Il documento contiene le linee guida condivise tra le Parti per agevolare le imprese nell’adozione di protocolli di sicurezza anti-contagio al fine di consentire la prosecuzione delle attività produttive con modalità che assicurino ai lavoratori adeguati livelli di protezione.
Le imprese, dunque, sono tenute ad adottare il suddetto protocollo di regolamentazione all’interno dei luoghi di lavoro nonché ulteriori misure di precauzione in relazione alla peculiarità dell’organizzazione interna di ciascun ente.
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Le misure anticontagio
Con il Protocollo si è introdotto l’obbligo in capo all’azienda di informare con modalità idonee ed efficaci tutti i lavoratori e chiunque entri in azienda (dunque anche soggetti diversi dai dipendenti), del complesso di misure anti-contagio adottate cui il personale e i non addetti devono attenersi; sono inoltre disciplinate le modalità di ingresso in azienda, anche dei fornitori esterni, prevedendo il controllo della temperatura in entrata, il divieto di accesso nei luoghi di lavoro nel caso in cui un dipendente abbia avuto contatti negli ultimi 14 giorni con soggetti risultati positivi al virus o soggetto proveniente da zone a rischio, l’invio di certificazione medica che provi l’avvenuta negativizzazione del lavoratore precedentemente contagiato da COVID-19 nell’ipotesi di reingresso al lavoro. È altresì favorito l’ingresso e l’uscita scaglionati per evitare possibili contatti nelle zone comuni (mensa, spogliatoi, aree fumatori etc.) nonché la limitazione degli spostamenti interni, il divieto di riunioni in presenza e attività di formazione professionale e/o abilitante. È anche consigliato l’utilizzo dello smart working per le attività che possono svolgersi da remoto.
Inoltre, è stato previsto l’obbligo di pulizia e sanificazione periodica degli ambienti di lavoro ed anche l’adozione di misure igieniche personali, incluso l’utilizzo di dispositivi di protezione individuale (DPI).
L’art. 11 è dedicato alla gestione delle persone sintomatiche in azienda, agevolando il tracciamento dei c.d. “contatti stretti” e disponendo la misura dell’isolamento sia del soggetto sintomatico che degli altri presenti nei locali aziendali. L’ente si dovrà, inoltre, preoccupare di avvertire le Autorità sanitarie.
Il Protocollo ha specificato che vanno privilegiate, visto il periodo, le visite mediche preventive, le visite a richiesta e le visite da rientro da medicina, non dovendosi interrompere la sorveglianza sanitaria periodica, rappresentando essa una misura di prevenzione di carattere generale.
L’azienda, infine, deve costituire al suo interno un Comitato per l’applicazione e la verifica delle regole del protocollo di regolamentazione, con la partecipazione delle rappresentanze sindacali aziendali e del RLS. Ove non si dovesse costituire il Comitato aziendale, verrà istituito un Comitato Territoriale composto dagli Organismi Paritetici per la salute e la sicurezza, coinvolgendo anche i RLST e i rappresentanti delle Parti sociali nonché le autorità sanitarie locali e altri soggetti istituzionali coinvolti nelle iniziative per il contrasto della diffusione del virus COVID-19.
È necessario evidenziare come il “Protocollo condiviso di regolazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro” non è un atto normativo ma la sua vincolatività per le aziende è garantita dalla disposizione in esso contenuta che prevede la sospensione dell’attività produttiva qualora non vengano garantiti livelli adeguati di protezione dei lavoratori, fino al ripristino delle condizioni di sicurezza.
Invero, il Decreto Legge 19/2020 affida l’adozione di misure urgenti per evitare la diffusione del COVID-19 ad uno o più Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri i c.d. (D.P.C.M.) e proprio il richiamo operato dal D.P.C.M. 26 aprile 2020 a questi Protocolli, ne assicura la loro natura cogente.
Interessante dal punto di vista della responsabilità degli enti è l’equiparazione delle infezioni da COVID-19 contratte in occasione di lavoro agli infortuni sul lavoro: tale è l’interpretazione che è stata data dell’art. 42 comma 2 D.L. 18/2020 che chiarisce alcuni aspetti concernenti la tutela assicurativa nei casi accertati di infezione da tale virus avvenuti in occasione di lavoro.
L’INAIL, con la Circolare n. 13 del 3 aprile 2020 ha ulteriormente specificato che le affezioni morbose, come le malattie infettive e parassitarie, rientrano nella categoria degli infortuni sul lavoro ed in tale categoria devono essere ricondotti anche i casi di infezione da nuovo Coronavirus occorsi a qualsiasi soggetto assicurato dall’Istituto.
Sono peraltro individuate alcune categorie di lavoratori, primi fra tutti gli operatori sanitari, nei confronti dei quali, per l’elevatissima probabilità che vengano a contatto con il virus, è stata ritenuta operante una presunzione semplice di origine professionale del contagio, il cui ambito è poi stato esteso anche ad altre situazioni meritevoli di tutela, nelle quali “manca l’indicazione o la prova di specifici episodi contagianti o comunque di indizi “gravi precisi e concordanti” tali da far scattare ai fini dell’accertamento medico-legale la presunzione semplice.”
Tale presunzione semplice determinerebbe un’inversione dell’onere della prova a carico del datore di lavoro, che dovrebbe fornire la prova che il contagio del suo dipendente non sia avvenuto in occasione di lavoro: una prova ai limiti del diabolico.
La responsabilità penale
L’interpretazione del Decreto Legge congiuntamente a quella della Circolare INAIL ha comportato la prospettazione di una possibile responsabilità penale in capo ai soggetti che all’interno dell’ente svolgono compiti di tipo organizzativo, nonché di vigilanza al fine di scongiurare che si verifichino contagi da COVID-19 negli ambienti di lavoro, per lesioni colpose o, qualora la malattia comporti il decesso, per omicidio colposo.
I criteri di imputazione di tale responsabilità sarebbero: la colpa organizzativa, la verificazione dell’evento in occasione di lavoro ed il nesso di causalità tra la colpa di chi riveste una “posizione di garanzia” e l’evento contagio.
Da tale responsabilità ne potrebbe altresì dipendere quella dell’ente ex art. 25 septies D.lgs. 231/2001, qualora i modelli di organizzazione e di gestione adottati dall’organo dirigente ex art. 6 del Decreto non si fossero rivelati idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi.
Le conseguenze discendenti dall’eventuale imputazione agli enti della responsabilità per il contagio da COVID-19 occorso in occasione di lavoro sarebbero state dei veri e propri “enticidi[1]”, per il peso economico derivante dall’irrogazione di eventuali sanzioni pecuniarie, se il Governo non si fosse nuovamente accordato con le Parti sociali per ridisegnare i confini di tale responsabilità.
Infatti, in data 15 maggio 2020, è stato chiarito che non sono idonei ai fini dell’imputazione della responsabilità penale (e civile), né per la responsabilità degli enti ex D.lgs. n. 231/2001 i criteri applicati dall’INAIL al fine del riconoscimento dell’indennizzo del lavoratore per contagio di origine professionale, dovendo tale responsabilità essere comunque accertata mediante la prova del dolo o della colpa del datore di lavoro, secondo i consueti criteri.
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La responsabilità amministrativa degli entiIl modello di organizzazione e gestione (o “modello ex D.Lgs. n. 231/2001”) adottato da persona giuridica, società od associazione privi di personalità giuridica, è volto a prevenire la responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato.Le imprese, gli enti e tutti i soggetti interessati possono tutelarsi, in via preventiva e strutturata, rispetto a tali responsabilità ed alle conseguenti pesanti sanzioni, non potendo essere ritenuti responsabili qualora, prima della commissione di un reato da parte di un soggetto ad essi funzionalmente collegato, abbiano adottato ed efficacemente attuato Modelli di organizzazione e gestione idonei ad evitarlo.Questo volume offre, attraverso appositi strumenti operativi, una panoramica completa ed un profilo dettagliato con casi pratici, aggiornato con la più recente giurisprudenza. La necessità di implementare un Modello Organizzativo ex D.Lgs. n. 231/2001, per gli effetti positivi che discendono dalla sua concreta adozione, potrebbe trasformarsi in una reale opportunità per costruire un efficace sistema di corporate governance, improntato alla cultura della legalità.Damiano Marinelli, avvocato cassazionista, arbitro e docente universitario. È Presidente dell’Associazione Legali Italiani (www.associazionelegaliitaliani.it) e consigliere nazionale dell’Unione Nazionale Consumatori. Specializzato in diritto civile e commerciale, è autore di numerose pubblicazioni, nonché relatore in convegni e seminari.Piercarlo Felice, laurea in giurisprudenza. Iscritto all’albo degli avvocati, consulente specializzato in Compliance Antiriciclaggio, D.Lgs. n. 231/2001, Trasparenza e Privacy, svolge attività di relatore e docente in convegni, seminari e corsi dedicati ai professionisti ed al sistema bancario, finanziario ed assicurativo, oltre ad aver svolto docenze per la Scuola Superiore dell’Economia e delle Finanze (Scuola di Formazione del Ministero dell’Economia e delle Finanze) sul tema “Antiusura ed Antiriciclaggio”. Presta tutela ed assistenza legale connessa a violazioni della normativa Antiriciclaggio e normativa ex D.Lgs. n. 231/2001. È tra i Fondatori, nonché Consigliere, dell’Associazione Italiana Responsabili Antiriciclaggio (AIRA). Collabora con l’Università di Pisa come docente per il master post laurea in “Auditing e Controllo Interno”. Ha ricoperto l’incarico di Presidente dell’Organismo di Vigilanza ex D.Lgs. n. 231/2001 presso la Banca dei Due Mari di Calabria Credito Cooperativo in A.S.Vincenzo Apa, laureato in economia e commercio e, successivamente, in economia aziendale nel 2012. Commercialista e Revisore Contabile, dal 1998 ha intrapreso il lavoro in banca, occupandosi prevalentemente di finanziamenti speciali alle imprese, di pianificazione e controllo di gestione, di organizzazione e, nel 2014/2015, ha svolto l’incarico di Membro dell’Organismo di Vigilanza 231 presso la BCC dei Due Mari. È attualmente dipendente presso la BCC Mediocrati. Ha svolto diversi incarichi di docenza in corsi di formazione sull’autoimprenditorialità, relatore di seminari e workshop rivolti al mondo delle imprese.Giovanni Caruso, iscritto presso l’Ordine dei Consulenti del Lavoro di Cosenza e nel registro dei tirocinanti dei Revisori Legali dei Conti. Laureato in Scienze dell’Amministrazione, in possesso di un Master in Diritto del Lavoro e Sindacale e diverse attestazioni in ambito Fiscale e Tributario, Privacy e Sicurezza sul Lavoro. Svolge l’attività di consulente aziendale in materia di Organizzazione, Gestione e Controllo, Sicurezza sui luoghi di lavoro, Finanza Aziendale e Privacy. Ha svolto incarichi di relatore in seminari e workshop rivolti a Professionisti ed Imprese. Damiano Marinelli, Vincenzo Apa, Giovanni Caruso, Piercarlo Felice | 2019 Maggioli Editore 25.00 € 20.00 € |
Note
[1] E. MEZZETTI, “L’enticidio: una categoria penalistica da ricostruire ed una conseguenza per l’azienda da evitare”, in Dir. Pen. cont., 1/2018, disponibile qui https://archiviodpc.dirittopenaleuomo.org/upload/3318-mezzetti118.pdf
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