Cosa attribuisce al Tribunale il procedimento di cui all’art. 14, c. 2-ter del D.Lgs. n. 159 del 2011?

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(Ricorso rigettato)

(Riferimento normativo: D.lgs. n. 159/2011, art. 14, c. 2-ter)

Il fatto

Il Tribunale di Milano, Sezione Misure di Prevenzione, sottoponeva taluno alla sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno per anni tre e mesi sei.

Tale misura di prevenzione, a sua volta, era stata sospesa a causa di un lungo periodo di detenzione del ricorrente per espiazione di pena intercorso tra il 21 febbraio del 2002 ed il 26 giugno del 2019.

Con apposita istanza del 20 maggio 2019, veniva promosso il procedimento del D.Lgs. n. 159 del 2011, ex art. 14, comma 2-ter.

A fronte di tale istanza, il Tribunale di Milano, Sezione Misure di Prevenzione, con decreto del 25 giugno del 2019, pur ritenendo affievolita la pericolosità sociale del ricorrente – e per questo revocando l’obbligo di soggiorno – manteneva però in vigore la misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale non modificandone la durata mentre la Corte di Appello di Milano rigettava il ricorso dell’interessato avverso tale primo provvedimento.

 

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

 

Avverso questo provvedimento, veniva proposto ricorso per Cassazione deducendosi i seguenti motivi: 1) violazione di legge per motivazione apparente del decreto impugnato atteso che, secondo il ricorrente, la Corte di appello non avrebbe valutato la mancanza di pericolosità sociale del proposto riferita all’attualità trascurando la sua buona condotta carceraria e la rescissione dei legami con l’associazione criminale della quale era stato ritenuto partecipe, comunque estintasi nel 2006, rinviando al futuro l’accertamento della pericolosità in ragione della verifica della sua buona condotta in regime di libertà; 2) violazione di legge per avere la Corte territoriale ritenuto non soggetta al suo giudizio la istanza volta, in via subordinata, alla riduzione della durata nel tempo della misura.

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il ricorso veniva reputato infondato per le seguenti ragioni.

Si notava prima di tutto che, per quanto concerne il primo motivo, occorreva premettere che, secondo la consolidata giurisprudenza della Cassazione, dal momento che nel procedimento di prevenzione il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, secondo il disposto della L. 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 4, richiamato dalla L. 31 maggio 1965, n. 575, art. 3 ter, comma 2, ne consegue che, in tema di sindacato sulla motivazione, è esclusa, dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità, l’ipotesi dell’illogicità manifesta di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso, poiché qualificabile come violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice d’appello dalla L. n. 1423 del 1956, art. 4, comma 9, il caso di motivazione inesistente o meramente apparente (Sez. U n. 33451 del 2014; sez. 6, n. 50946 del 18/09/2014) così come lo stesso prevede adesso anche il D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 10, comma 3.

Precisato ciò, veniva rilevato come, nel caso in esame, la Corte di Appello avesse mostrato di valutare attentamente la questione relativa alla attuale pericolosità sociale del ricorrente dopo il lungo periodo di carcerazione sofferto ritenendo che, comunque, la sua buona condotta carceraria, siccome attestata nell’istanza di revoca e non negata dalla Corte territoriale, avesse, tuttavia, affievolito ma non eliso del tutto la sua pericolosità sociale.

A fronte di ciò, veniva a tal riguardo notato come tale giudizio fosse stato espresso attraverso un bilanciamento tra buona condotta nel lungo periodo di carcerazione e gravità dei reati commessi che avevano a loro volta attestato il collegamento del ricorrente con ambienti criminali mafiosi, essendosi accertata, in allora, la sua pericolosità sociale qualificata attraverso la ritenuta appartenenza ad un sodalizio mafioso, conclamata da sentenze irrevocabili.

Orbene, tenuto conto di tali elementi e del breve periodo di tempo decorso in stato di libertà – che non aveva potuto dare dimostrazione di una totale perdita di contatto con tali ambienti mafiosi da parte del ricorrente – gli Ermellini denotavano come la Corte di Appello non avesse ritenuto di escludere del tutto la sua pericolosità sociale confermando il primo decreto del Tribunale che aveva eliminato soltanto l’obbligo di soggiorno ma non la misura della sorveglianza speciale.

Da ciò se ne faceva discendere come la motivazione resa non potesse definirsi, secondo la Suprema Corte, meramente apparente tanto da sconfinare in una violazione di legge, e ciò perché la censura del ricorrente, sempre a detta della Cassazione, atteneva, semmai e astrattamente, ad un vizio ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), non deducibile in sede di legittimità ordinaria.

Conclusa la disamina in ordine alla prima doglianza, per quanto riguarda il secondo motivo, si stimava corretta, in diritto, la statuizione della Corte di Appello in ordine alla impossibilità di modificare il termine di durata della misura di prevenzione osservandosi a tal proposito che il procedimento in questione, avviato su istanza dell’interessato, fosse quello di cui al D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, art. 14, comma 2-ter ossia una norma inserita nel cosiddetto Codice Antimafia dalla L. 17 ottobre 2017, n. 161, art. 4 la quale, come è noto, ha introdotto l’obbligo del giudice di rivalutare l’attuale pericolosità sociale del soggetto che è stato sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale, nell’ipotesi in cui, come nel caso in esame, la misura sia stata sospesa durante il tempo in cui l’interessato è stato sottoposto a detenzione per espiazione di pena.

Ebbene, per gli Ermellini, tale rivalutazione, alla quale il Tribunale deve procedere “anche di ufficio” – con il che ammettendosi che il procedimento possa avviarsi su istanza di parte, così come è avvenuto nel caso in esame – va effettuato “dopo la cessazione dello stato detentivo” e ad esso, per quanto compatibili, si applicano le disposizioni di cui al medesimo D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 7, intese a regolare le modalità della procedura e, in particolare, attraverso la previsione di una udienza che assicuri il contraddittorio tra le parti.

All’esito dell’accertamento, secondo quanto espressamente si prevede, il Tribunale, inoltre, può emettere solo due provvedimenti, aventi la forma del decreto, ossia: 1) quello con il quale “ordina l’esecuzione della misura” di prevenzione nel caso in cui ritenga che persista la pericolosità sociale del soggetto; 2) quello con il quale “revoca” la misura di prevenzione nel caso opposto in cui ritenga “cessata” la pericolosità sociale dell’interessato.

Orbene, a fronte di ciò, i giudici di piazza Cavour evidenziavano come, invece, la norma non preveda alcun intervento del Tribunale sulla durata della misura originariamente stabilita nel decreto impositivo rimasto sospeso a causa dell’intervenuta detenzione mentre siffatto intervento – che costituisce una “modifica” della misura – è, invece, espressamente previsto e reso possibile dal D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 11, comma 2, fermo restando però come tale procedimento sia diverso da quello introdotto dall’art. 14, comma 2-ter dello stesso decreto.

Il procedimento ex art. 11, comma 2, del Codice Antimafia, infatti, presuppone una misura in corso di esecuzione e regola i casi nei quali, per l’appunto, durante l’esecuzione della misura, si verifichino eventi tali da giustificare una revoca o una modifica della misura stessa, evidentemente anche in relazione al termine di durata mentre, ad avviso del Supremo Consesso, diverso è il caso all’esame, laddove la misura non è in corso di esecuzione, per essere stata sospesa in ragione di quanto detto dato che, in quest’ultima evenienza, a garanzia dell’interessato, il legislatore ha introdotto l’obbligo di una nuova verifica della pericolosità sociale, nell’attualità, nei termini di cui al D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 14, comma 2-ter, per assicurare che la futura esecuzione della misura sia ancorata alla effettiva persistenza del presupposto fondamentale ed imprescindibile della misura di prevenzione della sorveglianza speciale, che il lungo periodo di carcerazione, superiore a due anni, potrebbe avere eliso mentre, solo una volta che sia stata accertata, in esito al procedimento ex art. 14 citato, la persistenza della pericolosità sociale e si sia, pertanto, ordinata, da parte del Tribunale, l’esecuzione della misura di prevenzione dopo l’intervenuta scarcerazione dell’interessato, quest’ultimo o la stessa autorità proponente potranno chiedere la revoca o la modifica secondo quanto prevede D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 11, comma 2.

Tal che se ne faceva discendere, con riguardo allo specifico caso di cui si tratta, come il Tribunale di Milano, con il provvedimento confermato da quello della Corte di appello impugnato in questa sede, avesse adottato una statuizione parzialmente difforme dal contenuto delle norme sopra richiamate nella parte in cui aveva modificato la misura di prevenzione, revocando il solo obbligo di soggiorno ma non la sorveglianza speciale rilevandosi però al contempo come tale decisione, della quale il ricorrente non aveva interesse a dolersi essendo comunque a lui favorevole, non può consentire di ritenere che il procedimento di cui al D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 14, comma 2-ter, possa “intrecciarsi” con quello ex art. 11, comma 2, stesso decreto, trattandosi, come si è detto, di due distinti procedimenti che hanno presupposti e momenti applicativi differenti e che non devono essere confusi nella prassi applicativa e quindi, in modo del tutto corretto, per la Corte di legittimità, i giudici di merito avevano concordemente ritenuto di non poter intervenire sulla durata della misura

La Suprema Corte, di conseguenza, alla luce delle considerazioni sin qui esposte, giungeva a formulare il seguente principio di diritto: “il procedimento D.Lgs. n. 159 del 2011, ex art. 14, comma 2-ter, attribuisce al Tribunale il potere di dare esecuzione alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale ovvero di revocarla a seconda dell’esito dell’accertamento della persistenza della pericolosità sociale compiuto dopo un periodo di detenzione di almeno due anni, ma non consente di modificare parzialmente la misura, anche in relazione al termine di durata; la modifica della misura può essere adottata, D.Lgs. n. 159 del 2011, ex art. 11, comma 2, solo durante la sua esecuzione e, dunque, anche eventualmente dopo che il procedimento ex art. 14 prima citato si sia concluso con un provvedimento che a tale esecuzione abbia dato luogo”.

 

Conclusioni

La decisione in commento è assai interessante nella parte in cui chiarisce cosa attribuisce al Tribunale il procedimento di cui all’art. 14, c. 2-ter del D.Lgs. n. 159 del 2011 il quale, come è noto, prevede quanto segue: “L’esecuzione della sorveglianza speciale resta sospesa durante il tempo in cui l’interessato è sottoposto a detenzione per espiazione di pena. Dopo la cessazione dello stato di detenzione, se esso si è protratto per almeno due anni, il tribunale verifica, anche d’ufficio, sentito il pubblico ministero che ha esercitato le relative funzioni nel corso della trattazione camerale, la persistenza della pericolosità sociale dell’interessato, assumendo le necessarie informazioni presso l’amministrazione penitenziaria e l’autorità di pubblica sicurezza, nonché presso gli organi di polizia giudiziaria. Al relativo procedimento si applica, in quanto compatibile, il disposto dell’articolo 7. Se persiste la pericolosità sociale, il tribunale emette decreto con cui ordina l’esecuzione della misura di prevenzione, il cui termine di durata continua a decorrere dal giorno in cui il decreto stesso è comunicato all’interessato, salvo quanto stabilito dal comma 2 del presente articolo. Se invece la pericolosità sociale è cessata, il tribunale emette decreto con cui revoca il provvedimento di applicazione della misura di prevenzione”.

Invero, in tale pronuncia, è postulato che il procedimento D.Lgs. n. 159 del 2011, ex art. 14, comma 2-ter, attribuisce al Tribunale il potere di dare esecuzione alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale ovvero di revocarla a seconda dell’esito dell’accertamento della persistenza della pericolosità sociale compiuto dopo un periodo di detenzione di almeno due anni, ma non consente di modificare parzialmente la misura, anche in relazione al termine di durata fermo restando che la modifica della misura può essere adottata, D.Lgs. n. 159 del 2011, ex art. 11, comma 2 (“Il provvedimento stesso, su istanza dell’interessato e sentita l’autorità di pubblica sicurezza che lo propose, può essere revocato o modificato dall’organo dal quale fu emanato, quando sia cessata o mutata la causa che lo ha determinato. Il provvedimento può essere altresì modificato, anche per l’applicazione del divieto o dell’obbligo di soggiorno, su richiesta dell’autorità proponente, quando ricorrono gravi esigenze di ordine e sicurezza pubblica o quando la persona sottoposta alla sorveglianza speciale abbia ripetutamente violato gli obblighi inerenti alla misura”), solo durante la sua esecuzione e, dunque, anche eventualmente dopo che il procedimento ex art. 14 prima citato si sia concluso con un provvedimento che a tale esecuzione abbia dato luogo.

Il provvedimento in oggetto, pertanto, è sicuramente di un certo interesse, come detto poco prima, proprio perché spiega i poteri conferiti al giudice alla luce di quanto stabilito dall’art. 14, c. 2-ter, d.lgs. n. 159/2011.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta sentenza, proprio perché fa comprendere la portata applicativa di questa norma giuridica, dunque, non può che essere positivo.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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