Cosa è confiscabile nel caso di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti

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     Indice

  1. Il fatto
  2. I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
  3. Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
  4. Conclusioni

(Riferimenti normativi: D.lgs., 10/03/2000, n. 74, artt. 8, 12-bis)

1. Il fatto 

La Corte di Appello di Bologna confermava una sentenza del Gup del Tribunale di Reggio Emilia con la quale l’imputato, all’esito di giudizio abbreviato, era stato condannato alla pena di anni due di reclusione e alle sanzioni accessorie di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 74 del 2000, con confisca diretta ovvero, in caso di impossibilità di esecuzione, per equivalente per i reati di cui: al capo A dell’imputazione (art. 10 del d.lgs. n. 74 del 2000) e di cui al capo B (artt. 81, secondo comma, cod. pen. e 8 del d.lgs. n. 74 del 2000).

2. I motivi addotti nel ricorso per Cassazione 

Avverso il provvedimento emesso dai giudici di seconde cure proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato lamentando, con un unico motivo di doglianza, la violazione degli artt. 8 e 12-bis del d.lgs. n. 74 del 2000 e il vizio di motivazione in ordine alla disposta confisca.

In particolare, la difesa lamentava come la Corte territoriale, in ordine al motivo di appello sulla suddetta confisca, si fosse meramente limitata a richiamare una massima della giurisprudenza di legittimità (in species, Sez. 3, n. 17535 del 06/02/2019) che, concernendo i reati tributari di omessa, infedele o fraudolenta dichiarazione o di omesso versamento, non risultava, a suo avviso, pertinente al caso concreto, in cui rilevano reati tributari differenti di cui agli artt. 8 e 10 del d.lgs. n. 74 del 2000.

Ciò posto, sempre a parere della difesa – contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, che considerava il profitto di reato coincidente con il risparmio di imposta evasa per la fattispecie specifica ex art. 8 del D.lgs. n. 74 del 2000, l’entità dei beni confiscabili ai sensi dell’art. 12-bis del medesimo decreto deve essere rapportata al prezzo del reato, consistente nell’eventuale compenso che l’imputato ha percepito per l’emissione a favore di terzi di fatture false, aventi ad oggetto operazioni inesistenti, al fine di consentire a questi di evadere le imposte sul reddito e sul valore aggiunto.

Dunque, la difesa evidenziava che, per lo specifico reato tributario di cui all’art. 8 del d.lgs. n. 74 del 2000, il prezzo del reato non coincide con il profitto eventualmente conseguito dai terzi beneficiari per effetto della emissione da parte dell’imputato di fatture false fermo restando che, in ogni caso, la difesa lamentava come non vi fosse alcuna traccia in atti dell’eventuale compenso percepito dall’imputato per la commissione del reato di cui all’art. 8 del d.lgs. n. 74 del 2000, né dell’importo dell’imposta evasa in relazione al reato di cui all’art. 10 del d.lgs. n. 74 del 2000, non essendo stata in concreto possibile la ricostruzione dei redditi e del volume di affari. 


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3. Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il ricorso era ritenuto fondato per le seguenti ragioni.

Si osservava a tal proposito che, in relazione alla fattispecie di cui all’art. 8 del d.lgs. n. 74 del 2000, consistente nell’emissione di fatture per operazioni inesistenti al fine di consentire a terzi di evadere le imposte, deve richiamarsi il principio, costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui la confisca diretta o per equivalente, come il sequestro preventivo finalizzato a essa, del profitto del reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti, non può essere disposta sui beni dell’emittente per il valore corrispondente al profitto conseguito dall’utilizzatore delle fatture medesime poiché il regime derogatorio previsto dall’art. 9 del d.lgs. n. 74 del 2000 – escludendo la configurabilità del concorso reciproco tra chi emette le fatture per operazioni inesistenti e chi se ne avvale – impedisce l’applicazione in questo caso del principio solidaristico, valido nei soli casi di illecito plurisoggettivo (Sez. 3, n. 43952 del 18/10/2016; Sez. 3, n. 48104 del 06/11/2013) e, dunque, in tale specifica fattispecie, l’entità dei beni confiscabili deve essere rapportata non al profitto eventualmente conseguito dai terzi per effetto della emissione di fatture aventi ad oggetto operazioni inesistenti, ma solo al prezzo del reato, cioè all’eventuale compenso che l’emittente abbia percepito per l’emissione delle fatture (Sez. 3, n. 25536 del 11/12/2018; Sez. 3, n. 15458 del 04/02/2016; Sez. 3, n. 42641 del 26/09/2013).

Quanto, invece, al reato di cui all’art. 10 del d.lgs. n. 74 del 2000, lo stesso era stato considerato dai giudici di merito come sostanzialmente strumentale rispetto all’emissione di fatture per operazioni inesistenti, senza che potesse essere identificato per lo stesso un autonomo profitto confiscabile.

Orbene, declinando tali criteri ermeneutici rispetto al caso di specie, gli Ermellini ritenevano come la Corte di Appello fosse incorsa in un errore di diritto laddove aveva affermato, con motivazione (stimata) meramente apparente, che la confisca disposta nei confronti del ricorrente dovesse avere ad oggetto il profitto consistente nel risparmio economico delle imposte evase, ponendosi in evidente contrasto con i suesposti principi.

Tale riscontrata violazione di legge, quindi, per la Suprema Corte, imponeva l’annullamento della sentenza impugnata, limitatamente alla confisca diretta o per equivalente disposta nei confronti dell’imputato, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Bologna, che avrebbe dovuto attenersi al principio indicato, al fine di accertare l’eventuale compenso o altre utilità che l’imputato ha percepito per la commissione del reato di cui al capo B), sul quale eventualmente parametrare l’entità della confisca ai sensi dell’art. 12-bis del D.lgs. n. 74 del 2000.

4. Conclusioni

La decisione in esame è assai interessante essendo ivi chiarito cosa è confiscabile nel caso di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, ossia quando sia contestato e accertato il reato di cui all’art. 8 del d.lgs. n. 74 del 2000.

Difatti, si afferma in tale pronuncia, sulla scorta di un pregresso orientamento nomofilattico, che, in relazione alla fattispecie di cui all’art. 8 del d.lgs. n. 74 del 2000, consistente nell’emissione di fatture per operazioni inesistenti al fine di consentire a terzi di evadere le imposte, la confisca diretta o per equivalente, come il sequestro preventivo finalizzato a essa, del profitto del reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti, non può essere disposta sui beni dell’emittente per il valore corrispondente al profitto conseguito dall’utilizzatore delle fatture medesime, dovendo l’entità dei beni confiscabili essere rapportata non al profitto eventualmente conseguito dai terzi per effetto della emissione di fatture aventi ad oggetto operazioni inesistenti, ma solo al prezzo del reato, cioè all’eventuale compenso che l’emittente abbia percepito per l’emissione delle fatture.

Tale provvedimento, quindi, deve essere preso nella dovuta considerazione al fine di verificare se un provvedimento ablatorio di questo tipo sia stato correttamente adottato (o meno) ove sia contestata e accertata una fattispecie criminosa di tale genere.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su tale tematica giuridica, dunque, non può che essere positivo.

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