Cosa si deve scrivere nella domanda volta a ottenere la correzione di errori materiali prevista dall’art. 130 c.p.p. quando è proposta da chi afferma di essere la persona condannata sotto altro nome?

(Annullamento con rinvio)

(Riferimento normativo: Cod. proc. pen., artt. 130; 668)

Il fatto 

Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma, in funzione di giudice dell’esecuzione, dichiarava inammissibile, per mancanza di interesse, una domanda volta ad ottenere la correzione dell’errore di nome contenuto nel decreto di  condanna, irrevocabile, emesso dal Giudice per le indagini preliminari della Pretura di Roma nel senso che lo stesso, formalmente emesso nei confronti di altra persona, era in realtà riferibile alla persona del ricorrente.

Si osservava in particolare come la motivazione fondante tale decisione fosse nel senso che il ricorrente aveva dedotto il suo interesse alla correzione dell’errore di nome fosse quello di ottenere la riabilitazione (art. 178 cod. pen.) quanto al reato accertato con il citato decreto di condanna oltre a rilevare che tale decreto non era stato indicato nel certificato del casellario giudiziario relativo al ricorrente che aveva allegato certificato del casellario giudiziario formato al nome di altro individuo.

 

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso tale ordinanza si proponeva ricorso deducendo i seguenti motivi: 1) erroneità in diritto della motivazione sopra riassunta dal momento che l’interesse a richiedere la riabilitazione, anche in riferimento agli effetti penali di provvedimento di condanna (sentenza ovvero decreto) divenuto irrevocabile, non può che riferirsi anche a provvedimenti di condanna emessi nei confronti di persona apparentemente diversa da chi la riabilitazione richieda per reati in realtà commessi da tale ultima persona; 2) manifesta illogicità della motivazione medesima avendo esso ricorrente allegato alla domanda il decreto di condanna che a suo tempo era stato emesso nei confronti di altro soggetto e l’accertamento dattiloscopico eseguito, su iniziativa di esso ricorrente, dalla Questura di Ancona, da cui risultava che esso ricorrente fosse la stessa persona condannata con tale decreto.

 

La richiesta formulata dalla Procura generale presso la Corte di Cassazione

 

Il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione depositava requisitoria scritta con cui costui chiedeva l’accoglimento del ricorso e il conseguente annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma per l’esame del merito della domanda del ricorrente:

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Gli Ermellini osservavano prima di tutto che l’art. 668 cod. proc. pen. affida al giudice dell’esecuzione il potere di correggere, mediante il procedimento di correzione di errori materiali previsto dal precedente art. 130 cod. proc. pen., il nome di persona condannata in luogo di un’altra per mero errore di nome quando la persona contro cui si doveva procedere è stata citata come imputato anche sotto altro nome per il giudizio.

Premesso ciò, si faceva presente che, quando la domanda volta ad ottenere la correzione in parola è proposta da chi afferma di essere la persona condannata sotto altro nome, ai fini della sussistenza dell’interesse ad agire, è sufficiente che il richiedente deduca quali siano le conseguenze per lui favorevoli derivanti dall’emissione del sollecitato provvedimento di correzione attenendo, ovviamente, al merito della decisione sulla domanda di correzione la veridicità del fatto affermato.

Orbene, declinando tale criterio ermeneutico rispetto al caso di specie, i giudici di piazza Cavour evidenziavano come dall’ordinanza impugnata risultasse che il ricorrente aveva chiesto la correzione del nome della persona destinataria del decreto dal Giudice per le indagini preliminari della Pretura di Roma deducendo di essere lui il destinatario di tale decreto e che il suo interesse alla sollecitata correzione si identificava nella possibilità di ottenere la riabilitazione anche quanto alle pene accessorie e a ogni altro effetto penale derivante dal decreto di condanna (art. 178 cod. pen.) e che, pertanto, ad avviso del Supremo Consesso, tanto bastava per ritenere sussistente l’interesse alla proposizione della domanda dal ricorrente rivolta al giudice dell’esecuzione.

Tal che se ne faceva conseguire come l’ordinanza impugnata, caratterizzata da motivazione incomprensibile – e dunque solo apparente -, dovesse essere annullata con rinvio al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma per l’esame del merito della domanda di correzione di errore di nome a suo tempo presentata dal ricorrente previo accertamento che il ricorrente era la persona che era stata effettivamente condannata con il sopra citato decreto fermo restando che, in considerazione dello specifico interesse all’azione di accertamento dedotto dal ricorrente, era per la Corte peraltro quanto mai opportuno che, previa instaurazione del contraddittorio fra ricorrente e pubblico ministero, il giudice dell’esecuzione, nella consapevolezza del possesso delle impronte digitali del ricorrente da parte della Polizia di Stato, verificasse se il ricorrente avesse subito altre condanne con altre generalità.

Conclusioni

La decisione in esame è assai interessante nella parte in cui spiega cosa si deve scrivere nella domanda volta a ottenere la correzione di errori materiali prevista dall’art. 130 c.p.p. quando è proposta da chi afferma di essere la persona condannata sotto altro nome.

Difatti, in questa pronuncia, è postulato che, con tale domanda, ai fini della sussistenza dell’interesse ad agire, è sufficiente che il richiedente deduca quali siano le conseguenze per lui favorevoli derivanti dall’emissione del sollecitato provvedimento di correzione.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta sentenza, proprio perché fa chiarezza su cotale tematica processuale, dunque, non può che essere positivo.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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