Il fatto
La Corte di appello di Napoli parzialmente riformava la sentenza del Tribunale di Torre Annunziata che a sua volta aveva affermato la penale responsabilità di un imputato per i delitti di bancarotta fraudolenta documentale e patrimoniale da lui commessi quale amministratore unico di una società dichiarata fallita omettendo di tenere le scritture contabili, al fine di non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari e trasferendo a terzi numerosi veicoli ad un prezzo assai inferiore al loro valore, reati unificati ai sensi del R.D. n. 267 del 1942, art. 219, comma 1, n. 1, in un unico delitto di bancarotta fraudolenta aggravato.
La Corte di appello, in particolare, aveva ridotto la durata delle pene accessorie previste dal R.D. n. 267 del 1942, art. 216, u.c..
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I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso detta sentenza proponeva ricorso per Cassazione l’imputato, a mezzo del suo difensore, chiedendone l’annullamento affidandosi ai seguenti motivi: 1) violazione dell’art. 192 c.p.p. e R.D. n. 267 del 1942, art. 216, comma 1, n. 1, nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata in ordine alla prova della commissione del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale osservandosi a tal proposito che se la Corte territoriale si era limitata a richiamare la motivazione della sentenza di primo grado sostenendo al contempo che i motivi di appello non contenevano elementi ed argomenti diversi da quelli già esaminati e disattesi dal Tribunale e che, contrariamente al vero, non era stata contestata la condotta distruttiva e così operando una illegittima inversione dell’onere della prova si era ritenuto indimostrato che i veicoli fossero stati alienati al fine di creare liquidità per l’azienda per far fronte alle forniture nonché si era affermato come sussistessero plurimi elementi indicatori di una volontà pienamente rientrante nel parametro della fattispecie contestata ossia l’epoca in cui erano avvenute le alienazioni dei veicoli e l’assenza delle scritture contabili, tuttavia, contrariamente a quanto affermato dalla Corte territoriale, secondo la difesa, le alienazioni non erano state coeve alla dichiarazione di fallimento mentre, quanto alle scritture contabili, l’imputato aveva depositato il bilancio al 29 aprile 2009 con allegati elenco fornitori al 31 dicembre 2007 e al 31 dicembre 2008; i giudici di appello, di conseguenza, avevano contraddittoriamente ed illogicamente disatteso le censure mosse con il gravame in ordine all’elemento soggettivo tenuto conto altresì del fatto che le vendite dei veicoli avvenute sottocosto avrebbero potuto integrare una bancarotta fraudolenta solo in mancanza di giustificazione in ordine alla destinazione dei beni al soddisfacimento di esigenze della società mentre, nel caso di specie, tale giustificazione era stata offerta; 2) contraddittorietà della motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità per il delitto di bancarotta fraudolenta documentale, nonché travisamento del fatto e della prova dello stesso reato dal momento che la sentenza di secondo grado aveva affermato come ricorresse l’ipotesi dell’irregolare tenuta della contabilità mentre dalla sentenza di primo grado risultava la totale mancanza di qualsiasi scrittura contabile e quindi, per il ricorrente, non si riusciva a comprendere, dalla lettura congiunta delle due sentenze, se la tenuta delle scritture fosse stata omessa o fosse stata irregolare e risultasse un travisamento del fatto; 3) omessa riqualificazione del delitto di bancarotta documentale quale bancarotta semplice avendo la Corte di appello rigettato l’istanza in tal senso formulata dall’imputato perché l’irregolare tenuta delle scritture contabili aveva interessato, non solo le scritture di cui all’art. 2214 c.c., ma anche ogni altra scrittura imposta da diverse disposizioni di legge; orbene, per il ricorrente, tale motivazione era erronea perché la bancarotta documentale semplice e la bancarotta fraudolenta documentale per omessa tenuta delle scritture contabili si differenziano esclusivamente in relazione alla diversità dell’elemento soggettivo.
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
Il ricorso veniva stimato inammissibile per le seguenti ragioni.
Si osservava a tal riguardo come il primo motivo di ricorso fosse inammissibile laddove si lamentava la violazione dell’art. 192 c.p.p. poiché la mancata osservanza di una norma processuale, in tanto ha rilevanza, in quanto sia stabilita a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, come espressamente disposto dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), mentre non è ammissibile il motivo di ricorso in cui si deduca la violazione dell’art. 192 c.p.p. la cui inosservanza non è in tal modo sanzionata (Sez. 4, n. 51525 del 04/10/2018).
Ciò posto, quanto alla lamentata carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, il motivo risulta manifestamente infondato perchè, nella sentenza di secondo grado, alla pagina 2, si affermava espressamente che le alienazioni fossero state attuate nel periodo tra il 2009 ed il 2011 mentre laddove, a pag. 4, della stessa sentenza, si affermava come le alienazioni fossero state coeve alla dichiarazione di fallimento.
Ebbene, secondo la Suprema Corte, tale affermazione non poteva essere intesa in modo assoluto (per cui tutte le alienazioni sarebbero avvenute lo stesso giorno della dichiarazione di fallimento) ma doveva essere apprezzata in termini relativi nel senso che le alienazioni, come esplicitato nella stessa sentenza, erano avvenute allorquando l’imputato era ben consapevole dello stato di decozione della società e della necessità di rispettare la par condicio creditorum.
Oltre a ciò, veniva fatto altresì presente che la circostanza evidenziata dal ricorrente, secondo la quale numerose alienazioni erano avvenute dopo la dichiarazione di fallimento, avvalorava, per la Suprema Corte, l’esattezza dell’argomento utilizzato dalla Corte di appello in quanto: se le alienazioni erano avvenute dopo la dichiarazione di fallimento, l’imputato ben sapeva della destinazione dei beni sociali, tra i quali anche gli autoveicoli, a garantire il soddisfacimento delle ragioni dei creditori e doveva astenersi da condotte volte a sottrarre detti beni a tale garanzia.
Tal che se ne faceva conseguire come l’alienazione dei veicoli integrasse sicuramente il delitto contestato avendo l’imputato omesso di mettere tali beni nella disponibilità del curatore allo scopo di cederli a terzi e la motivazione sul punto era quindi, per i giudici di piazza Cavour, esente dai vizi lamentati dal ricorrente.
Detto questo, quanto all’assenza delle scritture contabili, per la Suprema Corte, non rilevava che essa fosse totale o parziale ma solo che le scritture non consentissero di ricostruire il patrimonio sociale e di individuare gli autoveicoli come ancora appartenenti alla società fallita o come venduti nell’imminenza del fallimento tenuto conto altresì del fatto che ciò risultava in modo specifico dato che, in epoca anteriore o prossima al fallimento, la società aveva avuto il possesso di determinati beni – non rinvenuti all’atto della redazione dell’inventario – il che vuol significare che spetta ai suoi amministratori provare quale concreta destinazione abbiano avuto i medesimi beni o il loro ricavato e a tale esigenza si riallaccia l’obbligo, sanzionato, dalla regolare tenuta dei libri e delle scritture contabili durante la gestione della società mentre, in difetto della suddetta prova, è da presumere, specie in assenza di una qualsiasi registrazione contabile, che i beni stessi siano stati oggetto di dolosa distrazione con la conseguenza che è ravvisabile a carico degli amministratori della società l’ipotesi di bancarotta fraudolenta patrimoniale di cui all’art. 223, comma 1 in relazione alla L. Fall., art. 216, comma 1, n. 1, essendo l’interesse tutelato da detta norma quello dei creditori alla conservazione della garanzia dei loro crediti (Sez. 5, n. 178 del 26/02/1991).
Il secondo motivo veniva reputato parimenti inammissibile atteso che il vizio di contraddittorietà di motivazione si verifica soltanto se, in ordine ad uno stesso fatto o ad un complesso di fatti, vi sia inconciliabilità logica fra l’una e l’altra e non quando vi sia contrasto fra le considerazioni svolte nella sentenza di appello e quelle della decisione di primo grado (Sez. 4, n. 9924 del 23/02/1988; Sez. 2, n. 3308 del 04/12/1984) fermo restando che, anche a seguito della modifica apportata all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), dalla L. n. 46 del 2006, resta non deducibile nel giudizio di legittimità il travisamento del fatto stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018).
È possibile quindi dedurre il travisamento della prova a condizione che questa sia specificamente indicata ma tale specifica indicazione, per i giudici di piazza Cavour, era assente nel caso di specie.
Anche il terzo motivo di ricorso seguiva la medesima sorte processuale visto che, secondo la costante giurisprudenza della Cassazione, la bancarotta semplice e quella fraudolenta documentale si distinguono in relazione al diverso atteggiarsi dell’elemento soggettivo che, ai fini dell’integrazione della bancarotta semplice R.D. n. 267 del 1942, ex art. 217, comma 2, può essere indifferentemente costituito dal dolo o dalla colpa, ravvisabili quando l’agente ometta, con coscienza e volontà o per semplice negligenza, di tenere le scritture contabili mentre per la bancarotta fraudolenta documentale, ex art. 216, comma 1, n. 2), R.D. citato, l’elemento psicologico deve essere individuato esclusivamente nel dolo generico, costituito dalla coscienza e volontà dell’irregolare tenuta delle scritture, con la consapevolezza che ciò renda impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio dell’imprenditore (Sez. 5, n. 2900 del 2/10/2018; Sez. 5, n. 55065 del 14/11/2016; Sez. 5, n. 48523 del 6/10/2011,).
Tuttavia, nel caso di specie, si notava come la Corte di appello avesse dichiarato l’inapplicabilità dell’art. 217 del R.D. n. 267 del 1942 non solo perché l’omissione non aveva investito solo le scritture contemplate dall’art. 2214 c.c. ma soprattutto perché, come affermato a pag. 5 della motivazione della sentenza di appello, l’imputato, con la sua condotta, mirava ad impedire agli organi fallimentari la ricostruzione della situazione economica della società fermo restando che, sebbene uno degli argomenti utilizzati per escludere la invocata riqualificazione del fatto risultasse per la Corte errato, rimaneva comunque valido l’altro argomento in relazione al quale il ricorrente non aveva mosso alcuna censura in sede di legittimità ordinaria.
Si reputava dunque inammissibile, per difetto di specificità, il ricorso per cassazione che si limiti alla critica di una sola delle diverse rationes decidendi poste a fondamento della decisione ove queste siano autonome ed autosufficienti (Sez. 3, n. 2754 del 06/12/2017).
Conclusioni
La decisione in oggetto è assai interessante nella parte in cui si spiega cosa distingue il delitto di bancarotta semplice da quello di fraudolenta documentale.
Difatti, in questa pronuncia, citandosi giurisprudenza consolidata, viene postulato che la bancarotta semplice e quella fraudolenta documentale si distinguono in relazione al diverso atteggiarsi dell’elemento soggettivo che, ai fini dell’integrazione della bancarotta semplice R.D. n. 267 del 1942, ex art. 217, comma 2, può essere indifferentemente costituito dal dolo o dalla colpa, ravvisabili quando l’agente ometta, con coscienza e volontà o per semplice negligenza, di tenere le scritture contabili mentre per la bancarotta fraudolenta documentale, ex art. 216, comma 1, n. 2), R.D. citato, l’elemento psicologico deve essere individuato esclusivamente nel dolo generico, costituito dalla coscienza e volontà dell’irregolare tenuta delle scritture, con la consapevolezza che ciò renda impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio dell’imprenditore.
Tale sentenza, dunque, deve essere presa nella dovuta considerazione al fine di stabilire quali di questi illeciti penali sia configurabile in relazione all’elemento soggettivo.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in cotale provvedimento, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su tale tematica giuridica, dunque, non può che essere positivo.
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