Corte di Cassazione: se il padre vuole vedere la figlia si deve spostare

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Secondo la Suprema Corte di Cassazione, non si viola la libertà personale e non si deve imporre al padre un domicilio forzato, nella circostanza che il giudice decida che si deve spostare al fine di vedere la figlia e nell’interesse della stessa.

È stato respinto il ricorso di un padre che, nonostante fosse privo di un’occupazione e avesse a disposizione un appartamento che la sua ex mogli gli aveva fornito per potere stare con sua figlia, ha ritenuto opportuno imporsi alla decisione della Corte D’Appello che, in relazione alle esigenze della bambina, ritenute primarie, ha stabilito che debba essere lui a spostarsi, disponendo che la residenza prevalente della minore debba essere presso la madre.

Questo è stato sancito dall’ordinanza 13 febbraio 2020 n. 4258 della Cassazione, la quale ha tenuto a precisare che, se il padre si dovesse rifiutare di rispettare le modalità di affido della piccola, si dovrà provvedere a disporre la sua stabile con la madre.

Prima di addentrarci nella questione specifica, ricordiamo qualcosa sull’affidamento condiviso.

In che cosa consiste l’affidamento condiviso

L’affidamento condiviso rappresenta la regola relativa all’affidamento dei figli in seguito alla cessazione della relazione affettiva e, di conseguenza, della convivenza tra i genitori.

Attraverso il modello posto in essere con l’affidamento condiviso, viene garantito l’esercizio della responsabilità da parte di entrambi i genitori, la loro partecipazione alla cura e all’educazione dei figli e il bisogno di prendere insieme le decisioni di maggiore rilievo per i minori, ad esempio quelle sulla scuola e altre scelte educative.

Se non esiste un accordo sulle questioni di maggiore rilievo, le parti si dovranno ricorrere a un giudice, mentre per le questioni di ordinaria amministrazione il giudice può disporre che i genitori possano prendere decisioni in modo separato.

 

L’istituto dell’affidamento condiviso è stato introdotto nel nostro ordinamento giuridico con la legge n. 54/ 2006, con l’intento di dare delle regole per l’esercizio della responsabilità genitoriale, introducendo il cd. “principio della bigenitorialità”.

Con la  legge n. 54/2006, l’affido prima definito “congiunto”, da semplice opzione, poco adottata, è diventata una regola, e per stabilire l’affidamento esclusivo, è necessaria una specifica motivazione, da riportare nel provvedimento giurisdizionale.

L’articolo 337 ter del codice civile impone al giudice di valutare “prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati ad entrambi i genitori”,per realizzare al meglio il diritto della prole a “mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ognuno di essi”.

Affido condiviso e residenza presso la madre

Ritorniamo  al caso in questione.

La Corte d’Appello conferma l’affido condiviso di una minore e ne dispone la residenza prevalente con la madre, visto che la stessa ha provveduto a fornire all’ex marito un appartamento, al fine di occuparlo insieme alla figlia quando, come indicato dalla consulenza tecnica d’ufficio (CTU), deve stare con lei, vale a dire dalla domenica sera sino alle 13.30 del giovedì successivo.

La CTU motiva questa decisione perché la ritiene più adatta di quella adottata in precedenza che prevedeva la residenza della piccola presso l’appartamento messo a disposizione del padre, con le stesse disposizioni sugli orari e sui giorni.

Questa decisione è stata adottata in relazione al lavoro della madre e al fatto che il padre, essendo disoccupato, non subisce nessun danno economico o esistenziale se la residenza della bambina viene fissata presso la ex moglie, che dispone dell’appartamento preso in locazione per lui dalla sua ex.

Si legga anche:”La bigenitorialità non implica l’affidamento per un tempo di pari durata”

Il ricorso del padre

Il padre della bambina, non essendo soddisfatto della decisione di merito, ha deciso di ricorrere in Cassazione lamentando con il primo motivo che la Corte d’Appello non ha considerato la valutazione negativa della CTU sul trasferimento della minore.

Con il secondo motivo il padre lamenta la violazione dell’articolo 337 bis del codice civile che impone, nell’adottare provvedimenti sui minori, di tenere conto del loro primario interesse morale e materiale, dell’articolo 13 della Costituzione che sancisce la inviolabilità della libertà personale, dell’articolo 13 della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo sulla libertà di movimento e di residenza nei confini dello Stato, della CEDU perché il giudice ha subordinato la frequentazione della figlia a un domicilio forzato.

La decisione della Suprema Corte di Cassazione

La Suprema Corte di Cassazione, con ordinanza n. 4258/2020, ha rigettato il ricorso del padre per le  ragioni che seguono.

In relazione al primo motivo di doglianza, nel quale il padre evidenzia la negatività del trasferimento della bambina, la Cassazione ha rilevato che la corte d’Appello abbia valutato gli aspetti negativi e positivi della modifica, considerando che il consulente tecnico d’ufficio, si sia espresso nel senso che “non sarebbe una funzione di miglioramento, a meno che il trasferimento non venga effettuato da entrambi i genitori, in modo che il cambiamento di ambiente scolastico, relazionale, ambientale della bambina in un contesto di continuità affettiva, relazionale parentale, potrebbe assumere anche un valore positivo, uno stimolo a favorire lo sviluppo psico emotivo

La Corte considera  le valutazioni del consulente tecnico d’ufficio, ma mette al primo posto l’interesse della cura e dello sviluppo della minore, senza fare venire meno le esigenze dei genitori.

In relazione al primo motivo, la Cassazione ritiene infondato il secondo, perché la Corte d’appello, sempre sulle valutazioni del consulente tecnico d’ufficio, ha considerato l’esclusivo interesse della minore.

In relazione alla violazione della libertà personale e l’imposizione di un domicilio forzato, la Corte, in presenza di due luoghi di residenza dei genitori diversi e lontani, ha evitato alla bambina una vita da pendolare, rispettando anche i suoi impegni scolastici, preferendo una soluzione che imponga al padre, per i suoi minori impegni di lavoro e per la disponibilità dell’appartamento affittato dalla sua ex moglie, di spostarsi,

Non si può condividere la valutazione del provvedimento come restrittivo della libertà personale e di residenza del padre perché è stato adottato al fine di rispondere alle esigenze della frequentazione della figlia con entrambi i genitori.

Un provvedimento non coercitivo nei confronti del padre, che se rifiutasse  di risiedere insieme alla figlia imporrebbe la stabile residenza della stessa presso la madre in attesa della revisione del collocamento, da valutare sempre tenendo conto degli interessi della minore in questione.

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