Riferimenti normativi: 1117 c.c.;
Fatto
Alcuni condomini citavano in giudizio il proprietario di un appartamento facente parte lo stabile condominiale per chiedere al Giudice di primo grado di accertare la natura di bene comune del cortile adiacente lo stabile condominiale, utilizzato come accesso alla strada pubblica.
Il proprietario dell’appartamento, convenuto nel giudizio di primo grado, si costituiva in giudizio sostenendo che il suddetto cortile fosse, al contrario, un bene individuale, sul quale esso stesso vantava un diritto di proprietà esclusiva. Diritto che, secondo ll convenuto, nasceva dall’atto di compravendita dell’unità abitativa facente parte il condominio.
La domanda attrice veniva respinta in primo grado, mentre veniva accolta in secondo grado. Il Giudice d’Appello riconosceva la natura di bene comune del cortile conteso, ritenendo che lo spazio esterno oggetto di lite, rientrando tra i beni disciplinati dall’art 1117 c.c. per i quali opera la presunzione di condominialità, dovesse essere considerato bene comune nel caso in cui nell’atto costitutivo del condominio mancasse una riserva di proprietà del cortile a favore del venditore delle unità immobiliari.
Il condomino convenuto nel giudizio di primo grado, e soccombente dinanzi al Giudice d’Appello, decideva di adire la Suprema Corte, chiedendo la riforma della sentenza di secondo grado, sulla base di 3 motivi connessi: (i) al difetto di legittimazione attiva della parte attrice del giudizio di primo grado; (ii) all’errata qualificazione della natura e dello spazio dell’area oggetto di lite; (iii) all’errato riconoscimento della presunzione di condominialità delle parti scoperte.
La decisione della Corte
La corte di Cassazione, ritenendo infondati tutti i motivi di gravame, ha rigettato il ricorso proposto dal condomino, che vantava un diritto di proprietà esclusiva sul cortile, riconoscendo, dunque, la natura di bene comune del cortile adiacente al fabbricato condominiale. La Corte, inoltre, ha ritenuto sussistenti le condizioni per applicare l’obbligo di versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata, ai sensi dell’art 1, comma 17, della L. 228/2012.
La Suprema Corte, analizzando il primo motivo di ricorso, con il quale il condomino sosteneva il difetto di legittimità attiva della parte attrice nella proposizione dell’azione di rivendica, ha sostenuto che, perché la legittimazione attiva ad agire sussista è sufficiente che vi sia la convinzione della parte che agisce in giudizio di essere titolare del diritto cui si riferisce la tutela giurisdizionale invocata, cioè è sufficiente che l’attore ritenga di essere il titolare del diritto.
Nell’azione di rivendicazione, con la quale si chiede al giudice di riconoscere a favore dell’attore il diritto di proprietà sulla cosa rivendicata, e di ordinarne la restituzione, la legittimazione attiva ad agire sussiste laddove l’attore si identifichi nella domanda come proprietario della cosa rivendicata.
Partendo da tale assunto, la Corte di Cassazione ha riconosciuto nel caso di specie la legittimazione attiva dei condomini ricorrenti in primo grado, ritenendo che il potere di proporre azioni reali a difesa della cosa comune non spetti necessariamente al condominio o al suo amministratore -come invece sosteneva la parte ricorrente in cassazione con il primo motivo di gravame- ma possa essere proposta anche da un solo condomino, poiché il diritto di ciascun di questi investe la cosa comune nella sua interezza.
La Corte di Cassazione, nell’analizzare congiuntamente il secondo ed il terzo motivo di gravame, – dopo aver chiarito che nel giudizio di legittimità, la censura riconducibile ad un’erronea ricognizione della fattispecie concreta operata dal Giudice di secondo grado, è possibile solo per omesso esame di un fatto storico che appaia decisivo ai fini di una diversa soluzione della controversia – ha ritenuto, ribadendo un suo precedente orientamento, che l’area esterna di un fabbricato condominiale debba essere considerato bene comune, applicando la presunzione di natura condominiale ai sensi dell’art.1117 del cod. civ., qualora nell’atto originario di costituzione del condominio manchi un’espressa riserva di proprietà individuale della zona esterna.
Lo status di condominio di un edificio, ha specificato la Corte, si crea nel momento in cui si opera il frazionamento della proprietà dell’edificio, cioè con il primo atto di trasferimento di una unità immobiliare dall’originario proprietario dell’intero edificio ad un altro soggetto.
Nel caso di specie la Corte ha appurato che nel primo atto di compravendita dell’unità immobiliare, il cui acquirente risultava essere il condomino ricorrente in cassazione, non era stata espressa alcuna riserva di proprietà del cortile a favore di questo, e quindi nessun diritto di proprietà individuale poteva essere vantato sul cortile, che doveva considerarsi come parte comune del condominio.
E’ da rilevare che la Corte di Cassazione nella sua disamina si è espressa anche sulla definizione di cortile, vagliando le zone che possono essere considerate tali. In tale definizione la Corte ha ritenuto di poter far rientrare qualsiasi area scoperta compresa tra i corpi di fabbrica di un edificio, o più edifici, che serva a dare luce e aria agli ambienti circostanti, nonché gli spazi liberi disposti esternamente alle facciate degli edifici come gli spazi verdi, le zone di rispetto, le intercapedini, i parcheggi, anche se non menzionate nell’art 1117 cod, civ.
Infine, la Corte ha concluso ritenendo che gravava sul condomino ricorrente dimostrare la proprietà esclusiva sul bene oggetto di causa, attraverso un titolo contrario che superasse la presunzione di condominialità del medesimo. In difetto di tale prova, quindi, il Giudice ha ritenuto che il bene fosse condominiale.
Volume consigliato
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento