Corte di Giustizia UE: se il drop shipper fa il furbo i dazi li paga il venditore

Con una recente sentenza, la Corte di Giustizia dell’Unione europea è intervenuta sulla nota figura negoziale del drop ship, fornendo un importante chiarimento a chi se ne avvale nell’e-commerce (in particolare a chi opera su eBay) ed ha sempre creduto che il pagamento di dazi doganali e imposte sull’importazione fosse un problema esclusivamente di chi spedisce la merce agli acquirenti.

Il drop ship (o drop shipping), come parte dei lettori saprà, è quel noto modello di vendita a distanza che permette a un soggetto di offrire un certo prodotto senza doverlo materialmente acquistare dal fornitore-grossista (il c.d. drop shipper), risparmiando quindi sui tradizionali costi di magazzino e più in generale sui principali oneri legati alla normale attività di vendita a distanza, lasciando invece al drop shipper il compito di spedire la merce al cliente e -salvo diverso accordo- di risponderne in caso di problemi.

La sentenza in esame rileva principalmente per l’iter giudiziario in cui si inserisce; un contenzioso promosso da un venditore tedesco di eBay nei confronti dell’Ufficio principale delle dogane di Aquisgrana (Germania), per avergli contestato in sede di accertamento doganale il mancato pagamento di circa 31.000 euro (di cui 10.000 a titolo di dazi doganali e 21.000 di IVA insoluti) per le merci vendute attraverso il sito d’aste nel biennio 2004-2006. Merci spedite ai suoi acquirenti tramite drop ship da un fornitore cinese.

In verità alla base dell’accertamento doganale vi sarebbe stata l’introduzione “irregolare” della merce in questione nel territorio europeo, irregolarità dovuta alle false dichiarazioni fatte dal drop shipper cinese sul contenuto e il valore dei plichi postali contenenti la merce, col probabile intento di raggirare i controlli doganali. Pratica tra l’altro conosciutissima tra chi compra e vende online col resto del mondo…

In questo caso, tuttavia, l’escamotage si sarebbe rivelato un vero e proprio boomerang ai danni del venditore, chiamato a rispondere dalle dogane di Aquisgrana per le imposte dovute, nonostante nel meccanismo del drop ship il suo ruolo fosse stato limitato alla sola conclusione delle compravendite su eBay e alla trasmissione dei nominativi al fornitore, senza una qualche partecipazione attiva all’ingresso della merce in Europa.

Da qui la pronuncia pregiudiziale richiesta dalla Corte Tributaria Federale tedesca (adita dal venditore di eBay dopo una prima soccombenza in giudizio) alla Corte di Giustizia dell’Unione europea, sulla base delle argomentazioni difensive dell’ebayer -a suo dire estraneo alle dichiarazioni mendaci fatte dal drop shipper- e delle previsioni contenute nell’art. 202 n. 3 secondo trattino del codice doganale comunitario (Regolamento CEE n. 2913 del 12 ottobre 1992), che, al contrario, lo collocherebbe tra i debitori dell’obbligazione doganale sorta in seguito all’importazione irregolare di merce, quale persona partecipe a detta introduzione “sapendo o dovendo, secondo ragione, sapere che essa era irregolare”.

La sentenza in esame -che ricordo essere sul piano interpretativo giuridicamente vincolante anche in Italia- mira in sostanza a rispondere ai seguenti due quesiti:

1) Se chi riveste il ruolo di venditore in un sistema di drop ship, per la semplice qualità di intermediario nella contrattazione, possa considerarsi “partecipe” all’importazione irregolare della merce nell’UE e quindi essere tenuto al pagamento dell’obbligazione doganale già vista.

2) Se, affinché il venditore possa essere considerato debitore delle imposte in questione, sia sufficiente che sappia dell’irregolarità dell’importazione o si limiti, in maniera più ipotetica, a considerare come eventuale una siffatta circostanza.

Come è evidente la Corte ha riconosciuto scontatamente la qualifica di “intermediario” a chi vende in un sistema di drop ship seppur limitandosi a pubblicare le aste online e a raccogliere i dati degli acquirenti, ma in merito alla prima questione ha disatteso le argomentazioni del venditore, ritenendolo comunque “partecipe” e quindi tenuto al pagamento delle somme doganali contestate, anche per non aver prestato direttamente un contributo materiale all’introduzione irregolare delle merci nel territorio doganale dell’UE. Quindi, anche solo per aver posto in essere atti “collegati” a detta introduzione.

Sulla seconda questione, quella relativa alla “consapevolezza” o meno dell’irregolarità dell’importazione, la Corte di Giustizia ha rispedito la questione al mittente, trattandosi per il giudice europeo di un interrogativo la cui risposta spetterebbe all‘originario giudice tedesco, alla luce delle circostanze e dei fatti da cui è maturato il contenzioso.

Ciononostante, il massimo organo giurisdizionale europeo, ha comunque indicato alcuni degli aspetti di cui tener conto per valutare (e quindi stabilire) se l’ebayer sia stato o meno consapevole delle irregolarità legate alle importazioni. Tra questi:

– Se, in passato, il venditore avesse mai informato il fornitore cinese dell’obbligo di dichiarare la merce in dogana (non potendo il primo ignorare che sulla merce proveniente da uno Stato extracomunitario non ci fossero dazi da pagare).

– Se nei contratti di compravendita o su altri documenti a disposizione del venditore fosse stato mai previsto il pagamento dei dazi, in modo da lasciar credere all’ebayer che le importazioni erano regolari e quindi “scagionarlo” di fronte ad eventuali pretese dell’Ufficio doganale.

– La durata dell’accordo di drop ship. – Per la Corte, infatti, se venditore e fornitore collaboravano da diverso tempo prima che si scoprissero le irregolarità, è alquanto improbabile che il venditore non fosse già a conoscenza della pratica del drop shipper di dichiarare falsamente le merci spedite nell’UE.

Tutti aspetti che, sono certo, interesseranno i tanti ebayers italiani che hanno stipulato accordi di drop shipping con fornitori esteri e desiderano conoscere il risvolto di situazioni come quella in esame, vista la rischiosità insita in questo tipo di vendita e nei guadagni che ne derivano.

Considerazioni della Corte a parte, ritengo che l’aspetto più interessante della pronuncia in esame sia proprio dato dall’intervento di per sé della giurisprudenza europea su una figura così strettamente legata all’e-commerce b2c ma sconosciuta ancora a molti.

Segno che i tempi cambiano e che, di fronte alle tante incertezze ancora aleggianti nelle vendite a distanza, sia giunto oramai il momento di fornire le dovute e non più trascurabili risposte. Risposte di cui gli operatori dell’e-commerce (soprattutto gli ebayers) dovrebbero iniziare a far tesoro, visti poi i riflessi che inescusabili “leggerezze” come quella in esame possono avere su un’attività di vendita online.

Massa Rocco Gianluca

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