La decisione in esame è di particolare interesse poiché si sofferma in maniera dettagliata sul grado di colpa necessario a delineare utilmente la responsabilità amministrativo-contabile.
In particolare i giudici trentini ritengono che non sia sufficiente la mera violazione di generiche disposizioni di servizio per potersi configurare la colpa grave così come richiesto dall’art. 1, comma 1, L. 20/94 ma che occorra a tal fine un giudizio ex post preceduto da una ricostruzione ex ante finalizzata ad accertare se l’evento pregiudizievole fosse prevedibile o quanto meno prevenibile da parte dei presunti autori tenuto conto delle condizioni sussistenti al momento in cui si è sviluppata la vicenda.
Nel caso in esame, il Collegio esaminando le mancate misure di salvaguardia preventive – come prospettate e contestate dalla Procura attrice – da adottarsi da parte dei convenuti sulla scorta della situazione ambientale ed atmosferica, oltre che del bilanciamento tra gli interessi in gioco – civili da una parte, e la sicurezza dell’esercitazione militare dall’altra – qualifica l’evento pregiudizievole (crollo di un ponte al passaggio di un automezzo) difficilmente ipotizzabile secondo i criteri di normalità, tanto da potersi qualificare come imprevedibile.
In conclusione, secondo il Collegio, non appare ravvisabile nell’elemento soggettivo degli ufficiali convenuti nel giudizio – indipendentemente dal rispettivo grado e ruolo rivestito nella vicenda – l’intensità della colpa neppure sotto la sua la connotazione generica: non si rinviene, infatti, quella “condotta connotata da notevole ed inescusabile negligenza, imprudenza od imperizia, od ancora dalla macroscopica violazione di elementari obblighi di servizio, o da palese ed indiscutibile scriteriatezza, superficialità ed approssimazione nella tutela degli interessi pubblici, allorquando l’evento dannoso sia obiettivamente ed agevolmente prevedibile secondo un giudizio formulato ex ante” (Corte dei Conti, Sez. Giur. Sic., n. 1113/2003) ovvero quel comportamento caratterizzato da “un rilevante grado di negligenza, di imprudenza o di imperizia tale da rendere elevata la prevedibilità e la probabilità dell’evento” (Corte dei Conti, Sez. Giur. Umbria, sent. n. 273/2003); conseguentemente i giudici ne pronunciano l’assoluzione.
Segue la pronuncia.
SEZIONE GIURISDIZIONALE REGIONALE
PER IL TRENTINO – ALTO ADIGE CON SEDE IN TRENTO
Presidente: I. deMarco – Relatore: *********
RITENUTO IN FATTO
Con atto di citazione in data 11 marzo 2006, ritualmente notificato alle parti interessate, il Sostituto Procuratore Generale presso questa Sezione Giurisdizionale ha convenuto in giudizio: il tenente colonnello G.L., comandante del *********** “Orta”; il tenente ****, comandante della 6^ Compagnia **************** “Iseo” ed il capitano L.G., responsabile della Sezione Addestramento, contestando loro di avere provocato un danno indiretto al Ministero della Difesa equivalente a complessivi € 124.745,97, somma della quale chiede oggi la rifusione in parti uguali tra i soggetti presunti responsabili, fatta salva la diversa determinazione del Collegio, con la maggiorazione di rivalutazione monetaria, interessi legali e spese del giudizio.
Risulta infatti che, in data 30 giugno 1995, in seguito a commissione alla società OMISSIS S.r.l. da parte del Sindaco del Comune di Mazzin, il sig. S.F. autista dipendente di detta società, utilizzando il camion Mercedes targato TN del peso di 36 tonnellate, effettuava il trasporto di ghiaia presso un campo militare sito in località ********** di Fassa. L’operazione veniva eseguita con tre carichi, i cui primi due rilasciati in prossimità di un ponte sito sul torrente Avisio, in località Fontanazzo di Mazzin di Fassa; durante il terzo carico, il sig. F. attraversava con il camion il ponte stesso, la cui sbarra era stata lasciata aperta, provocando così il crollo della struttura sopra e sotto la quale si svolgevano attività di addestramento di militari appartenenti od aggregati alla 6^ Compagnia ********************* del Primo Reggimento ************** diretti dal tenente P.. Il ponte, della portata massima di 12 tonnellate, a causa dell’eccesso di peso, crollava rovinosamente sul fiume sottostante, provocando la morte di un militare ed il ferimento di altri, tutti impegnati nell’espletamento di un’esercitazione militare.
A seguito dell’evento pluri-offensivo. furono rinviati a giudizio innanzi al Pretore di Cavalese gli odierni convenuti con altri coimputati ovvero: il sindaco e l’assessore ai lavori pubblici del Comune di Mazzin, sig.ri G. D. e A. M., l’autista della OMISSIS, sig. S.F., il progettista e direttore dei lavori di esecuzione del ponte, ing. C. Z. ed il colonnello G. D., comandante del Primo Reggimento Pionieri Trento. In particolare, le contestazioni a carico dei militari consistevano: 1) per quanto riguardava F.P. e L.G., nelle rispettive qualità di comandante della 6^ Compagnia ********************* e di responsabile della Sezione Addestramento nonché di supervisore delle operazioni, presente sul posto, nell’avere scelto quale luogo di addestramento (demolizione “in bianco”) il ponte di Fontanazzo, con sbarra aperta, senza preoccuparsi della eventualità che i veicoli potessero passare sulla struttura, cagionando pericolo per i militari, e senza predisporre alcuna misura atta a scongiurare tale pericolo; 2) al tenente colonnello L. ed al colonnello D., nella qualità rispettiva di comandante del **************** e di comandante del Primo Reggimento Pionieri Trento, superiori gerarchici di P. e di L.G., per non avere controllato che le operazioni addestrative avvenissero in sicurezza e non avere predisposto che il predetto ponte lamellare, utilizzato per l’addestramento, venisse idoneamente chiuso al traffico.
I convenuti venivano condannati dal Pretore di Cavalese, con sentenza n. 36/98, pronunciata il 1° giugno 1998, alla pena di anni uno e mesi cinque di reclusione (oltre al pagamento, in solido, delle spese processuali ed alla assegnazione di una provvisionale alle parti civili costituite) per i reati di cui agli artt. 113 c.p., 589 I – II – III – IV c. p., perché per colpa consistita in imprudenza, imperizia, negligenza e anche per colpa specifica consistita nella violazione della normativa antinfortunistica ed in particolare degli artt. 3 – 4- e 11 del D.P.R. 547/55 nonché dell’art. 2087 c.c., avevano concorso a cagionare il decesso di C. P. nonché lesioni personali gravi a S. R., *****, A. G. e M. B.; contestualmente lo stesso Giudice condannava, rispettivamente, S.F. e G. D. alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione, assolvendo il colonnello D. e l’assessore M., per non aver commesso il fatto, e disponendo la separazione del giudizio nei confronti di *****, progettista ed esecutore del ponte in legno.
Con sentenza n. 45/2000 pronunciata il 2 febbraio 2000, in parziale riforma del giudizio di primo grado gravato da impugnazione dagli imputati, la Corte d’Appello di Trento ha assolto F.P. dalla imputazione ascritta perché “il fatto non costituisce reato”; ha ridotto le pene inflitte in mesi nove di reclusione nei confronti di S.F. e G. D., ed in mesi sette di reclusione nei confronti di G.L. e L.G..
Con sentenza n. 1313/00, la Corte di Cassazione ha confermato la responsabilità penale dell’autista dell’autocarro, S.F., del sindaco del Comune di Mazzin, G. D., del tenente colonnello G.L. e del capitano L.G..
Alcuni dei militari lesi nel gravissimo incidente (A.G., *****, M. B. e S. R.) hanno promosso dinanzi al Tribunale di Trento azione nei confronti del Comune di Mazzin, di S.F., della società OMISSIS S.r.l., del Ministero della Difesa e della Omissis Assicurazioni S.p.A. in qualità di soggetto assicuratore della OMISSIS S.r.l. per ottenere il risarcimento dei danni civili.
Con sentenza n. 991/03, depositata il 15 dicembre 2003, il Tribunale di Trento – accertato che il sinistro era addebitabile nella misura del 50% a S.F., nella misura del 30% al Comune di Mazzin e, infine, in misura del 20% a carico del Ministero della Difesa – ha condannato S.F., il Comune di Mazzin di Fassa, la ditta OMISSIS S.r.l., la Omissis Assicurazioni S.p.A. ed il Ministero della Difesa, in solido tra loro, al risarcimento dei danni in favore dei militari danneggiati, liquidati nella misura complessiva di euro 453.689,10=; ha condannato, inoltre, il Comune di Mazzin di Fassa ed il Ministero della Difesa al pagamento in solido del risarcimento di quota parte dei danni subiti nel sinistro da S.F., liquidati in euro 2.742,93; il tutto, oltre agli interessi legali.
In ottemperanza a detta sentenza, il Ministero della Difesa ha emesso tre ordini di pagamento in favore di: A. G. per euro 58.402,21; S. R., per euro 63.721,74 e M. B. per euro 2.622,02, ed ha contestualmente costituito in mora gli ufficiali G.L. e L.G..
La Procura Regionale presso questa Sezione, considerando danno erariale l’esborso sostenuto dall’Amministrazione (pari a complessivi Euro 124.745,97) e ritenuto, inoltre, che la condotta del tenente P., pur non configurando ipotesi di reato, fosse comunque da valutarsi come gravemente negligente – e, pertanto, che potesse configurarsi anche nei confronti di detto ufficiale un’ipotesi di responsabilità amministrativa – notificava agli ufficiali G.L., L.G. e F.P. formale invito a dedurre ai sensi dell’art. 5, D.L. 15 novembre 1993, n. 453 (convertito in legge 14 gennaio 1994, n. 19).
Hanno inviato le rispettive deduzioni il magg. P. in data 12.12.2005; il col. L. in data 13 dicembre 2005 ed il ten. col. L.G. (assistito dall’avv. *************) in data 07 febbraio 2006. Le loro giustificazioni non sono state, tuttavia, condivise dalla Procura per varie ragioni. Infatti, confutando le deduzioni inoltrate dagli interessati, sottolineando l’inefficacia ai fini del presente giudizio delle conclusioni positive dell’inchiesta disposta dall’Autorità militare in seguito ai fatti in questione, e richiamando gli artt. 21 e 22 del Regolamento di disciplina militare approvato col D.P.R. 18 luglio 1986, n. 545, il Requirente ha osservato che dalle risultanze del giudizio penale si desumono plurimi elementi sintomatici della responsabilità amministrativa degli odierni convenuti.
In particolare, per quanto riguarda il tenente colonnello L., l’attore ha evidenziato come il comandante di battaglione – e, quindi, ufficiale gerarchicamente superiore, rispetto a quelli cui competeva il materiale svolgimento delle operazioni – ha il compito specifico di controllare l’addestramento di tutti i militari a lui sottoposti e l’obbligo di controllo diretto delle Compagnie operative, anche se tale posizione non comprende la localizzazione delle attività addestrative; inoltre, in qualità di comandante di corpo, egli ha, a norma del citato D.P.R. n. 545/86, il dovere di “assicurare il rispetto delle norme di sicurezza e di prevenzione per salvaguardare l’integrità fisica dei dipendenti”. Nel rilevare, dalle risultanze penali, la circostanza che l’ufficiale era a conoscenza della circolazione di mezzi civili pesanti sul ponte dove si svolgeva l’esercitazione, il Pubblico Ministero ha contestato la sua negligenza nel non disporre precauzionalmente, prendendo eventualmente accordi con le autorità civili, l’interdizione al transito nella zona di esercitazioni non solo degli automezzi pesanti militari – per i quali era stato impartito apposito ordine – ma anche di qualsiasi automezzo civile per tutta la durata delle esercitazioni, eventualmente ripristinando (ovvero accordandosi con le autorità civili per ripristinare) il funzionamento della sbarra che era, invece, aperta e con la base parzialmente divelta dalla sua sede; accorgimento che avrebbe consentito di evitare il disastro, invece, poi verificatosi. A tale proposito la Procura ha rammentato che fu lo stesso L. ad imporre all’autista del mezzo pesante di non percorrere il ponte in cemento armato (dove si stavano svolgendo lavori di riassetto stradale), indicandogli di attraversare il fiume da un’altra parte; sicché avrebbe potuto anche supporre che l’autista, residente in quel luogo e conoscendo bene i posti, avrebbe scelto il tragitto più breve. Un minimo di diligenza avrebbe dovuto suggerire, invece, al medesimo ufficiale, di vietare all’autista anche l’attraversamento del ponte lamellare in legno del quale conosceva perfettamente la esigua portata.
Quanto al ten. P. (la cui posizione é stata sostanzialmente ritenuta assimilabile a quella del cap. L.G. e del ten. col. L.), pur se assolto in sede penale, costui sarebbe venuto meno al rispetto di doveri specifici del Comandante di compagnia, contenuti nell’ordine di operazione n. 1 – emesso per regolamentare lo svolgimento delle “attività addestrative esterne estive 1995” – secondo cui, al punto g), “per quanto attiene all’attività addestrativa in alta montagna, si precisa che solo i comandanti di compagnia sono arbitri dello svolgimento o meno dei programmi. Ad essi compete, sulla base della situazione ambientale ed atmosferica, ogni decisione e l’applicazione di tutti gli adattamenti al programma necessari a garantire la sicurezza del reparto (…)”. Ha osservato il P.R., alla luce di queste disposizioni, che il ten. P. non può risultare esente da responsabilità per essere arrivato soltanto il giorno precedente sul luogo dell’esercitazione, tanto più che fu egli stesso ad individuare i punti precisi dove svolgere l’attività addestrativa prevista dal programma, come risulta anche dalle dichiarazioni rilasciate dal medesimo ufficiale immediatamente dopo l’incidente.
Per quanto riguarda il cap. L.G., nella sua qualità di ufficiale più in alto in grado presente sul posto, costui avrebbe poi avuto un ruolo determinante in tutta la fase organizzativa dell’esercitazione (oltre al compito di filmarla), ed avrebbe dovuto adottare tutte le precauzioni temporanee necessarie ad evitare possibili pericoli “avendo tenuto tutti i contatti con le autorità competenti e verificato più volte lo stato dei luoghi” ed essendosi informato direttamente presso il Sindaco (come viene evidenziato nel giudizio penale) sulla portata del ponte lamellare. Gli argomenti difensivi del L.G. – il quale addebita la responsabilità dell’accaduto esclusivamente all’autista – sarebbero, inoltre, palesemente contraddittori (circa la presenza sopra o sotto il ponte di uomini e cose) e non tali da inficiare minimamente l’impianto accusatorio.
I convenuti si sono tutti regolarmente costituiti e, dalle rispettive memorie difensive nonché dalle precedenti deduzioni, si desume, nel complesso, quanto segue:
– il ten. P., patrocinato dall’avv. *******************, ha fatto presente di essere stato assolto nel giudizio penale dalla Corte dei Appello di Trento “perché il fatto non costituisce reato” e che il giudizio civile non lo ha riguardato: di conseguenza – stando anche alla indagine interna – nessuna responsabilità è da addebitargli, tanto più per colpa grave, per difetto del nesso di causalità nonché degli elementi di fatto dovendosi, in particolare, escludere qualsiasi parallelismo con la posizione degli altri convenuti e ricercarsi la causa dell’incidente nell’assurda condotta dell’autista del camion.
– Il cap. L.G., patrocinato dall’avv. *************, ha fatto presente – con molti richiami dottrinali – che non si rinviene alcuna norma codicistica, né civile né penale, ovvero nel D.P.R. n. 547/1955, tale da ritenere illecita la sua condotta, neppure in relazione al decorso causale dell’evento, e che la responsabilità oggettiva (o di garanzia) è inapplicabile al giudizio innanzi alla Corte dei Conti. Ha aggiunto che il Tribunale di Trento ha stabilito la corresponsabilità degli Ufficiali nella marginale misura del 20%, che è stata esclusa qualsiasi loro responsabilità disciplinare (anche in base alla relazione dell’ inquirente col. R. ed al parere gerarchico del col. *************), che egli non aveva alcun comando specifico e non faceva parte di qualche reparto coinvolto nell’esercitazione (dovendo solo filmarne lo svolgimento, per proiettarla e commentarla con i soldati); che aveva scelto il luogo dopo essersi puntualmente informato presso il Comune di Mazzin circa la portanza e stabilità del ponte, peraltro, non raggiungibile da qualsiasi mezzo, che non aveva il potere di impedire su di esso l’accesso al traffico (anche perché l’addestramento non ipotizzava in alcun modo l’interruzione delle viabilità) e che l’incidente, del tutto imprevedibile, fu dovuto a precipua responsabilità del guidatore del camion. L’ufficiale ha fatto riferimento, infine, agli argomenti dell’Avvocatura di Stato in sede civile (udienza del 20 aprile 2005) e posto in evidenza lo scrupolo e la cura da lui adoperati nella preparazione e realizzazione dell’esercitazione, peraltro, desumibili dal suo ottimo stato di servizio: sicché, in via meramente subordinata, l’addebito nei suoi confronti andrebbe diminuito.
Il Ten. col. L., patrocinato dall’************************, precisato il rapporto ex art. 651 c.p.p. tra le sentenze penali ed il giudizio di responsabilità, ha osservato, in primis, che il controllo così come il comando – peraltro non delegabili – hanno propri limiti altrimenti dovrebbero estendersi verso l’alto, a tutti i livelli. Nel rappresentare che l’episodio non era assolutamente immaginabile in fase di organizzazione e condotta dell’addestramento – sicché non era prevedibile la tipica situazione di pericolo in concreto verificatasi – egli ha respinto, tenuto anche conto di numerosi precedenti giurisprudenziali della Corte dei conti, l’ipotesi a suo carico di comportamento e/o condotta colpevole oppure in violazione di specifica normativa, sia per la presenza in loco di qualificati ufficiali sia non potendosi rinvenire nei fatti alcuna contrarietà al “regolamento di disciplina militare” ovvero ai “manuali” specifici; ha rammentato, comunque, che non è stata riscontrata responsabilità disciplinare anche in base all’inchiesta sommaria del Comando Truppe Alpine e che l’Avvocatura di Stato, in sede civile (udienza del 20 aprile 2005), non ha ravvisato alcuna negligenza nel suo comportamento. L’ufficiale ha puntualizzato, infine, che l’addestramento non prevedeva l’interruzione della viabilità (di competenza dell’autorità Comunale) e che egli aveva diretto l’attività con scrupolo: pertanto, solo un evento assolutamente casuale ed imprevedibile ha provocato il disastro ad opera del F. per avere costui contrastato le disposizioni impartitegli dall’ufficiale di passare col camion dalla parte opposta. Il L. ha allegato copiosa documentazione, tra cui il proprio stato matricolare, ed ha concluso per la assoluzione o, in via subordinata, per l’uso del potere riduttivo, chiedendo in via istruttoria prove per testi su vari capitoli.
Alla odierna udienza l’avv. *****, per il tenente colonnello L., ha ricordato la natura elementare dell’esercitazione, che non richiedeva precauzioni particolari, ed ha avuto esiti drammatici esclusivamente a causa della condotta sconsiderata dell’autista civile; evidenziando l’autonomia degli aggregati nell’attività addestrativa, egli ha respinto le contestazioni attoree, imperniate sulla qualifica di comandante di corpo attribuita al suo assistito, che, in realtà, nelle circostanze in questione, non avrebbe svolto tale funzione. Simili argomenti sono stati ripresi dalla difesa del capitano L.G., nel rammentare la eccezionalità del fatto provocato dal mezzo civile e sottolineando come gli ufficiali non abbiano riportato sanzioni disciplinari, in seguito all’occorso, e come il luogo dell’esercitazione, verificato dal suo assistito, avesse tutte le caratteristiche per garantirne la sicurezza – tanto che la Corte d’Appello di Trento ha escluso la sussistenza di violazioni della normativa antinfortunistica – in considerazione della relativa apertura esclusivamente allo scarso transito agricolo e vicinale. Il difensore del tenente P., dal canto suo, ha ricordato la estromissione del suo assistito dalla vicenda sotto i profili civilistici e penalistici; riprendendo, quindi, le motivazioni dell’assoluzione nel giudizio penale, che ha sostenuto essere estensibili in questa sede, il difensore ha riprovato la condotta scriteriata ed imprevedibile del conducente del camion civile che ha avuto natura assorbente nella causazione dell’evento.
Il Pubblico Ministero ha ricordato come dalla dolorosa vicenda sia comunque scaturito danno erariale del quale l’autista del mezzo civile ed il sindaco del Comune di Mazzin devono intendersi i principali responsabili; tuttavia, in considerazione del fatto che il luogo dell’esercitazione non era stato chiuso al traffico, e che gli accordi intercorsi tra le autorità militari ed il sindaco prevedevano il transito sul ponte, sia pure limitato ai mezzi agricoli, l’evento disastroso principalmente causato dalla condotta del F. non avrebbe avuto le caratteristiche della imprevedibilità idonea a scagionare gli odierni convenuti. Specificando che, comunque, la responsabilità del Ten. col. L. nella vicenda assume contorni sfumati – rispetto a quella degli ufficiali i quali avevano, invece, responsabilità di comando – il Requirente ha ribadito che, nonostante la atipicità del luogo di lavoro, sarebbe stato preciso incombente di questi ultimi effettuare una preventiva valutazione dei rischi a norma della legge n. 626/94.
A domanda del Collegio, le parti hanno confermato che unicamente le esercitazioni “a fuoco” prevedono l’assoluta chiusura della zona interessata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1) Il presente giudizio verte sulla verifica della responsabilità amministrativa del tenente colonnello G.L., del tenente **** e del capitano L.G. per i fatti che hanno determinato la morte di un militare ed il ferimento di altri, a causa del crollo del ponte di Fontanazzo che ha travolto alcuni soggetti impegnati nell’espletamento di un’esercitazione militare.
Al proposito occorre, preliminarmente, ricordare come da una stessa fattispecie – quale quella in esame – possano scaturire responsabilità di natura diversa (penale, civile, amministrativa, disciplinare) e come, pertanto, il Giudice chiamato a decidere nell’ambito della propria giurisdizione debba valutarne gli stessi aspetti per soppesarne le conseguenze sotto i differenti profili, alla luce delle regole che ogni disciplina impone di osservare: infatti, i diversi giudizi sono fra loro autonomi fuorché per gli effetti sanciti dagli artt. 651 e ss. c.p.p.. Può così accadere che le stesse condotte – pur se valutate positivamente sotto il profilo disciplinare – vengano sanzionate penalmente ingenerando, di conseguenza, responsabilità civile per danni causati a terzi (e, come tali, risarciti) e divenendo, quindi, fonte di responsabilità amministrativa indiretta per le ripercussioni economiche a carico dell’Amministrazione di appartenenza dei soggetti agenti.
Tuttavia, a differenza di quanto avviene sui paralleli piani civile e penale, l’imputazione della responsabilità amministrativa – ovvero delle conseguenze lesive di una determinata condotta causativa di danno – non può concretizzarsi se, in capo al soggetto agente, non sia ravvisabile l’elemento soggettivo del dolo o della colpa grave: infatti, la responsabilità amministrativa annovera tra i suoi elementi costitutivi, o presupposti, l’elemento soggettivo rappresentato dalla colpevolezza e, con le modifiche introdotte dall’art. 3 del d.l. 23 ottobre 1996, n. 543 (convertito, con modificazioni, nella legge 20 dicembre 1996, n. 639), la limitazione alle ipotesi di dolo o colpa grave è diventata un tratto caratteristico e generale di questo peculiare istituto.
Esclusa, ovviamente, dagli stessi fatti, la sussistenza dell’elemento soggettivo del dolo in capo ai convenuti – peraltro, mai contestato dalla Procura Regionale – la valutazione dell’intensità della colpa (premessa la sua enucleazione negli elementi essenziali, anche agli effetti civilistici ed amministrativi, in base al disposto dell’art. 43 c.. p..) deve essere effettuata secondo le regole elaborate sia in via dottrinale sia giurisprudenziale.
2) Non è agevole, in materia, enunciare una definizione unitaria della colpa grave e tutti i criteri individuati dalla giurisprudenza si caratterizzano come semplici figure sintomatiche di comportamenti anomali, contrastanti con la infinita varietà delle regole di condotta da osservare nell’adempimento di attività amministrative. Fra le varie specificazioni della gravità della colpa proposte dalla giurisprudenza della Corte dei conti, figurano: l’inosservanza del minimo di diligenza; la prevedibilità e prevedibilità dell’evento dannoso; la cura sconsiderata e arbitraria degli interessi pubblici; il grave disinteresse nell’espletamento delle funzioni; la totale negligenza nella fase dell’esame del fatto e dell’applicazione del diritto; la macroscopica deviazione dal modello di condotta connesso alla funzione; la sprezzante trascuratezza dei doveri di ufficio resa ostensiva attraverso un comportamento improntato alla massima negligenza o imprudenza ovvero ad una particolare noncuranza degli interessi pubblici (cfr. SS.RR. 22 febbraio 1997, n. 27/A e 14 settembre 1982, n. 313; 1^ Sezione Centrale di appello, n. 306/03 e n. 147/03, e conformi) o, ancora, a grossolana superficialità nell’applicazione delle norme di diritto (3^ Sezione centrale di appello, 16 aprile 1998, n. 114).
Configurano, altresì, colpa grave la equivoca interpretazione personale di limpide disposizioni di legge e, nel senso consolidato dalla giurisprudenza di questa Corte, “il comportamento connotato da profili di “particolare spregiudicatezza, massima imprudenza ed inammissibile negligenza” (Sezione I, sent. n. 624 del 1986), “macroscopica violazione delle norme e assoluta inosservanza delle più elementari regole di buon senso e prudenza” (Sezione Emilia Romagna, sent. n. 12 del 1995), “superficialità e leggerezza del comportamento, prevedibilità e prevedibilità dell’evento” (Sez. Giur. Reg. ******-Trento, n. 46/2004; Sezione Marche, sent. n. 570 del 2003).
Secondo i criteri sopra enucleati senza pretesa di completezza, la colpa grave si configura, pertanto, in ragione dello scostamento – rispetto a quello dovuto – del comportamento concretamente, nella specie, tenuto sia per la sua protrazione nel tempo sia per la facile percettibilità delle azione da intraprendere sia, infine, per la prevedibilità nonché prevenibilità del fatto dannoso.
Di conseguenza, in relazione alla generica espressione “colpa grave”, è necessario, in concreto, concentrare l’attenzione su alcuni indici di riconoscimento di tale grado di colpa individuati dalla giurisprudenza ora nella previsione dell’evento (c.d. colpa cosciente), ora nella prevedibilità – e, quindi, prevenibilità – di esso ora, talvolta, nel superamento apprezzabile dei limiti di comportamento dell’uomo medio sulla violazione dello schema normativo astratto del comportamento o, più in generale, sulla deviazione dal modello di condotta connesso ai compiti propri dell’agente, sull’atteggiamento di grave disinteresse nell’espletamento delle funzioni rivelato da una azione priva delle opportune cautele sia riguardo alla fase dell’ esame dei presupposti di fatto sia in quella dell’ applicazione del diritto (nelle diverse forme dell’imperizia, dell’inosservanza o dell’erronea interpretazione delle norme) sia, anche, nella inescusabile scriteriatezza per la tutela degli interessi pubblici (cfr. Corte dei conti, ****** 7.1.1998, n. 1; Sez. Giur. Reg. Campania 30.3.1998, n. 26).
Ovviamente, la salvaguardia di tali interessi, in linea generale prescritta dall’art. 97, comma primo, della Costituzione, comprende la imprescindibile necessità che l’operatore pubblico rispetti e tuteli, preliminarmente ed inderogabilmente, anche altri valori consacrati a livello costituzionale (artt. 2 e 32 Cost.) e, comunque, prioritari quali la vita e la salute dei soggetti amministrati.
L’interprete deve, perciò, verificare in concreto la sussistenza degli indici di riconoscimento della colpa grave, considerandoli in relazione a tutti gli elementi di fatto e di diritto ricorrenti nella fattispecie nonché vagliando il comportamento effettivamente tenuto dall’ agente rispetto a quello atteso dall’ordinamento. E ciò perché l’ intensità della colpa va necessariamente valutata, per determinarne l’ eventuale gravità, “non in astratto ma in concreto, con riguardo al comportamento tenuto, nelle condizioni specifiche nelle quali si è svolta l’ attività, considerando, quindi, tutte le circostanze del caso, favorevoli o sfavorevoli, che l’ hanno condizionata e determinata”(Corte dei conti, 3^ Sezione Centrale di appello, sent. n. 87/01). Al riguardo si è identificata la gravità della colpa nella perfetta conoscenza delle condizioni ambientali e, quindi, nella prevedibilità (e facile prevenibilità) dell’ evento dannoso effettuato dal Giudice ex ante, cioè, nel momento in cui il soggetto ha posto in essere il proprio comportamento (Corte dei conti, 3^ Sezione Centrale di appello, n. 390/2002), tenendo conto del fatto che un accadimento difficilmente prevedibile – se non oggettivamente imprevedibile – produttivo di effetti anomali, rispetto a quelli che il soggetto agente possa ordinariamente attendersi in relazione alla propria attività, non può essere prevenuto se non ricorrendo ad accorgimenti straordinari e, come tali, non ragionevolmente pretendibili.
3) Ciò premesso e analizzando la fattispecie in esame, il Collegio osserva che il Requirente ha sostanzialmente contestato agli ufficiali qui convenuti la gravità della colpa sotto il profilo della violazione degli obblighi di servizio e, in particolare, di quelli prescritti dagli artt. 21 (doveri dei superiori) e 22 (doveri del comandante di corpo) del “Regolamento di disciplina militare” approvato con D.P.R. 18 luglio 1986, n. 545; a tale scopo, l’attore ha sostenuto sia la prevedibilità dell’evento che ha causato la morte di un militare ed il ferimento di altri, provocato dallo sciagurato transito sul ponte di Fontanazzo di un mezzo avente un tonnellaggio ben tre volte superiore alla portata massima del ponte stesso, sia correlativamente la mancata adozione di idonee misure di prevenzione, da parte degli ufficiali citati in giudizio, imputando loro il danno subito dall’Amministrazione militare per il risarcimento erogato in favore di alcune delle vittime della sciagura.
Come innanzi precisato, gli obblighi che la Procura Regionale assume siano stati violati sono quelli prescritti dal citato art. 21, lett. f) – secondo cui i superiori hanno il dovere di “assicurare il rispetto delle norme di sicurezza e di prevenzione per salvaguardare l’integrità fisica dei dipendenti” – e dal successivo art. 22 che stabilisce, per il Comandante di corpo, oltre ai doveri generali comuni a tutti gli ufficiali superiori, anche altri doveri particolari in quanto “nell’ambito del corpo è direttamente responsabile della disciplina, dell’organizzazione, dell’impiego, dell’addestramento del personale e, nei limiti previsti da apposite norme, della conservazione dei materiali e della gestione amministrativa”.
Il contenuto generico di dette norme lascia intendere che – ad avviso della Procura – esse debbano essere, per così dire, “riempite” di volta in volta con regole giuridiche o consuetudinarie adeguate alle specifiche circostanze fattuali.
E’, tuttavia, è da rilevare in proposito che, dalle contestazioni dell’Attore, non si desume alcuna precipua censura concernente la violazione di (ulteriori) specifiche norme, recanti disposizioni di dettaglio, che i militari qui convenuti avrebbero dovuto osservare, per evitare il tragico episodio, se non quelle – anch’esse generiche – che si riferiscono alla legge n. 626/94 ispirata alla sicurezza dei luoghi di lavoro.
Risulta, inoltre, al Collegio che la scarsa normativa in tema di esercitazioni militari (legge 24 dicembre 1976, n. 898, in materia di servitù militari, e relativo regolamento di attuazione approvato con D.P.R. 17 dicembre 1979, n. 780) prescrive la chiusura dei luoghi adibiti soltanto in caso di svolgimento di esercitazioni “a fuoco” (artt. 3 e 15 della legge n. 898 del 1976; artt. 15 e 16 del D.P.R. n. 780 del 1979) con provvedimenti che, in ogni caso, rientrano nelle competenze del comandante territoriale.
Anche l’ordine di operazione n. 1 relativo alle “attività addestrative esterne estive 1995” (in atti), ha prescritto ai comandanti di compagnia l’obbligo generico di adottare “sulla base della situazione ambientale ed atmosferica, ogni decisione e l’applicazione di tutti gli adattamenti al programma necessari a garantire la sicurezza del reparto”: ciò deve, comunque, intendersi necessariamente riferito ad una concreta situazione di normalità nella quale gli specifici pericoli per la sicurezza del reparto possano essere previsti secondo affidabili criteri statistici – basati “sulla situazione ambientale ed atmosferica” – nei quali non può farsi rientrare la previsione di un evento che, per le modalità di svolgimento, possa assumere caratteristiche eccezionali.
4) In ragione di quanto precede occorre, quindi, verificare che cosa si sarebbe potuto concretamente e ragionevolmente pretendere dagli ufficiali convenuti innanzi a questa Corte, in relazione agli obblighi di salvaguardia dell’integrità fisica dei militari impegnati nell’esercitazione “in bianco” innanzi descritta.
Il Procuratore Regionale fa leva sul fatto che i predetti non avrebbero disposto sul ponte l’interdizione al transito di qualunque mezzo, eventualmente, ripristinando la sbarra parzialmente divelta: accorgimento che, ad avviso del Pubblico Ministero, avrebbe consentito di evitare il disastro, invece, verificatosi.
Il Collegio non può concordare con tale assunto poiché nell’ottica – da verificarsi ex ante, secondo la giurisprudenza innanzi citata – della programmazione di misure di salvaguardia preventive da adottarsi sulla scorta della situazione ambientale ed atmosferica, oltre che del bilanciamento tra gli interessi dei conducenti dei mezzi civili interessati al transito sul ponte di Fontanazzo, da una parte, e la sicurezza dell’esercitazione militare dall’altro, l’eventualità che detto manufatto potesse essere investito da un fatto catastrofico (come quello sconsideratamente provocato dal F.) assumeva, in prospettiva, contorni difficilmente ipotizzabili secondo i criteri di normalità, tanto da potersi qualificare come imprevedibile: infatti, nel concreto contesto ambientale, il tragico episodio si colloca come un fatto straordinario, imprevedibile e non prevenibile se non facendo ricorso ad espedienti che la situazione locale, oggettivamente, ex se non richiedeva.
Nella valutazione della colpa grave, infatti, sempre avuto riguardo alla giurisprudenza di questa Corte dei conti, occorre far riferimento “al grado di anomalia e di incompatibilità dei comportamenti concreti rispetto agli schemi normativi astratti di comportamento, ivi compreso il dovere di svolgere i propri compiti con il massimo di lealtà e diligenza, dovendosi in particolare esaminare il concreto atteggiarsi dell’agente, calato nella contestualità del momento, nei fini del suo agire quali desumibili da indici di presunzione di esperienza, perizia e buon senso, nel grado di prevedibilità di eventi dannosi e nella quota di esigibilità, anche alla stregua di altri doveri e fini pubblici da seguire, della norma infranta” (Sez. Giur. Piemonte, 2/11/2005, n. 647) atteso che la colpa grave non discende automaticamente dalla violazione di un obbligo di servizio, ma consiste in una “inammissibile trascuratezza e negligenza dei propri doveri, coniugata alla prevedibilità delle conseguenze dannose del comportamento, nonché alla inesistenza di significativi margini di dubbio interpretativo in ordine al precetto violato, sussiste la prevedibilità dell’evento nell’ipotesi di fatti privi del carattere dell’eccezionalità, normalmente conosciuti negli ambienti degli uffici comunali, oltre che divulgati dall’ampio risalto ad essi dato dalla stampa anche non specializzata” (Sez. Giur. Calabria, 1/17/2005, n. 763); di conseguenza, un comportamento va qualificato gravemente colposo ove l’azione o l’omissione contestata risulti collegata all’evento “da un grado talmente ampio di probabilità e prevedibilità da consentire di ipotizzare l’effettiva previsione dell’evento dannoso” (Sez. **** Sic., 14.6.2005, n. 133) essendo necessario ravvisare evidenti sintomi che dimostrino, secondo un giudizio prognostico ex ante, “la facile prevedibilità dell’evento dannoso al momento in cui la predetta condotta è stata posta in essere” (Sez. Giur. Sicilia, 31/1/2005, n. 184). Detto altrimenti, la colpa grave deve essere individuata “con riferimento a parametri obiettivi quali la superficialità e leggerezza del comportamento, la prevedibilità e prevenibilità dell’evento, la sua probabilità deterministica, l’evidenza degli adempimenti da compiere, la mancata tempestività dell’azione in presenza di termini perentori” (Sez. Giur. Marche, 29/7/2003, n. 570) poiché non rileva, in linea di massima, la semplice violazione di regole di condotta ma “debbono concorrere precisi sintomi, quali la oggettiva prevedibilità dell’evento dannoso, la violazione di elementari norme di comportamento, l’inescusabile scriteriatezza e approssimazione nella tutela degli interessi pubblici”(Sez. Giur. Campania, 29/06/2000, n. 51).
Nella specie, in base agli accordi intercorsi tra i militari e le autorità civili, l’esercitazione era “in bianco” – ossia non pericolosa per la pubblica incolumità – e, pur se interdetta al traffico militare, come da disposizioni del ten. col. L., avrebbe dovuto prudentemente e ragionevolmente svolgersi in modo tale da arrecare il minore disturbo possibile alla locale comunità civile, anche quella interessata al transito sul ponte di Fontanazzo, peraltro, compatibile in via ordinaria con le caratteristiche dell’esercitazione stessa
Inoltre, dalla documentazione fotografica in atti si desume chiaramente la fragilità della struttura del ponte lamellare – consistente in una costruzione arcuata senza travature portanti sotto l’impalcato – ordinariamente percorso da limitati mezzi civili di dimensioni contenute rispetto alla mole ed notevole al peso dell’autocarro che ha, invece, provocato l’incidente: sproporzione, peraltro, ictu oculi percepibile da qualunque soggetto, anche non particolarmente esperto, e tale da far ritenere che il conducente dell’automezzo (il quale inopinatamente ed incautamente procedette all’attraversamento del ponte) non fosse, al momento del fatto, nel pieno possesso delle proprie facoltà mentali. Tanto più se si considera – come si legge nella sentenza del Pretore di Cavalese n. 36/98 – che avrebbe dovuto essere ben consapevole della stazza complessiva dell’autocarro da lui condotto, compreso il notevole peso del materiale trasportato.
Effettuando, pertanto, un obiettivo raffronto fra le dimensioni dell’automezzo e quelle del predetto ponte, oltretutto al momento del fatto occupato, sopra e sotto, da militari (ben visibili) impegnati a simularne la demolizione, appare al Collegio addirittura inconcepibile che il conducente dell’autocarro civile – non curandosi delle persone che si trovavano sopra di esso e che, in ogni caso, avrebbero potuto essere facilmente investite e/o travolte – abbia potuto azzardarsi ad attraversarlo senza indugio e/o esitazione nonché senza porsi qualche interrogativo circa la capacità del ponte stesso non solo di sopportare il peso complessivo del mezzo ma, quanto meno, di essere idoneo a contenerne l’ingombro. Una condotta, perciò, improntata alla massima pericolosità e gravemente imprudente nonché in stridente deviazione rispetto alla diligenza da osservare nell’espletamento della propria attività di autista.
La conoscenza del posto, la circostanza che vi era una sbarra (se pure divelta), la presenza dei militari, la esiguità della struttura del ponte avrebbero dovuto, in verità, costituire fondato motivo di perplessità e comportamento assai cauto per il conducente di un mezzo tanto voluminoso e, comunque, anche intuitivamente, sproporzionato all’attraversamento di esso. Invece il F., a velocità oltretutto elevata per la strada forestale, “senza rallentare, se non in prossimità del gradino che era presente proprio prima dell’imbocco del ponte” (testimonianza di F. C, “il quale ha assistito alla dinamica del fatto da un laboratorio sito ad una distanza di circa cinquanta metri”, riportata nella sentenza del Pretore di Cavalese n. 36/98), incurante delle improvvise e disperate segnalazioni fatte in extremis dai militari presenti, piombò sulla non certo robusta costruzione con una tale irruenza – per non dire rozza incoscienza – da far dubitare della potenziale efficacia di qualunque accorgimento che, ipotizzato ex post, si sarebbe potuto predisporre ex ante (ripristino della sbarra, come suggerito dal Requirente, con l’indicazione della portata massima del ponte; blocco degli accessi allo stesso ponte “con alcuni uomini”, come indicato dal giudice penale nella sentenza di appello n. 45/2000) per scongiurare il calamitoso evento.
Accortezze tutte che, comunque, la situazione in essere – oggettivamente e secondo una logica antecedente al fatto – non poteva suggerire agli organizzatori ed ai responsabili dell’esercitazione, pur ricorrendo ai criteri della normale diligenza, né che si poteva pretendere, allo stesso titolo, dai medesimi. In tale obiettivo contesto va, dunque, collocata la condotta sciagurata ed irresponsabile del conducente dell’autocarro, assolutamente autonoma ed esclusiva anche rispetto alle indicazioni del ten. col. L. il quale, peraltro, gli aveva genericamente segnalato di non percorrere un altro ponte in cemento armato ma di attraversare il fiume da un’altra parte senza, per questo, comunque indirizzarlo verso la direzione, in seguito, inopinatamente scelta dal F..
Anzi, per completezza e a ben vedere, secondo la dinamica dell’incidente – come descritta dal testimone C. dianzi citato – il comportamento, quanto meno insensato ed irresponsabile del conducente (a detta della stessa Procura, quasi criminale) e la sua pervicacia di procedere sul ponte, nonostante le tempestive segnalazioni dei militari, la velocità del mezzo eccessiva in relazione allo stato dei luoghi e tale da non poter arrestare con prontezza e senza pericoli il veicolo in ogni momento, il peso dell’autocarro rapportato a detta velocità ed i correlativi, necessari tempi di arresto, sono elementi tutti che possono, addirittura, indurre a ritenere che, forse, neppure il riposizionamento preventivo della sbarra avrebbe potuto arrestarne oppure deviarne lo scriteriato percorso: in tal caso dovrebbe, addirittura, intendersi interrotto il nesso di causalità tra l’evento e la condotta dei militari responsabili dell’esercitazione trattandosi di circostanza facilmente ipotizzabile anche a posteriori in considerazione delle modalità di realizzazione dell’incidente stesso.
5) In conclusione, dunque, non appare ravvisabile nell’elemento soggettivo degli ufficiali convenuti nel presente giudizio – indipendentemente dal rispettivo grado e ruolo rivestito nella vicenda – l’intensità della colpa neppure sotto la sua la connotazione generica: non si rinvengono, infatti, quella“condotta connotata da notevole ed inescusabile negligenza, imprudenza od imperizia, od ancora dalla macroscopica violazione di elementari obblighi di servizio, o da palese ed indiscutibile scriteriatezza, superficialità ed approssimazione nella tutela degli interessi pubblici, allorquando l’evento dannoso sia obiettivamente ed agevolmente prevedibile secondo un giudizio formulato ex ante” (Sez. Giur. Sic., sent. 17.6.2003 n. 1113) ovvero quel comportamento caratterizzato da “un rilevante grado di negligenza, di imprudenza o di imperizia tale da rendere elevata la prevedibilità e la probabilità dell’evento” (Sez. Giur. Umbria, sent. 4/9/2003, n. 273).
Per tutto quanto sopra rappresentato è, dunque, impossibile per il Collegio attribuire alla fattispecie gli indici sintomatici della gravità della colpa – come innanzi specificati – con la conseguenza che i convenuti tutti devono essere mandati assolti per carenza dell’elemento soggettivo caratterizzante la responsabilità.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per il Trentino-Alto Adige, con sede in Trento, definitivamente pronunciando, respinta ogni altra eccezione, ASSOLVE dalla domanda attrice i signori G.L., **** e L.G. nel giudizio di responsabilità, iscritto al n. 3284 del Registro di Segreteria, promosso nei loro confronti dalla Procura Regionale.
Nulla per le Spese.
Così deciso in Trento, nella Camera di Consiglio del 10 ottobre 2006.
Depositata in Segreteria il 29 dicembre 2006.
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