La crisi d’impresa può essere analizzata da due prospettive principali: quella aziendale e quella giuridica, che, pur avendo approcci differenti, devono integrarsi per garantire un’efficace gestione e risoluzione della crisi.
Dal punto di vista aziendale, la crisi è spesso intesa come un momento di squilibrio economico-finanziario che compromette la continuità aziendale. Tale squilibrio può derivare da diversi fattori, come errori strategici, inefficienze operative, cambiamenti di mercato o eventi imprevisti. In questa prospettiva, l’obiettivo principale è identificare tempestivamente i segnali di crisi attraverso strumenti di monitoraggio come l’analisi dei flussi di cassa, dei margini operativi e della redditività. La pianificazione finanziaria e l’implementazione di sistemi di controllo interni giocano un ruolo cruciale nel prevenire e affrontare le difficoltà, consentendo di avviare processi di ristrutturazione o di rilancio prima che la situazione diventi irreversibile.
Dal punto di vista giuridico, invece, la crisi è definita e regolamentata dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, che introduce una serie di strumenti e procedure volte a prevenire l’insolvenza e a favorire il risanamento delle imprese. Il sistema di allerta, ad esempio, mira a consentire una precoce emersione delle difficoltà, coinvolgendo soggetti come organi di controllo e creditori qualificati, chiamati a segnalare eventuali situazioni di rischio. Inoltre, il quadro giuridico definisce i diritti e i doveri degli attori coinvolti, dal debitore ai creditori, stabilendo regole chiare per l’accesso a procedure come il concordato preventivo o la liquidazione giudiziale.
La prospettiva aziendale e quella giuridica devono convergere per garantire un approccio sinergico alla gestione della crisi. Mentre la prima si focalizza sulla prevenzione e sulla gestione operativa e strategica, la seconda offre un quadro normativo che tutela i diritti delle parti coinvolte e fornisce strumenti per il risanamento o la liquidazione. Integrare queste due prospettive significa non solo affrontare la crisi in modo tempestivo ed efficace, ma anche contribuire a preservare il tessuto economico e sociale. Per approfondire tutte le novità del Correttivo-Ter, consigliamo il corso per professionisti: Il terzo correttivo al Codice della crisi d’impresa: applicazioni pratiche, questioni interpretative e strategie Consigliamo anche il Corso abilitante e di aggiornamento per Gestore della crisi d’impresa, Curatore, Commissario giudiziale, Liquidatore e Attestatore – IV edizione
Indice
- 1. Le prospettive della crisi d’impresa
- 2. Tribunale di Cagliari – assetti organizzativi, amministrativi e contabili
- 3. Adeguati assetti per PMI
- 4. Incapacità delle imprese a promuovere autonomamente processi di ristrutturazione precoce
- 5. La cultura della pianificazione finanziaria come rimedio alla tardiva emersione della crisi
- 6. I piani di risanamento
- 7. Il piano industriale, economico e finanziario
- 8. Diagnosi delle cause della crisi
- Formazione in materia per professonisti
- Vuoi ricevere aggiornamenti costanti?
- Note
1. Le prospettive della crisi d’impresa
La comprensione giuridica della crisi d’impresa richiede un preliminare riferimento alla sua sostanza economico-aziendale. La crisi si verifica quando fattori interni o eventi esterni, prevedibili o meno, ostacolano il regolare svolgimento del programma imprenditoriale, impedendo la giusta remunerazione delle risorse investite, la conservazione e l’incremento del valore dell’impresa (ossia la “creazione di valore”). Solitamente, la crisi non emerge in modo repentino ma come risultato di un processo degenerativo graduale, spesso segnalato da risultati economici negativi, con tempistiche che possono variare a seconda delle circostanze.
Il passaggio dalla prospettiva economico-aziendale a quella giuridico-normativa della crisi d’impresa evidenzia che l’applicazione degli strumenti di regolazione presuppone fattispecie giuridicamente qualificate. Il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, sviluppato sulla base della legge delega n. 155/2017, distingue due situazioni principali: “crisi” e “insolvenza”.
La “crisi” è definita come lo stato in cui il debitore, a causa dell’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici, rischia di non poter adempiere alle obbligazioni nei successivi dodici mesi. “Insolvenza”, invece, rappresenta uno stato più grave, caratterizzato dall’impossibilità del debitore di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni, manifestata da inadempimenti o altri segnali esteriori.
Inoltre, la crisi probabile assume rilevanza nel percorso di composizione negoziata della crisi (art. 12 del Codice).[1] L’attenzione prevalente dovrebbe essere dapprima rivolta al fenomeno più determinante e apparentemente meno grave, ovvero alla crisi quale unica via di accesso all’insolvenza, per poi analizzare la nozione di insolvenza in senso stretto dal punto di vista economico e giuridico.
2. Tribunale di Cagliari – assetti organizzativi, amministrativi e contabili
La sentenza del Tribunale di Cagliari del 19 gennaio 2022 ha messo in evidenza una serie di gravi carenze negli assetti organizzativi, amministrativi e contabili di una società, tali da compromettere la sua capacità di gestione efficace e la continuità aziendale. L’analisi condotta dall’Ispettore ha rivelato che l’impresa risultava priva degli elementi fondamentali per garantire un assetto organizzativo adeguato, proporzionato alla natura dell’attività esercitata e alle dimensioni dell’impresa.
L’ispezione ha evidenziato l’assenza di una chiara struttura organizzativa e di strumenti di governance essenziali per il buon funzionamento dell’impresa. Tra le principali criticità riscontrate:
- Mancanza di un mansionario, ovvero l’assenza di una chiara definizione dei ruoli e delle responsabilità all’interno dell’organizzazione, con conseguente inefficienza nella gestione operativa.
- Struttura organizzativa inadeguata: il modello di gestione risultava eccessivamente accentrato, con la polarizzazione di informazioni vitali nelle mani di un numero ristretto di persone, in particolare all’interno dell’ufficio amministrativo. Ciò comportava un’eccessiva dipendenza da poche risorse chiave, aumentando il rischio operativo in caso di loro indisponibilità.
- Mancanza di un sistema di gestione e monitoraggio dei rischi aziendali, fondamentale per identificare, valutare e mitigare i principali rischi che possono minacciare la stabilità e il futuro dell’impresa.
- L’inadeguatezza dell’assetto amministrativo adottato dalla società è stata riscontrata in più aspetti, tra cui:
- Assenza di un budget di tesoreria, strumento essenziale per la pianificazione finanziaria a breve termine e per il controllo dei flussi di cassa.
- Mancanza di strumenti previsionali, fondamentali per anticipare le esigenze finanziarie e operative dell’azienda.
- Mancanza di una situazione finanziaria giornaliera, che avrebbe consentito un monitoraggio costante della liquidità aziendale e una gestione proattiva delle risorse finanziarie.
- Assenza di strumenti di reporting, i quali avrebbero potuto fornire una visione chiara e tempestiva della situazione economico-finanziaria dell’azienda, supportando il management nelle decisioni strategiche.
- Mancata redazione di un piano industriale, documento essenziale per definire gli obiettivi strategici dell’impresa e le azioni da intraprendere per garantirne la crescita e la sostenibilità nel medio-lungo termine.
- L’ispezione ha evidenziato l’assenza di un efficace sistema di gestione dei crediti commerciali, con gravi ripercussioni sulla stabilità finanziaria della società. In particolare, sono emerse le seguenti criticità:
- Mancanza di procedure per la gestione del rischio di credito, ossia l’assenza di strategie volte a minimizzare le perdite su crediti o i ritardi nei pagamenti da parte dei clienti.
- Assenza di un sistema di monitoraggio dell’andamento dei crediti, che prevedesse la redazione di rapporti periodici sullo stato complessivo dei crediti, sull’affidabilità della clientela nei pagamenti e su altri indicatori rilevanti per la continuità aziendale.
- Mancanza di strumenti per l’analisi dei dati di bilancio, indispensabili per verificare in modo accurato la situazione economica, finanziaria e patrimoniale dell’azienda.
- Assenza del rendiconto finanziario, documento fondamentale per rilevare tempestivamente eventuali squilibri finanziari e adottare misure correttive adeguate.
La sentenza ha evidenziato come le gravi carenze riscontrate in tutti gli assetti della società (organizzativo, amministrativo e contabile) abbiano compromesso la capacità dell’impresa di operare in modo efficace e sostenibile. L’assenza di strumenti di pianificazione, controllo e monitoraggio dei rischi ha determinato una gestione inefficiente e priva delle necessarie tutele per la continuità aziendale. Il provvedimento ha dunque sottolineato l’importanza, per le imprese, di dotarsi di assetti adeguati e proporzionati alla propria attività, in conformità con i principi di buona governance e gestione aziendale.[2]
3. Adeguati assetti per PMI
Gli indici di natura non finanziaria rivestono un ruolo fondamentale nella rilevazione tempestiva della crisi d’impresa, spesso riuscendo a segnalare situazioni di difficoltà con maggiore anticipo rispetto agli indicatori puramente finanziari.
Questi indici possono essere classificati in due categorie principali:
Indici legati a fattori esterni e di mercato, che comprendono segnali come la perdita di clienti chiave o fornitori strategici, oppure l’ingresso di nuovi competitor nel mercato di riferimento. Tali eventi possono compromettere la stabilità dell’impresa, riducendone la competitività e le prospettive di crescita.
Indici interni e di governance, che riguardano la perdita di figure professionali strategiche, come dipendenti o amministratori chiave, nonché problemi di conformità normativa. Questi aspetti possono generare inefficienze gestionali e aumentare il rischio di sanzioni o contenziosi.
La rilevanza degli indici non finanziari è ancora più marcata nelle micro e piccole imprese. In questi contesti, infatti, gli indicatori finanziari, considerati isolatamente, tendono a segnalare lo stato di crisi solo quando la situazione è già gravemente compromessa. Ciò accade perché le micro e piccole imprese dispongono di minori dati e parametri di analisi rispetto alle aziende più grandi, limitando la capacità di prevedere in modo efficace eventuali difficoltà. Inoltre, la loro struttura operativa più ridotta le rende meno capaci di assorbire eventi negativi senza subire contraccolpi significativi.
Di conseguenza, un approccio che integri gli indici non finanziari con quelli finanziari consente di ottenere una visione più ampia e tempestiva dello stato di salute dell’impresa, migliorando la capacità di prevenire e gestire situazioni di crisi.[3]
Il D. lgs n. 83/2022 ha rafforzato il ruolo degli adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili, elevando espressamente tale obbligo nell’ambito della normativa sulla crisi d’impresa. La violazione di tale obbligo è immediatamente azionabile nei confronti dell’organo amministrativo, che è tenuto a predisporre strumenti idonei a garantire una tempestiva rilevazione delle difficoltà aziendali.
L’art. 2086 c.c. ribadisce questa esigenza, imponendo a ogni impresa di monitorare attentamente tutti gli elementi informativi che possano segnalare un potenziale stato di crisi. L’analisi deve essere calibrata in funzione delle dimensioni aziendali e comprendere, oltre ai tradizionali indicatori finanziari, anche quelli non finanziari di natura qualitativa, spesso più adatti a cogliere segnali precoci di difficoltà.
L’adozione di assetti adeguati per la rilevazione tempestiva della crisi richiede una struttura organizzativa capace di raccogliere e analizzare informazioni di natura predittiva, indipendentemente dal fatto che queste siano di tipo finanziario o non finanziario. La qualità di tali informazioni è essenziale per individuare eventuali segnali di perdita della continuità aziendale e adottare misure correttive per la salvaguardia dell’impresa.
Un contributo significativo in questo ambito è stato fornito dal documento di ricerca “Informazioni non finanziarie per gli adeguati assetti e per la previsione delle crisi nelle PMI”, pubblicato dall’OIBR (Organismo Italiano di Business Reporting) nell’aprile 2022. Il documento propone un insieme di indicatori chiave non finanziari attraverso l’utilizzo di griglie sintetiche, basate sugli standard internazionali di rendicontazione non finanziaria, noti come GRI (Global Reporting Initiative). Tali standard offrono un quadro di riferimento riconosciuto a livello globale per la misurazione delle performance aziendali in ambiti cruciali come la sostenibilità, la governance e l’impatto sociale.
L’integrazione degli indicatori non finanziari negli adeguati assetti rappresenta un’evoluzione significativa nella gestione della crisi d’impresa, poiché permette di anticipare situazioni critiche prima che emergano segnali evidenti nei bilanci. Questo approccio risulta particolarmente utile per le PMI, spesso caratterizzate da strutture meno complesse e da una minore capacità di assorbire shock economici. Di conseguenza, l’implementazione di strumenti di monitoraggio avanzati, basati su informazioni finanziarie e non finanziarie, diventa essenziale per garantire la continuità aziendale e prevenire situazioni di insolvenza.[4]
4. Incapacità delle imprese a promuovere autonomamente processi di ristrutturazione precoce
L’analisi del mercato della crisi d’impresa evidenzia l’incapacità delle imprese italiane di avviare autonomamente processi di ristrutturazione precoce, compromettendo la loro competitività. Le principali criticità riscontrate sono:
- Sottodimensionamento: l’85% delle imprese ha un fatturato inferiore a 10 milioni di euro.
- Capitalismo familiare: oltre il 60% del capitale di rischio è detenuto da un’unica famiglia.
- Debolezza della governance: scarsa turnazione nei ruoli dirigenziali e managerialità limitata; solo il 24% degli organi amministrativi è indipendente e nell’87% dei casi vi sono legami familiari con la proprietà.
- Scarso utilizzo di controlli esterni: meno del 10% ricorre a società di revisione o internal auditing e meno dell’1% ad organismi di vigilanza ex d.lgs. 231/2001.
- Carente struttura operativa: mancanza di figure specializzate in aree chiave come controllo di gestione, tesoreria e risk management.
- Prevalenza di consuntivazione: limitato uso di strumenti di pianificazione e controllo strategico; raro outsourcing amministrativo, focalizzato su bilanci e adempimenti fiscali.
Questi fattori limitano la capacità delle imprese di affrontare tempestivamente le situazioni di crisi.[5]
5. La cultura della pianificazione finanziaria come rimedio alla tardiva emersione della crisi
La cultura della pianificazione finanziaria è uno strumento essenziale per contrastare la tardiva emersione della crisi d’impresa, promuovendo un approccio preventivo alla gestione aziendale. Tale cultura implica l’adozione di metodologie e strumenti volti a prevedere e monitorare l’andamento economico-finanziario dell’impresa, consentendo di individuare in anticipo segnali di squilibrio o difficoltà.
Una pianificazione finanziaria efficace si basa su una costante analisi dei flussi di cassa prospettici, sulla redazione di piani strategici, budget e reporting periodici, e sull’implementazione di sistemi di controllo interno. Questi elementi permettono di valutare la sostenibilità delle scelte aziendali nel breve, medio e lungo termine, prevenendo situazioni di insolvenza e garantendo una maggiore resilienza.
Inoltre, una gestione finanziaria ben pianificata contribuisce a migliorare la capacità decisionale del management, favorendo interventi tempestivi per correggere eventuali criticità. Questo approccio è particolarmente rilevante in un contesto come quello italiano, dove le imprese, spesso di dimensioni ridotte e a gestione familiare, tendono a trascurare la pianificazione a favore di una gestione più reattiva che preventiva.
Sviluppare e diffondere una cultura della pianificazione finanziaria significa dotare le imprese di strumenti strategici per affrontare con successo i cambiamenti e le incertezze del mercato, riducendo il rischio di crisi e aumentando la capacità di preservare la continuità aziendale.
6. I piani di risanamento
L’attestazione del piano di risanamento rappresenta un elemento centrale nel contesto della gestione della crisi d’impresa, poiché la sua fattibilità consente ai creditori di esprimere il proprio consenso in modo informato. Sebbene la normativa richieda l’attestazione di veridicità dei dati aziendali, questa appare subordinata alla verifica della fattibilità del piano.
Con l’introduzione del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, la portata dell’attestazione si è ampliata, grazie all’indicazione di un contenuto minimo per i piani di risanamento. Questo ha influenzato il lavoro dell’attestatore, chiamato a valutare aspetti quali le cause della crisi, le strategie di intervento, i tempi di attuazione e le iniziative da adottare in caso di scostamento tra obiettivi e risultati effettivi. Tali novità non si discostano dai principi di attestazione già esistenti, ma ne arricchiscono l’ambito applicativo, soprattutto riguardo al monitoraggio e alla gestione degli imprevisti.
La nozione di fattibilità assume diverse declinazioni all’interno del Codice. L’art. 56 menziona espressamente la “fattibilità economica” per i piani di risanamento, mentre l’art. 57 si limita a parlare di “fattibilità” nel caso degli accordi di ristrutturazione. Questa apparente differenza terminologica non ha ripercussioni pratiche rilevanti, essendo giustificata dall’eventuale finalità liquidatoria degli accordi di ristrutturazione, dove il ripristino dell’equilibrio economico-finanziario non è un obiettivo pertinente. Infatti, in una prospettiva liquidatoria, l’importanza della fattibilità economica viene meno, come indicato dall’art. 61, comma 2, lett. b) per gli accordi con efficacia estesa.
Una riflessione ulteriore emerge dal confronto tra la “fattibilità economica” dei piani e la “sostenibilità economica dell’impresa” prevista all’art. 87 per i piani in continuità aziendale. Le due nozioni appaiono strettamente correlate, tanto da suscitare interrogativi sulle possibili implicazioni per l’attestazione dei piani in continuità aziendale e per i diversi strumenti di composizione della crisi.
Per comprendere tali implicazioni, è necessario approfondire i concetti di sostenibilità economica e riequilibrio finanziario, al fine di chiarire se le nuove formulazioni normative impongano un’evoluzione nella valutazione dei piani, in particolare per quelli in continuità aziendale. Tale analisi risulta cruciale per garantire che gli strumenti di gestione della crisi siano effettivamente idonei a rispondere alle esigenze delle imprese e dei loro creditori.
7. Il piano industriale, economico e finanziario
Il piano d’impresa è un documento che, pur non avendo un modello normativo di riferimento, è stato più volte menzionato dal legislatore in vari contesti giuridici. Il codice civile richiama espressamente la nozione di piano in diverse disposizioni relative alla governance societaria e alle operazioni straordinarie, evidenziandone il ruolo fondamentale nella gestione e nella pianificazione strategica delle imprese.
Uno dei principali riferimenti normativi ai piani strategici, industriali e finanziari si trova nell’art. 2381 c.c., che disciplina le competenze del Consiglio di amministrazione. Tale norma prevede che il Consiglio esamini tali piani, evidenziando il loro valore strategico nella gestione aziendale e nella definizione degli obiettivi di sviluppo.
Un ulteriore riferimento normativo si rinviene nell’art. 2409-terdecies, 1 c., lett. f-bis), introdotto con il D. lgs. n. 37 del 2004 e ampliato dal D. lgs. n. 310 dello stesso anno. Questa disposizione, relativa al modello di governance dualistico, attribuisce al Consiglio di Sorveglianza il potere di deliberare sulle operazioni strategiche e sui piani industriali e finanziari, se previsto dallo statuto. Tale previsione evidenzia il ruolo di indirizzo e controllo del Consiglio di Sorveglianza nei confronti del Consiglio di Gestione, assicurando che la pianificazione strategica della società sia coerente con gli obiettivi di sostenibilità e crescita.
Oltre al contesto della governance, il codice civile richiama il piano economico e finanziario anche nelle operazioni di fusione con indebitamento, disciplinate dall’art. 2501-bis c.c.. In particolare, la norma prevede che la relazione richiesta dall’art. 2501-quinquies c.c. debba contenere:
- Le ragioni dell’operazione: ovvero le motivazioni economiche e strategiche che giustificano la fusione con indebitamento.
- Un piano economico e finanziario: che illustri in dettaglio le fonti di finanziamento e gli obiettivi da raggiungere.
Questo documento assume un ruolo centrale nell’operazione di leverage buyout (LBO), poiché fornisce un’analisi approfondita della sostenibilità finanziaria dell’operazione. In particolare, il piano deve dimostrare:
L’evoluzione prevedibile della gestione della società target e le sue prospettive di crescita.
La redditività potenziale dell’impresa acquisita, valutandone la capacità di generare flussi di cassa sufficienti a sostenere il debito contratto per l’acquisizione.
La struttura finanziaria dell’operazione e i relativi costi, verificando la sostenibilità dell’indebitamento assunto.
Il piano d’impresa, dunque, non è solo un documento interno di programmazione, ma rappresenta un elemento essenziale per la governance e le operazioni strategiche delle imprese. Esso è richiesto per garantire una gestione trasparente e responsabile, nonché per valutare la sostenibilità economica e finanziaria di operazioni societarie complesse, come le fusioni con indebitamento. L’attenzione del legislatore a tali strumenti conferma la loro importanza nel garantire il buon governo delle imprese e la tutela degli interessi degli stakeholder.[6]
8. Diagnosi delle cause della crisi
Dopo un’attenta anamnesi aziendale e l’analisi dei dati storici, si giunge alla diagnosi delle cause della crisi, fase essenziale per la costruzione di un piano di risanamento efficace. Senza questa analisi, non è possibile identificare le cause primarie della crisi e, di conseguenza, intervenire in modo mirato per rimuoverle e tentare un recupero aziendale.
Le cause della crisi sono generalmente molteplici e possono essere di natura endogena o esogena. È quindi necessario distinguere i fattori macroeconomici e settoriali, sui quali l’impresa non ha controllo diretto, da quelli aziendali, che invece possono essere affrontati e corretti.
Tra i fattori macroeconomici che incidono negativamente sulle imprese vi sono:
- l’aumento del costo delle materie prime,
- le modifiche normative che alterano le condizioni di mercato (es. liberalizzazioni, nuove licenze),
- le difficoltà di accesso al credito dovute a crisi finanziarie,
- il blocco degli scambi commerciali (ad esempio, a causa di embarghi),
- i salti tecnologici che rendono obsolete determinate produzioni,
- la riduzione strutturale della domanda e l’intensificazione della concorrenza.
I fattori aziendali, invece, riguardano problematiche interne che possono essere affrontate con interventi diretti. Alcuni esempi sono:
- errori negli investimenti in capacità produttiva (sia per eccesso che per difetto),
- interruzione delle forniture strategiche,
- politiche di pricing inadeguate,
- eccessiva incidenza dei costi fissi,
- indebitamento eccessivo,
- inefficiente gestione del capitale circolante (ritardi negli incassi, sovrastoccaggio),
- eccessiva dipendenza da pochi clienti,
- tensioni sociali all’interno dell’azienda,
- perdita di risorse umane chiave.
Identificare la natura della crisi è cruciale per stabilire le giuste strategie di risanamento. La crisi può avere una causa scatenante finanziaria, come il sovraindebitamento, il disallineamento tra debiti a breve e lungo termine o il deterioramento dei rapporti con i fornitori per ritardi nei pagamenti. Più frequentemente, però, la crisi ha radici industriali, come un eccesso di capacità produttiva, bassi margini di profitto, carenze organizzative e inefficienze operative o commerciali.
Accanto alla causa principale, possono esistere concause legate alla tipologia del business, alla sua dinamica operativa e alla reputazione aziendale. Tra queste ultime rientrano la crisi del marchio, l’inadeguatezza del management o l’appartenenza a un gruppo in difficoltà.
La gravità della crisi dipende dalla complessità del percorso di recupero in termini di risorse finanziarie e manageriali richieste, dai vincoli esterni e dai rischi associati al processo di risanamento. Più elevato è il grado di difficoltà nel ripristinare l’efficienza economica, maggiore sarà l’impegno necessario per riportare l’azienda in equilibrio.[7]
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Il corso garantisce l’acquisizione del requisito formativo, con obbligo di effettiva frequenza di 40 ore, per l’iscrizione all’Albo dei Curatori, Gestori, Liquidatori e Commissari giudiziali, di cui agli artt. 356-358 CCII.
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Note
[1] Manente D., (2024), Lineamenti del diritto della crisi d’impresa, Cedam
[2] Tribunale di Cagliari, (2022), Sez. impr., 19 gennaio 2022 Pres. Tamponi – Greco – Rel. Caschili
[3] Fondazione Odcec, luglio 2023, Adeguati assetti per PMI
[4] Peta. M., (2022), Indicatori non finanziari (NFI e KPI) e la contabilità generale, Maggioli
[5] Zappalà M., (2024), Diritto della crisi d’impresa e soluzioni di distressed merger & acquisition, Università degli Studi di Padova
[6] Zappalà M., (2024), Diritto della crisi d’impresa e soluzioni di distressed merger & acquisition, Università degli Studi di Padova
[7] Zappalà M., (2024), Diritto della crisi d’impresa e soluzioni di distressed merger & acquisition, Università degli Studi di Padova
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