La delibera che segue e relativo documento concerne le disposizioni di cui alla L. n. 311/2004 ( L.Finanziaria per il 2005 ) in materia di affidamento di incarichi di ricerca, studio e consulenza ed è oltremodo importante in quanto esplicativa della portata delle nuove disposizioni normative.
N. 6/CONTR/05
LE SEZIONI RIUNITE IN SEDE DI CONTROLLO
nell’adunanza del 15 febbraio 2005
composte dai magistrati:
Presidente:
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Francesco
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STADERINI
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Presidenti di Sezione:
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Tullio
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LAZZARO
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Danilo
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DELFINI
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Luigi
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SCHIAVELLO
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Fulvio
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BALSAMO
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Rosario Elio
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BALDANZA
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Giuseppe S.
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LAROSA
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Enrico
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GUSTAPANE (relatore)
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Massimo
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VARI
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Consiglieri:
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Maurizio
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MELONI
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Franco
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TURINA
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Claudio
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IAFOLLA
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Giorgio
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PUTTI
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Adolfo
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DE GIROLAMO
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Gaetano
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D’AURIA
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Renzo
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LIBERATI
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Maurizio
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PALA
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Giovanni
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COPPOLA
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Fabio
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VIOLA
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Aldo
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CAROSI (relatore)
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Stefano
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SIRAGUSA
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Vincenzo
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PALOMBA
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I Referendari:
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Cinzia
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BARISANO
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Maria Luisa
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ROMANO
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Referendari:
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Elena
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BRANDOLINI
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Con l’intervento, in qualità di Segretario verbalizzante, del funzionario dott.ssa Angela Maria Giuliani;
Vista la legge 14 gennaio 1994, n.20 e successive modificazioni;
Vista la legge 20 dicembre 1996, n.639;
Visto l’art. 3, comma 2, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286;
Visto il regolamento per l’organizzazione delle funzioni di controllo, approvato dalle Sezioni Riunite con deliberazione n. 14/DEL/2000 del 16 giugno2000 (G. U. n. 156 del 6 luglio 2000), modificato con le deliberazioni delle Sezioni Riunite n. 2 del 3 luglio 2003 e n. 1 del 17 dicembre 2004;
Visto l’articolo 7 della legge 5 giugno 2003, n. 131;
Vista la nota del 28 gennaio 2005 con la quale, d’ordine del Presidente della Corte dei conti, le Sezioni riunite in sede di controllo sono state convocate per la seduta odierna;
Uditi i relatori presidente Enrico Gustapane e consigliere Aldo Carosi;
HANNO DELIBERATO
di approvare il documento allegato, che è parte integrante della presente deliberazione, riguardante:
“Linee di indirizzo e criteri interpretativi sulle disposizioni della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (finanziaria 2005) in materia di affidamento d’incarichi di studio o di ricerca ovvero di consulenza (art. 1, commi 11 e 42)”.
I RELATORI IL PRESIDENTE
Presidente Enrico Gustapane Francesco Staderini
Consigliere Aldo Carosi
Depositata in Segreteria il
Il Dirigente
SEZIONI RIUNITE IN SEDE DI CONTROLLO
Adunanza del 15 febbraio 2005
“Linee di indirizzo e criteri interpretativi sulle disposizioni della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (finanziaria 2005) in materia di affidamento d’incarichi di studio o di ricerca ovvero di consulenza (art. 1, commi 11 e 42)”
Le amministrazioni pubbliche, comprese le regioni, le province e i comuni, possono conferire, ai sensi dell’articolo 7, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, corrispondente all’articolo 7 d. lgs. n. 29/1993 e successive modificazioni, incarichi individuali ad esperti di “provata competenza” per “esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio”.
Le regole per il conferimento degli incarichi da parte dei ministri, sono state definite con il regolamento approvato con D. P. R. 18 aprile 1994, n. 338, che circoscrive l’oggetto degli incarichi alla “necessità di compiere studi e di risolvere problemi”. Gli incaricati devono consegnare una relazione scritta sui risultati dello studio e sulle soluzioni proposte. L’attività svolta è soggetta alla valutazione di un apposito comitato.
Allo scopo di garantire la trasparenza e il rispetto delle regole sull’affidamento degli incarichi, l’articolo 1, comma 127, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 ha disposto che le pubbliche amministrazioni che si avvalgono “di collaboratori esterni o che affidano incarichi di consulenza” retribuiti, devono pubblicare gli elenchi sui conferimenti, da inviare semestralmente al Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri. La disposizione è stata inserita nell’articolo 53, commi 14, 15 e 16, d. lgs. n. 165/2001 che ha previsto anche una relazione annuale al Parlamento nella quale il Dipartimento deve riferire sui dati raccolti e formulare proposte “per il contenimento della spesa per gli incarichi e per la razionalizzazione dei criteri di attribuzione degli incarichi stessi”
[1].
L’articolo 110, comma 6, d. lgs. 18 agosto 2000, n. 267 stabilisce, infine, che le province e i comuni possono inserire, nei propri regolamenti sull’ordinamento degli uffici e dei servizi, disposizioni che prevedano “per obiettivi determinati e con convenzioni a termine” il ricorso a collaborazioni esterne “ad alto contenuto di professionalità”. Gli enti locali perciò, oltre al conferimento degli incarichi esterni ai sensi dell’articolo 7, comma 6, d. lgs. n. 165/2001, possono ricorrere a collaborazioni esterne, nei casi in cui sia necessario avvalersi di un contributo d’alta professionalità, a condizione che la facoltà sia stata prevista nei loro regolamenti.
Oltre le disposizioni di carattere generale, diverse leggi consentono, alle amministrazioni dello Stato, di ricorrere ad incarichi esterni in casi determinati
[2]; anche le regioni hanno emanato leggi per disciplinare gli incarichi e le consulenze.
Sulla base delle disposizioni citate, la giurisprudenza della Corte dei conti, in sede di controllo e in sede giurisdizionale, ha elaborato i seguenti criteri per valutare la legittimità degli incarichi e delle consulenze esterni:
a) rispondenza dell’incarico agli obiettivi dell’amministrazione;
b) inesistenza, all’interno della propria organizzazione, della figura professionale idonea allo svolgimento dell’incarico, da accertare per mezzo di una reale ricognizione;
c) indicazione specifica dei contenuti e dei criteri per lo svolgimento dell’incarico;
d) indicazione della durata dell’incarico;
e) proporzione fra il compenso corrisposto all’incaricato e l’utilità conseguita dall’amministrazione.
Allo scopo di contenere la spesa delle amministrazioni pubbliche, aumentata anche per il ricorso, frequente e ingiustificato, agli incarichi esterni, con il duplice effetto di una spesa aggiuntiva e della mancata utilizzazione delle ordinarie strutture amministrative, l’articolo 1, commi 9 e 11, del d. l. 12 luglio 2004, n. 168, convertito con legge 30 luglio 2004, n. 191, ha posto un limite alla spesa per gli incarichi. Il limite è posto per le regioni, le province e i comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti “a tutela dell’unità economica della Repubblica”.
Oltre il limite della spesa, la norma citata ha individuato tre categorie d’incarichi: di studio, di ricerca o di consulenza, per le quali ha prescritto un’adeguata motivazione e la possibilità di ricorrervi “solo nei casi previsti dalla legge o nell’ipotesi di eventi straordinari”. Gli atti di conferimento dell’incarico devono poi essere trasmessi agli organi di controllo interno degli enti.
L’affidamento d’incarichi, in assenza dei presupposti stabiliti dall’articolo 1, comma 9, “costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale”.
Le disposizioni dei commi 9 e 11 dell’articolo 1 della legge n. 191/2004 hanno cessato di essere in vigore il 31 dicembre 2004 e sono state sostituite, a decorrere dal 1 gennaio 2005, dall’articolo 1, commi 11 e 42, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria 2005).
I commi 11 e 42 confermano il limite della spesa per il conferimento degli incarichi esterni, determinandolo, per tutte le amministrazioni pubbliche, comprese le regioni, le province e i comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti, escluse le università e gli enti di ricerca, nell’importo erogato per lo stesso oggetto nel 2004. Gli atti di affidamento degli incarichi dovranno recare perciò una certificazione dell’Ufficio centrale del bilancio, per le amministrazioni centrali dello Stato, e dei competenti servizi di ragioneria per gli enti pubblici nazionali, per le regioni, le province e i comuni, sul rispetto del limite di spesa stabilito dalla legge n. 311/2004. Per gli enti che adottano la contabilità economica, l’attestazione è rimessa all’organo che esercita il controllo contabile.
Il comma 11 disciplina, poi, il conferimento degli incarichi esterni da parte delle amministrazioni dello Stato, delle Regioni e degli enti pubblici non economici nazionali; il comma 42 riguarda, invece, l’affidamento degli incarichi da parte delle province e dei comuni, comunità montane e unioni di comuni, con popolazione superiore a 5.000 abitanti.
Le norme attuali hanno per oggetto le tre categorie già individuate dal d. l. n. 168/2004: incarichi di studio, di ricerca, di consulenza. I due commi differiscono, invece, nella motivazione prescritta per il conferimento.
Le differenze fra i due commi saranno esaminate successivamente, poiché è necessario definire, in via preliminare, il contenuto degli incarichi ai quali si applica la legge.
Gli incarichi di studio possono essere individuati con riferimento ai parametri indicati dal D. P. R. n. 338/1994 che, all’articolo 5, determina il contenuto dell’incarico nello svolgimento di un’attività di studio, nell’interesse dell’amministrazione. Requisito essenziale, per il corretto svolgimento di questo tipo d’incarichi, è la consegna di una relazione scritta finale, nella quale saranno illustrati i risultati dello studio e le soluzioni proposte.
Gli incarichi di ricerca, invece, presuppongono la preventiva definizione del programma da parte dell’amministrazione.
Le consulenze, infine, riguardano le richieste di pareri ad esperti.
Il contenuto degli incarichi, cui fanno riferimento i commi 11 e 42, coincide quindi con il contratto di prestazione d’opera intellettuale, regolato dagli articoli 2229 – 2238 del codice civile.
Per valutare se un incarico rientra in una delle categorie previste dai commi 11 e 42, occorre considerare il contenuto dell’atto di conferimento, piuttosto che la qualificazione formale adoperata nel medesimo.
A titolo esemplificativo, si elencano alcuni tipi di prestazione che rientrano nella previsione normativa:
studio e soluzione di questioni inerenti all’attività dell’amministrazione committente;
prestazioni professionali finalizzate alla resa di pareri, valutazioni, espressione di giudizi;
consulenze legali, al di fuori della rappresentanza processuale e del patrocinio dell’amministrazione;
studi per l’elaborazione di schemi di atti amministrativi o normativi.
Non rientrano, invece, nella previsione dei commi 11 e 42:
le prestazioni professionali consistenti nella resa di servizi o adempimenti obbligatori per legge, qualora non vi siano uffici o strutture a ciò deputati;
la rappresentanza in giudizio ed il patrocinio dell’amministrazione;
gli appalti e le “esternalizzazioni” di servizi, necessari per raggiungere gli scopi dell’amministrazione.
Non rientrano, in sostanza, nella previsione gli incarichi conferiti per gli adempimenti obbligatori per legge, mancando, in tali ipotesi, qualsiasi facoltà discrezionale dell’amministrazione. L’esclusione di questo tipo di incarichi è, del resto, convalidata dallo stesso comma 42 che esclude dall’ambito della sua applicazione gli incarichi conferiti ai sensi della legge quadro sui lavori pubblici 11 febbraio 1994, n. 109.
Restano fuori dell’oggetto dei commi 11 e 42 anche i “rapporti di collaborazione coordinata e continuativa”, che rappresentano una posizione intermedia fra il lavoro autonomo, proprio dell’incarico professionale, e il lavoro subordinato (art. 409, n. 3 del codice di procedura civile; art. 61 d. lgs. 10 settembre 2003, n. 276).
L’esclusione di questo tipo di rapporti si ricava, del resto, dalla stessa legge n. 311/2004 la quale, al comma 116 dell’articolo 1, prevede che le pubbliche amministrazioni, comprese regioni, province e comuni, possono avvalersi, nel 2005, di personale a tempo determinato, esclusa la nomina del direttore generale dei Comuni (art. 108 d. lgs. n. 267/2000), “con contratti di collaborazione coordinata e continuativa”. I rapporti di collaborazione coordinata e continuativa sono quindi utilizzabili per le esigenze ordinarie proprie del funzionamento delle strutture amministrative e non riguardano perciò il ricorso agli incarichi esterni.
Gli incarichi di collaborazione coordinata e continuativa, infatti, per la loro stessa natura che prevede la continuità della prestazione e un potere di direzione dell’amministrazione, appaiono distinti dalla categoria degli incarichi esterni, caratterizzata dalla temporaneità e dall’autonomia della prestazione. Resta fermo, peraltro, che, qualora un atto rechi il nome di collaborazione coordinata e continuativa, ma, per il suo contenuto, rientri nella categoria degli incarichi di studio o di ricerca o di consulenza, il medesimo sarà soggetto al limite di spesa, alla motivazione e all’invio alla Corte dei conti, secondo le previsioni dei commi 11 e 42.
Dopo avere precisato il contenuto degli incarichi, si può passare a considerare le differenze fra il comma 11 e il comma 42, per quanto riguarda la motivazione prescritta.
Il comma 11, che si applica alle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, d. lgs. n. 165/2001, comprese le regioni, dispone che il conferimento dell’incarico deve essere adeguatamente motivato ed “è possibile soltanto nei casi previsti dalla legge ovvero nelle ipotesi di eventi straordinari”. Le amministrazioni statali, gli enti pubblici nazionali non economici e le regioni potranno quindi conferire incarichi esterni soltanto nei casi previsti dalla legge nazionale, o dalle leggi regionali, salvi gli eventi straordinari. Le università, gli enti di ricerca e gli organismi equiparati, benché esclusi dal rispetto del limite di spesa stabilito dal comma 11, sono assoggettati alle altre disposizioni dello stesso comma, limitatamente però agli incarichi di studio, di ricerca o di consulenza, conferiti in materie e per oggetti rientranti nella competenza della struttura burocratica dell’ente.
Il comma 42, che riguarda le province e i comuni, con popolazione superiore a 5.000 abitanti, stabilisce che il conferimento degli incarichi “deve essere adeguatamente motivato con specifico riferimento all’assenza di strutture organizzative o professionalità interne all’ente in grado di assicurare i medesimi servizi”. L’affidamento dell’incarico deve essere preceduto perciò da un accertamento reale, che coinvolge la responsabilità del dirigente competente, sull’assenza di servizi o di professionalità, interne all’ente, che siano in grado di adempiere l’incarico.
Il comma 42 dispone poi che l’atto di conferimento deve essere sottoposto all’esame del collegio dei revisori dei conti, che valuterà, ai sensi dell’articolo 239 lettera b) T. U. n. 267/2000, la regolarità contabile, finanziaria ed economica dell’atto, con particolare riguardo all’osservanza del limite di spesa posto dalla legge n. 311/2004.
I commi 11 e 42 stabiliscono, infine, la trasmissione alla Corte dei conti degli atti di conferimento degli incarichi e prevedono che l’affidamento dei medesimi, senza il rispetto delle previsioni della legge, “costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale”.
La legge impone l’invio degli atti alla Corte dei conti, senza altra specificazione. Poiché la Corte svolge funzioni di controllo e giurisdizionali, è necessario individuare se gli atti debbano essere trasmessi alle Sezioni centrali e regionali di controllo o alle Procure regionali, restando, in ogni caso, escluse le sezioni giurisdizionali della Corte che, per la natura delle loro funzioni, non possono ricevere atti al di fuori dell’esercizio della giurisdizione.
Le Sezioni Riunite in sede di controllo hanno già riconosciuto, con la deliberazione n. 7/2003 del 27 febbraio 2003, la competenza delle Sezioni del controllo nel caso dell’invio alla Corte dei conti dei contratti conclusi a trattativa privata. Le Sezioni Riunite ritennero, infatti, che la competenza a ricevere gli atti spettasse alle Sezioni del controllo, trattandosi di atti utilizzabili ai fini del controllo sulla gestione.
Occorre aggiungere che l’eventuale attribuzione della competenza alle Procure regionali, contrasterebbe con la funzione istituzionale degli organi requirenti, che hanno il compito di esercitare l’azione per l’accertamento della responsabilità amministrativa o contabile e che possono ricevere, perciò, soltanto gli atti dai quali emergano elementi di danno per l’erario. La Corte costituzionale ha affermato (sentenza 22 febbraio 1989 n. 104), del resto, che il Procuratore della Corte dei conti non può chiedere una serie di atti amministrativi, al di fuori di “elementi concreti e specifici” d’ipotesi di danno erariale, poiché, in tal modo, l’organo requirente si attribuirebbe compiti di controllo, estranei alla sua funzione istituzionale.
Conferma, ex adverso, tale assunto l’articolo 23, comma 5, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (legge finanziaria 2003) che fa oggetto di espressa previsione l’invio alle Procure regionali della Corte dei conti degli atti di riconoscimento del debito, sintomatici di danno erariale.
Corrobora ulteriormente il riconoscimento della competenza delle Sezioni del controllo la considerazione che le disposizioni dei commi 11 e 42 sono dirette, soprattutto, al contenimento della spesa nel settore degli incarichi. La competenza delle Sezioni del controllo deriva, perciò, dallo scopo delle norme, poiché l’accertamento degli equilibri finanziari delle amministrazioni pubbliche e della “sana gestione finanziaria” degli enti locali, non può che spettare alla sede del controllo.
Occorre precisare, ora, secondo le competenze stabilite dalla legge e dal regolamento per l’organizzazione delle funzioni di controllo della Corte dei conti, approvato con la deliberazione delle Sezioni riunite n. 14 del 16 giugno 2000 e successive modificazioni, le Sezioni del controllo alle quali dovranno essere inviati gli atti:
Sezione centrale del controllo sulla gestione delle Amministrazioni dello Stato
Amministrazioni centrali dello Stato
Sezione del controllo sugli enti
Enti controllati
Sezioni regionali di controllo
Amministrazioni decentrate dello Stato
Regioni
Province
Comuni, con popolazione superiore a 5.000 abitanti
Comunità montane, con popolazione superiore a 5.000 abitanti
Unioni di Comuni, con popolazione superiore a 5.000 abitanti
Aziende sanitarie locali
Camere di commercio, industria e agricoltura
Enti pubblici regionali non economici.
Le Sezioni del controllo, ricevuti gli atti, li utilizzeranno secondo i principi e i procedimenti del controllo successivo sulla gestione, previsti dall’articolo 3 della legge 14 gennaio 1994, n. 20 richiamato, per quanto riguarda i comuni e le province, dall’articolo 148 T. U. n. 267/2000, e dall’articolo 7, comma 7, della legge 5 giugno 2003, n. 131. Rientra, poi, nella competenza delle Sezioni l’approvazione dei criteri organizzativi interni per l’esame degli atti.
Qualora, in tale sede, si dovesse venire a conoscenza di ipotesi d’illecito contabile si procederà alla segnalazione alla competente Procura regionale della Corte dei conti, secondo le indicazioni della Corte costituzionale (sentenza n. 29 del 12 – 27 gennaio 1995) che, nell’affermare la netta distinzione fra il controllo sulla gestione e la giurisdizione di responsabilità amministrativa, ha confermato, tuttavia, che il Procuratore della Corte dei conti può promuovere l’azione di responsabilità sulla base di una segnalazione acquisita “attraverso l’esercizio dei poteri istruttori inerenti al controllo sulla gestione”, arrestandosi alla segnalazione il rapporto fra attività giurisdizionale e controllo sulla gestione. Resta fermo, peraltro, l’obbligo di denunzia alla Procura della Corte dei conti, posto dalla legge a carico degli organi amministrativi e di controllo interni.
[1] Il Dipartimento della funzione pubblica ha pubblicato recentemente i risultati del monitoraggio sugli incarichi e le consulenze esterne, conferiti dalle amministrazioni pubbliche, compresi regioni ed enti locali, utilizzando gli elenchi trasmessi ai sensi delle disposizione citate.
[2] Le leggi speciali che prevedono tale facoltà sono elencate in Corte dei conti, Sezione del controllo (2° Collegio), deliberazione n. 101 del 20 maggio 1997 che approva la “Relazione sull’attuazione del d. legislativo 3 febbraio 1993, n. 29”.
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