Il reato omissivo
Tradizionalmente non era concepibile la figura del reato omissivo poiché non si richiedeva ai consociati di attivarsi in favore degli interessi altrui.
Successivamente, con la nascita degli ordinamenti moderni fondati su basi solidaristiche, il legislatore ha avvertito l’esigenza di imporre l’obbligo di adottare determinati comportamenti doverosi.
La ratio trova il fondamento nell’art.2 Cost. che richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà.
Tale esigenza è stata posta a tutela dei beni altrui e può derivare dall’incapacità del titolare del bene ovvero direttamente dall’ordinamento che per evitare determinate situazioni pericolose prescrive l’adozione di specifici comportamenti.
La dottrina ha riconosciuto la natura normativa dell’omissione poiché consiste nel mancato compimento dell’azione che il soggetto aveva l’obbligo giuridico di realizzare. In tale prospettiva, è il legislatore che interviene ad equiparare il non impedire l’evento al cagionarlo con l’art 40 comma 2, c.p.
Nei reati di omissione la condotta, quindi, s’identifica in un non fare e, più in particolare, nell’astensione dal compiere un’azione giuridicamente doverosa.
All’interno della categoria del reato omissivo si distingue il reato omissivo proprio da quello improprio.
I primi sono reati di pura condotta in cui il legislatore attribuisce rilevanza penale a specifiche categorie mentre i secondi, reati di evento, consistono nel mancato impedimento di un evento che si aveva l’obbligo giuridico di impedire e trovano fondamento nell’art 40, co. 2, c.p.
La disposizione richiamata in combinato disposto con la fattispecie di parte speciale determina una nuova figura di reato, autonoma, fondata sul mancato impedimento dell’evento tipico. I requisiti strutturali sono la situazione tipica, l’obbligo giuridico di impedire, la condotta omissiva di mancato impedimento, l’evento non impeditivo e il nesso causale tra impedimento ed evento. In tema di causalità omissiva, rileva la regola della addizione mentale poiché si sostituisce all’omissione l’azione impeditiva. In particolare, l’accertamento del nesso omissione- evento poggia su un giudizio ipotetico poiché suppone come realizzata una condotta omessa. Il giudizio ipotetico va orientato attraverso il modello della doppia sussunzione secondo cui, individuata la causa, si verifica se l’azione omessa avrebbe impedito l’evento.
La posizione di garanzia
Per equiparare il non impedire al cagionare occorre che sussista un obbligo giuridico di impedire quell’evento. Tuttavia, l’art. 40, 2co., c.p. non individua quando la violazione dell’obbligo di garanzia determini una responsabilità penale in capo all’agente.
A tal proposito, sono emerse tre concezioni : formale, sostanziale e mista.
Secondo la prima teoria, la fonte dell’obbligo giuridico di agire deve trovare fondamento nella legge, nel contratto, in una precedente azione pericolosa o nella consuetudine.
A tale tesi si contrappone la teoria sostanziale secondo cui l’obbligo di impedimento va ricercato nella posizione fattuale di garanzia del bene assunto in concreto da specifici soggetti per l’incapacità di adeguata protezione da parte del titolare del bene.
Una diversa concezione tenta, invece, la sintesi delle teorie descritte selezionando l’obbligo giuridico di agire sulla duplice previsione della fonte formale e sostanziale. In tale prospettiva, il fondamento della posizione di garanzia è la tutela di determinati beni che non possono essere adeguatamente protetti dal titolare. Cosi inteso, l’obbligo di garanzia s’identifica nei poteri giuridici riconosciuti al garante per impedire eventi offensivi di beni altrui e si distingue dall’obbligo di sorveglianza i cui poteri sono di mera vigilanza.
Il soggetto svolge volontariamente un compito di protezione di determinati interessi o di controllo di una fonte di pericolo poiché l’originario titolare non è in grado di provvedervi autonomamente. In tale prospettiva, tra le fonti dell’obbligo di garanzia si ricomprende l’iniziativa volontaria assunta unilateralmente in assenza di uno specifico obbligo giuridico.
Una distinzione degli obblighi di garanzia va effettuata in base allo scopo: vi sono infatti obblighi di protezione e obblighi di controllo.
I primi tutelano determinati beni contro tutte le fonti di pericolo che possono minacciarne l’integrità; presupposto di tale obbligo è il legame tra garante e titolare del bene in virtù del quale viene affidato il compito di tutela.
I secondi, invece, neutralizzano determinate fonti di pericolo per proteggere tutti i beni ad esse esposti; il fondamento di tale obbligo è il legame giuridico tra garante e fonte di pericolo in virtù del quale tali fonti ricadono sotto i poteri giuridici di signoria del garante.
Gli obblighi di garanzia, inoltre, si distinguono in posizioni originarie e posizioni derivate. Le prime nascono in capo a determinati soggetti per volontà dell’ordinamento in considerazione dello specifico ruolo o della specifica posizione assunta.
Le seconde, invece, nascono in capo a determinati soggetti per volontà del titolare del bene che, per la sua incapacità di proteggere il bene, attribuisce la delega delle funzioni attraverso un contratto.
Ai fini della nascita di un obbligo di garanzia di fonte contrattuale occorre che vi sia la presa in carico da garante del bene da proteggere con la conseguente nascita di una situazione di affidamento da parte del titolare.
La responsabilità dello psichiatra
Una particolare questione in tema di posizione di garanzia si è posta in ordine alla figura dello psichiatra che ha l’obbligo di protezione e di controllo nei confronti del paziente.
Invero, il medico è titolare ex art 40 , co. 2, c.p. dell’obbligo giuridico di impedire atti autolesivi del paziente e deve quindi prevenire eventuali pericoli commessi dal paziente a danno di se stesso o verso altri.
Al fine di verificare se sussiste la responsabilità dello psichiatra occorre fare riferimento al rischio concreto di condotte lesive, anche suicidarie, che il paziente può commettere e alle specifiche cautele che il medico può apportare anche se il paziente non è sottoposto a ricovero coatto.
La Suprema Corte ha, invero, stabilito che affinché operi la posizione di garanzia da parte dello psichiatra non è necessario che il paziente sia ricoverato.
Ciò in quanto lo psichiatra ha l’obbligo di curare il paziente ma anche l’obbligo di impedire gli atti lesivi perché altro non sono che una manifestazione della malattia psichiatrica.
Autorevole dottrina, acclarando il principio descritto ritiene che rientri nel dovere del medico psichiatra, il massimo impegno per evitare quelle condotte pericolose per l’incolumità propria o altrui, ancor di più nelle fasi più acute della malattia e qualora si siano verificati altresì eventi pregressi che facciano temere come concretamente probabile e possibile il ripetersi delle medesime condotte lesive, anche al di fuori del regime di T.S.O.
Diversamente, non sarebbe responsabile di omicidio colposo ai danni di un paziente affetto da turbe mentali il medico psichiatra che, oltre ad essersi attenuto al dovere oggettivo di diligenza ricavato dalla regola cautelare, non poteva ravvisarsi un concreto ed imminente rischio suicidario alla luce dei dati clinici e dei parametri individuabili nella lettura scientifica.
A ben vedere, occorre porre l’attenzione sul giudizio causale esposto dalla Suprema Corte.
Nella nota sentenza “Franzese”, reputando non decisivo il coefficiente statistico della legge scientifica di copertura, s’introducono come parametri del giudizio causale, le massime d’esperienza.
In particolare, il giudice deve verificare il caso concreto, sulla base di circostanze del fatto e dell’evidenza disponibile. In tal caso, esclusa l’interferenza di fattori alternativi, risulta giustificata la conclusione che la condotta è stata condizione necessaria dell’evento lesivo con alto o elevato grado di credibilità razionale o probabilità logica.
Qualora però sussista un ragionevole dubbio, si prospetta un esito assolutorio.
Sarà necessario da parte del giudice dunque un giudizio bifasico strutturato in una prima valutazione ex ante del coefficiente scientifico in cui si dovrà verificare l’adeguatezza delle pratiche terapeutiche poste in essere dal medico a tutela del paziente e, in particolare, se queste siano in grado di governare il rischio nella gestione del paziente. Tale esito dovrà poi essere corroborato da una valutazione di alta probabilità logica, che si risolve nella verifica aggiuntiva della credibilità della legge scientifica nel caso concreto.
Alla luce di quanto esposto il medico sarà responsabile ogni qualvolta violi la regola cautelare che avrebbe impedito l’evento lesivo o letale.
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