Indice:
- Il fatto
- I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
- Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
- Conclusioni
Il fatto
La Corte di Appello di Ancona confermava una condanna di un imputato in ordine al delitto di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, riducendo la pena inflittagli in primo grado alla misura di un anno e tre mesi di reclusione e 1.300,00 euro di multa per l’esclusione della contestata recidiva.
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso il provvedimento emesso dai giudici di seconde cure proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato che deduceva i seguenti motivi: 1) violazione di legge in relazione agli artt. 178, lett. b), 179 e 449 cod. proc. pen. con riferimento alla dedotta nullità assoluta della richiesta di instaurazione del giudizio direttissimo e vizi congiunti di motivazione sul punto, esponendo il ricorrente di essere stato arrestato in stato di quasi-flagranza del reato per cui era stato giudicato al di fuori delle condizioni di legge e cioè dopo che la polizia giudiziaria aveva acquisito informazioni da una terza persona, senza avere avuto diretta percezione del reato, da ciò conseguendo la nullità del giudizio direttissimo instauratosi a seguito dell’arresto e di tutti gli atti successivi della procedura; 2) violazione e falsa applicazione dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 oltre che carenza e contraddittorietà della motivazione in quanto, ad avviso della difesa, non sussisteva alcun tipo di riscontro probatorio all’ipotesi di accusa che il quantitativo di hashish, rinvenuto presso l’abitazione dell’imputato, facesse parte dello stesso compendio da cui provenivano i tre ovuli rinvenuti un’ora prima nella disponibilità del coimputato; 3) violazione e falsa applicazione dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 atteso che, per il difensore, il giudizio di responsabilità si fondava, di fatto, sulle dichiarazioni accusatorie del solo coimputato e, quindi, in assenza di riscontri esterni individualizzanti della chiamata in correità; 4) violazione di legge in relazione all’art. 62-bis cod. pen. e vizi di motivazione sul punto poiché la richiesta di riconoscimento delle attenuanti generiche era stata, deduceva il ricorrente, respinta senza reale motivazione, essendosi la Corte di Appello limitata a ribadire l’attendibilità delle dichiarazioni rese dal coimputato e la credibilità della versione dei fatti da costui resa.
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Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
Il ricorso era reputato manifestatamente infondato e, quindi, veniva dichiarato inammissibile per le seguenti ragioni.
Si osservava innanzitutto che, con riferimento all’eccezione di nullità sollevata in ordine alle modalità di instaurazione del giudizio direttissimo di primo grado, come la sentenza di appello aveva, per la Corte, puntualmente evidenziato, la difesa del ricorrente non aveva mai in precedenza contestato la ritualità dell’arresto in flagranza di reato, tanto nel giudizio di convalida quanto nel corso del giudizio direttissimo di primo grado successivamente instauratosi, da cui la ritenuta intempestività ed inammissibilità del relativo motivo di appello.
Tal che se ne faceva conseguire come la Corte di merito avesse quindi fatto buon governo del principio già affermato dalla giurisprudenza della Cassazione secondo cui la mancata impugnazione dell’ordinanza di convalida dell’arresto impedisce la proposizione nel procedimento principale — salvo che nel giudizio direttissimo — di ogni ulteriore questione circa la legittimità dell’arresto e di tutti gli atti compiuti nel procedimento incidentale di convalida, compreso l’interrogatorio dell’imputato (Sez. 2, n. 477 del 04/12/1998), rilevandosi al contempo che al citato principio fa da inevitabile corollario l’altro secondo cui nel giudizio di legittimità non può essere fatta valere la nullità del giudizio direttissimo per vizi inerenti all’interrogatorio che precede la convalida dell’arresto, nel caso in cui l’ordinanza di convalida non sia stata impugnata (Sez. 4, n. 18968 del 19/02/2009), così come del pari correttamente i giudici di appello avevano, inoltre, osservato che, ove mai sussistente, la dedotta violazione avrebbe al più integrato una nullità di ordine generale a regime intermedio, come tale sanata ai sensi dell’art. 182, comma 2, cod. proc. pen. se non tempestivamente dedotta, come in effetti avvenuto nel caso in esame.
A fronte di ciò, la doglianza riproponeva quasi testualmente quella già dedotta dinanzi alla Corte di merito e non poteva, dunque, per il Supremo Consesso, che essere dichiarata inammissibile per le ragioni appena esposte, così come ugualmente destituita di concreto fondamento era la seconda censura.
Infatti, proprio per quanto concerne la seconda doglianza, gli Ermellini notavano come la sentenza impugnata – e , per quanto laconica, anche quella di primo grado – non avesse mai affermato che lo stupefacente rinvenuto in possesso del ricorrente facesse parte dello stesso compendio di quello sequestrato al coimputato, ma semplicemente che si trattava del medesimo tipo di sostanza (hashish) e poiché quest’ultimi aveva dichiarato di averla acquistata dall’odierno ricorrente, ritenendo che quella rinvenuta presso l’abitazione del ricorrente fosse destinata ad uso non esclusivamente personale.
Orbene, ad avviso della Corte di legittimità, una argomentazione di tal fatta era del tutto plausibile e coerente con le risultanze dibattimentali e che, pertanto, sfuggiva alla critica, oltre tutto articolata in linea di mero fatto, mossale con il ricorso.
Manifestamente infondato era reputato anche il terzo motivo, facendo presente in particolare, tra le considerazioni che avevano indotto la Corte alla reiezione di questo motivo, il fatto che la censura proposta si era svolta prevalentemente in punto di fatto.
Infine, anche il quarto, e ultimo motivo, seguiva la medesima sorte processuale poiché, ad avviso del Supremo Consesso, la Corte territoriale aveva congruamente motivato sul diniego delle attenuanti generiche mentre la critica che il ricorrente muoveva alla decisione sul punto riguardava il merito delle valutazioni che competono al giudice nel processo di determinazione del trattamento sanzionatorio in cui rientra anche l’eventuale riconoscimento delle circostanze attenuanti facoltative di cui all’art. 62-bis cod. pen..
Conclusioni
La decisione in esame desta un certo interesse essendo ivi chiarito cosa comporta la mancata impugnazione dell’ordinanza di convalida dell’arresto.
Difatti, in tale pronuncia, sulla scorta di un pregresso orientamento nomofilattico, si afferma che la mancata impugnazione dell’ordinanza di convalida dell’arresto impedisce la proposizione nel procedimento principale — salvo che nel giudizio direttissimo — di ogni ulteriore questione circa la legittimità dell’arresto e di tutti gli atti compiuti nel procedimento incidentale di convalida, compreso l’interrogatorio dell’imputato, in guisa tale che anche nel giudizio di legittimità non può essere fatta valere la nullità del giudizio direttissimo per vizi inerenti all’interrogatorio che precede la convalida dell’arresto nel caso in cui l’ordinanza di convalida non sia stata impugnata.
E’ dunque sconsigliabile, perlomeno alla luce di questo approdo ermeneutico, intraprendere una linea difensiva che al contrario eccepisca la legittimità dell’arresto e di tutti gli atti compiuti nel procedimento incidentale di convalida, quando ciò non sia stato oggetto di impugnazione avverso l’ordinanza di convalida dell’arresto, così come, a maggior ragione, è parimenti inopportuno chiedere, in sede di legittimità, la nullità del giudizio direttissimo per vizi inerenti all’interrogatorio che precede la convalida dell’arresto sempre nel caso in cui l’ordinanza di convalida non sia stata impugnata.
Ad ogni modo, il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su questa tematica procedurale, non può che essere positivo.
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