con ordine di servizio.
         Allo scopo di individuare con esattezza i parametri normativi alla stregua dei quali esprimere un giudizio di legittimità, pare necessario puntualizzare che gli interventi di cui trattasi – stante la circostanza dell’avvenuta conclusione dei lavori principali cui accedono, inequivocabilmente attestata dai relativi certificati di ultimazione emessi dalla direzione di lavori e sottolineato anche in sede di risposta al rilievo con la precisazione che gli stessi si riferiscono a opere della prima fase esecutiva del I lotto terminata addirittura nel 1993 – rimangono fuori dal concetto di variante di cui all’art. 25 della c.d. legge Merloni (legge n. 11 febbraio 1994, n. 109 e successive modificazioni) e pertanto, a rigore, non possono essere attratti nell’orbita della relativa disciplina neppure regolarmente.
         Questi costituiscono, pertanto, un affidamento autonomo sotto il profilo negoziale da quelli posti in essere con i precedenti atti convenzionali, ancorché dal punto di vista tecnico strettamente connesso all’opera che con detti atti è stata commissionata.
         Ciò posto, occorre stabilire se l’attuale provvedimento, pur nelle sue peculiarità, realizzi effetti compatibili con le regole che presiedono al perfezionamento ed all’approvazione di contratti concernenti lavori pubblici, condizioni imprescindibile perché questo possa considerarsi legittimo.
         A tale fine, si tratta di sciogliere i dubbi concernenti le eventuali illegittimità insite nella tardività dell’atto, che sarebbe perciò emanato al di fuori dell’ambito temporale per il quale i poteri con esso dichiaratamente esercitati sono attribuiti all’Amministrazione, nonché, nell’ordine, di verificare se esso sia diretto a sanare vizi sostanziali che attengono alla sottostante pattuizione.
         Sotto il primo profilo, ritiene il Collegio che la approvazione del progetto, la cui necessaria collocazione a monte dell’esecuzione dei lavori discende dalla logica prima che dal contesto dei principi e delle regole poste dal legislatore in materia di lavori pubblici, non richiedendo particolari requisiti di forma possa nella specie ritenersi implicitamente sottesa nella autorizzazione impartita al direttore dei lavori dal rappresentante legale dell’Amministrazione e preceduta da una fase di elaborazione progettuale “negoziata” quanto meno per la definizione dei costi degli interventi nonché dalla acquisizione del c.d. “parere favorevole” del responsabile del procedimento che equivale a validazione tecnica. In conseguenza di ciò, la proposizione apposita contenuta nell’odierno provvedimento va intesa in senso meramente confermativo di una decisione già assunta in precedenza. La relativa “tardività” non assume, perciò alcun rilievo invalidante.
         Quanto alla anch’essa tardiva approvazione dell’ordine di esecuzione, ritenendo questa assimilabile per il contesto concreto in cui è inserita all’atto che secondo l’ordinario procedimento contrattuale accede ad ogni negozio per integrarne l’efficacia, la problematica appare di più delicata soluzione.
         In effetti, è regola generale posta dalle norme della contabilità di Stato (art. 19 T.U. 2440/1923 e art. 117 del R.D. 827/1924) nonché da quelle concernenti i lavori pubblici che l’approvazione condizioni l’efficacia del contratto, salvi i casi di indefettibile urgenza adeguatamente motivata e tale da rendere impossibile rispettare le fisiologiche scansioni delle procedure dell’evidenza pubblica (art. 337 e 343 legge 2248/1865, all. F). Sul punto si contrappongono due orientamenti: l’uno tendente ad ammettere, per il principio di salvezza degli atti negoziali, la validità della c.d. approvazione in sanatoria, che sarebbe solo affetta da irregolarità non sostanziale; l’altro più rigoroso, fatto proprio pressoché univocamente dalla giurisprudenza contabile (cfr. per tutte Sez. contr. Stato n. 67/94; Sez. centrale contr. legittimità n. 20/2002/P) per il quale la tardività dell’approvazione è di per sé invalidante, anche perché impedisce – con lo spostamento nel tempo rispetto alla esecuzione del contratto – il regolare espletamento del controllo ex art. 3, comma 1, della legge n. 20/94 che è invece costruito dal legislatore come “preventivo”.
         Da quest’ultimo il Collegio ritiene di non doversi discostare nella specie.
         Per mero tuziorìsmo, si osserva che l’adesione alla tesi più benevola – fondata sulla duplice considerazione che l’approvazione del negozio è sicuramente dotata di minore impatto nei casi, come quello all’esame, in cui l’organo titolare dei relativi poteri si identifichi con quello dotato del potere di assumere l’obbligazione e che di fatto ha autorizzato i lavori (vedasi Cassazione, Sez. I, n. 5020/84) e che un atto formale ancorché tardivo consentirebbe in ogni caso l’attivazione delle procedure di controllo esterno, con uno spazio di operatività piena quale concreta condizione di efficacia della obbligazione pecuniaria dell’amministrazione – comunque non renderebbe il provvedimento esente da censure.
         Va precisato, infatti, che l’approvazione non può sanare vizi sostanziali sottostanti che inficiano la validità dell’atto negoziale.
         Al riguardo, pur volendosi nel caso di specie ritenere sussistente, ancorché con le anomalie sopra evidenziate, quello scambio in forma scritta di proposta ed accettazione indispensabile per porre qualsiasi contratto di una pubblica amministrazione al riparo dalla sanzione della nullità, emerge con rilievo assorbente la mancanza di un presupposto di legittimità essenziale in base ai principi della contabilità pubblica, per l’assunzione di un impegno negoziale da parte di una amministrazione statale e consistente nella relativa autorizzazione di spesa.
         Questa scaturisce, almeno ordinariamente, dalla presenza in bilancio degli stanziamenti a copertura che deve essere accertata con riferimento al momento in cui l’obbligazione stessa viene assunta.
         A tale regola non si sottraggono le spese disposte in base ad assegnazioni ex lege n. 908/60, provvedimento autorizzatorio necessario per le spese tratte su capitoli gestiti da una pluralità di organi ed in tutto equivalente negli effetti allo stanziamento di bilancio (cfr. art. 2).
         Discende da tale equiparazione da un lato che l’assegnazione è determinante ai fini della legittimazione ad adottare l’atto di spesa, dall’altro che questa ha efficacia autorizzatoria intrinsecamente limitata ai tempi di fisiologica conservazione in bilancio dei fondi assegnati, sia in conto competenza nell’esercizio di imputazione sia, successivamente, a titolo di residuo di stanziamento, ove ne ricorrano i presupposti. Ne consegue che soltanto entro detti termini della somma assegnata è possibile disporre traendo su di essa regolari impegni, alla cui assenza segue la cancellazione delle assegnazioni dalla contabilità e con essa il venir meno della autorizzazione, salva espressa rinnovazione a fronte del permanere dell’esigenza per la quale ad esse si era addivenuti (cfr. Sez. contr. n. 1878/88 e n. 56/91):
         Nel caso all’esame, a fronte della complessa situazione contabile documentata in atti che evidenzia come le assegnazioni relative agli ultimi due lotti di lavori siano state sempre gestite in modo unitario, priva di pregio appare in contrario la affermazione dell’Amministrazione per la quale gli interi importi assentiti sarebbero stati già a suo tempo interamente impegnati, in quanto integralmente collocate nei quadri economici dei singoli lotti di lavori.
         In disparte la considerazione che detta prassi, come risulta dai conteggi prodotti, non ha evidentemente posto i fondi stessi al riparo da cancellazioni, l’argomento prova troppo.
         A monte della intervenuta cancellazione possono esservi solo due situazioni: un debito giuridicamente perfezionato e non pagato oppure una mancata assunzione di vincoli giuridici. Nella prima ipotesi, delle somme impegnate non è più possibile disporre in altro modo se non per il pagamento dei debiti già su di esse contratti al quale sarà vincolata ogni successiva reimputazione a carico dei fondi speciali all’uopo accantonati annualmente in bilancio; nella seconda sarà necessario ottenere una rassegnazione la quale non potrà produrre effetti se non quando sia stata formalizzata.
         Quest’ultima ipotesi, l’Amministrazione stessa attesta ricorrere nel caso che occupa il Collegio.
         Da quanto sopra discende che l’obbligazione di cui trattasi è stata illegittimamente contratta fatto che avrebbe potuto essere agevolmente evitato se l’Amministrazione anziché artificiosamente ricondurre questa nell’alveo di uno dei quadri economici posti a base di precedenti affidamenti avesse con chiarezza definito la contabilità dell’opera e, acquisita piena cognizione delle economie di gestione, ne avesse a tempo debito richiesta la integrazione per fronteggiare le nuove necessità.
         La attestata mancanza di copertura, ancorché non integrale, travolge l’intero impegno negoziale concepito come unitario e pertanto non frazionabile arbitrariamente da quest’organo di controllo per ritenerne la legittimità parziale. Trattasi, invero, di una delle poche ipotesi di vizio importante il diniego assoluto di registrazione ai sensi dell’art. 25 T.U. delle leggi sulla Corte dei conti 1214/34.
         Nondimeno, poiché i lavori eseguiti vanno adeguatamente remunerati per l’utilità che da essi ne abbia tratta l’Amministrazione, debitamente attestata in sede di riconoscimento finale dalla Commissione di collaudo che ne ha richiesto l’esecuzione, in attesa della definitiva quantificazione del dovuto e per evitare ulteriori esborsi da ritardato pagamento si ritiene possibile provvedere a corrispondere gli importi disponibili a titolo di anticipazione provvisoria e salvo integrazioni.
 
P.Q.M.
DELIBERA
         Non vi è luogo a procedure per il provvedimento n. 525-B10222/1-B10222/3 in data 5 ottobre 2004.
         Con integrale richiamo a quanto in motivazione, è ricusato il visto riguardo al provvedimento n. 3260-B10222 in pari data, che non è conseguentemente ammesso a registrazione.
ORDINA
         La trasmissione della presente deliberazione alla competente Procura contabile per l’accertamento di eventuali ipotesi di responsabilità.
 
             Il relatore                                                  Il Presidente
    ******************                                         ***************
 
 
Depositata in segreteria il 21 marzo 2005
Il Coordinatore Amministrativo
Dott. Lina DEI FIORI

Francaviglia Rosa

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