Crowdfunding: tipologie, normativa e opportunità

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Il Crowdfunding, nella sua impostazione originaria, rappresenta un metodo  innovativo di finanziamento, generalmente utilizzato per nuove iniziative imprenditoriali, culturali, sociali o appartenenti al campo del no-profit. Negli ultimi anni gli importi movimentati hanno raggiunto livelli estremamente significativi ma allo stesso tempo permangono numerosi aspetti di incertezza o di scarsa conoscenza legati alle implicazioni pratiche, alle azioni operative, alla modalità in cui le imprese si approvvigiono di risorse finanziarie, alle dinamiche a lungo termine successive alla raccolta dei fondi.

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Definizione di crowdfunding

Tale fenomeno è descrivibile come il processo con cui più persone (folla o crowd) conferiscono somme di denaro (funding) attraverso un portale internet, senza quindi l’ausilio dei consueti intermediari, al fine di finanziare un progetto imprenditoriale o altre iniziative in una moltitudine di settori (immobiliare, artistico, culturale, scientifico, altruistico), ricevendo in cambio, un utile sperato o, comunque, un riconoscimento.

Gli elementi che differenziano tale fenomeno dai canali tradizionali (es.: Venture Capital e Business Angels) possono essere individuati da un lato nella prevalente partecipazione di investitori non professionali e, dall’altro, nel mezzo scelto, ossia il ricorso a piattaforme on-line in cui si verifica l’incontro tra la domanda e l’offerta. Le operazioni si svolgono, dunque, interamente on-line: l’ideatore pubblica sul sito web della piattaforma (infra) il suo progetto, segnalando la somma che ritiene necessaria per la relativa realizzazione e l’eventuale remunerazione, peraltro non necessariamente  di tipo pecuniario, che intende riconoscere ai sottoscrittori.

Il crowdfunding è un fenomeno relativamente recente che vede la sua nascita verso la fine degli anni 2000, grazie alla comparsa di piattaforme informatiche in cui gli investitori possono visualizzare, in un unico luogo di incontro, diverse iniziative finanziabili.

Tipologie di crowdfunding

Lo strumento in questione può essere applicato sulla base di differenti approcci, che possono essere ricondotti alle seguenti tipologie di crowdfunding:

  • Equity Based: gli investitori, in cambio del proprio apporto di risorse finanziarie, ricevono una quota nel capitale dell’impresa. Da ultimo, attraverso l’equity-based crowdfunding, si consente, quindi, ai crowdfunders di entrare a far parte della compagine societaria degli emittenti, effettuando i relativi conferimenti (in caso di un aumento di capitale a servizio) o acquistando partecipazioni già esistenti (ipotesi, quest’ultima, decisamente più rara nella prassi). L’equity crowdfunding consente attraverso portali online specificamente autorizzati da Consob, di acquistare azioni o quote di società di capitali in un contesto regolato e controllato.
  • Donation Based: i sostenitori, in questa circostanza effettuano donazioni in maniera liberale, per portare avanti una causa considerata meritevole, senza ricevere una ricompensa o un bene di equivalente  valore monetario.

Tale forma di raccolta è, quindi,  principalmente impiegata a scopi filantropici;

a fronte delle risorse versate tramite la piattaforma non è prevista alcuna forma di remunerazione, potendosi quindi ricondurre – sul piano giuridico – ad un contratto di donazione. Il riconoscimento ricercato dall’investitore è quindi prettamente morale e simbolico. Non di rado, tramite tali piattaforme, sono proposte più opzioni per effettuare beneficienza, mettendo a confronto – o comunque offrendo più possibilità di scelta – diverse cause sociali da sostenere.

  • Lending Based: gli investitori sono ripagati del loro investimento nel tempo, con un margine di redditività rappresentato dagli interessi concordati in fase di apporto di risorse. Si tratta di un’alternativa al credito bancario con la differenza che, invece di prendere in prestito da un’unica fonte, le imprese possono ottenere risorse da decine, a volte centinaia di persone disposte a prestare denaro. In molti casi sono gli stessi investitori a lanciare offerte, segnalando il tasso d’interesse al quale sarebbero disposti a concedere un prestito.

Tale tipologia di  crowdfunding può prevedere sia una forma di mediazione effettuata dal gestore del sito internet con potenziali finanziatori e prenditori, sia una in cui lo stesso gestore svolga attività di intermediazione bancaria, provvedendo cioè ad impiegare le somme raccolte tra i prenditori, valutandone il rischio e la remunerazione. In entrambi i casi i margini economici delle operazioni derivano da congrue richieste di interessi a fronte delle risorse prestate.

Quantomeno in Italia, il modello del lending-based crowdfunding è principalmente utilizzato per operazioni di “micro-finanza”, ovvero di servizi finanziari offerti a clientela generalmente con basso grado di solvibilità (e per questo con tassi di rendimento spesso più elevati rispetto alla media degli altri finanziamenti bancari). Tali piattaforme – inoltre ed ai sensi del nuovo art. 100-ter, comma 1-ter, t.u.f. 13 – possono altresì proporre obbligazioni o titoli di debito, sebbene in modo riservato e nei limiti stabiliti dal codice civile, agli investitori professionali nonché a particolari categorie degli stessi eventualmente individuate dalla Consob.

  • Reward Based: si tratta di una modalità di sostegno connessa a una specifica ricompensa, che nella maggior parte dei casi è di tipo non finanziario, ma può essere rappresentata da beni o servizi di cui usufruire in una fase successiva.

Il reward-based crowdfunding rappresenta il modello più conosciuto ed utilizzato. Si evidenza, infatti, come tale schema – nel caso in cui si volessero utilizzare piattaforme internet – fosse l’unico consentito negli Stati Uniti d’America prima dell’emanazione, nell’anno 2012, del Jumpstart Our Business Startups, disposizione con il quale fu introdotto e reso legale quello dell’equity-based crowdfunding.

  • Pre-Purchase Model: si tratta di un’evoluzione del modello renard-based e in un certo senso rappresenta un momento di transizione verso schemi partecipativi, particolarmente utilizzato da società di nuova costituzione. Tale tipologia di crowdfuning prevede che, al finanziatore, oltre a condizioni di vantaggio connesse alla fruizione dei servizi erogati dalla società o all’acquisto dei suoi prodotti, potrà essere attribuito un eventuale diritto di opzione all’acquisto di quote o azioni in un momento successivo.

Attraverso la piattaforma online, a tali investitori è generalmente illustrato il genere di attività imprenditoriale che si intende intraprendere e sono fornite altre informazioni rilevanti (societarie, patrimoniali, finanziarie) che consentano di adottare una scelta d’investimento consapevole.

Normativa di riferimento

L’Italia è il primo Paese in Europa ad essersi dotato di una normativa specifica e organica sul crowdfundig, purtuttavia dedicata solo alla negoziazione di partecipazioni sociali (equity-based). Si tratta di un modello complesso ed introdotto per la prima volta nel 2012 tramite il c.d. “Decreto crescita 2.0”, recante

Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese” e reso successivamente operativo per mezzo di regolamenti emanati dalla Consob.

La disciplina dell’equity crowdfunding, introdotta in Italia nel 2012, ha subìto negli anni diverse modifiche, variandone caratteristiche e peculiarità in modo significativo. L’obiettivo è quello di sviluppare anche nel nostro Paese un sistema normativo in grado di favorire la capitalizzazione e il finanziamento delle piccole-medie imprese (PMI) anche da parte delle entità non bancarie. Il sistema bancario italiano, oggi,  incontra sempre più difficoltà ad erogare prestiti alle PMI, sia per la presenza di crediti in sofferenza ormai non più sostenibili nei bilanci delle stesse banche, sia per regole più stringenti in ordine ai requisiti patrimoniali richiesti, che di fatto sono una conseguenza del primo aspetto, tra cui proprio quelle relative all’accordo meglio conosciuto come Basilea III.

È quindi naturale conseguenza che legislatore, su impulso del sistema finanziario, aspiri a rendere maggiormente funzionale il mercato del credito e lo sviluppo di quello dei capitali, in particolare, e come si è richiamato, a favore delle PMI.  La disciplina in materia di equity crowdfunding, presente sia nel Testo Unico della Finanza che, soprattutto, nel reg. Consob 18592/2013, rappresenta senza dubbio uno degli strumenti idonei a fronteggiare tale aspetto problematico.  Da questo punto di vista, infatti, la disciplina richiamata intende l’equity crowdfunding quale forma di finanziamento alternativo, in particolare tramite apporto di capitali a beneficio di imprese in fase di start-up o comunque caratterizzate da elevato rischio operativo, imprese da considerarsi come difficilmente finanziabili dai tradizionali canali bancari. In tale contesto, gli investitori interessati a tali micro investimenti saranno rappresentati perlopiù da soggetti non “attirati” dalla gestione o comunque ad una certa attività operativa presso la società emittente, prediligendo quindi l’assegnazione di categorie di quote o azioni privilegiate sotto il profilo patrimoniale e, generalmente, rinunciando a taluni diritti amministrativi.

Il D. L. n. 179 del 18 ottobre 2012 (“Decreto Crescita 2.0”) apriva il ricorso al finanziamento tramite crowdfunding solo alle imprese con la qualifica di start-up innovative.

Successivamente, il D. L. n. 3 del 24 gennaio 2015 («Decreto Investment Impact») ha consentito l’accesso al crowdfunding anche alle aziende qualificate come PMI innovative, oltre a dare la possibilità anche a organismi di investimento collettivo del risparmio (OICR) e alle società che investono prevalentemente in start-up/PMI innovative di collocare online – tramite, appunto, l’equity crowdfunding – i propri capitali.

Più di recente, la Legge di Bilancio 2017 del Senato, all’art. 1, comma 70, ha concesso la quotazione tramite portali di crowdfunding anche alle PMI, non innovative, ma costituite nella forma di società per azioni (S.p.A.).  Infine,  il Decreto Legge n. 50 del 24 aprile 2017 («Disposizioni urgenti in materia finanziaria, iniziative a favore degli enti territoriali, ulteriori interventi per le zone colpite da eventi sismici e misure per lo sviluppo») ha, definitivamente, esteso la possibilità di ricorrere all’equity crowdfunding a tutte le PMI. Tale novità è stata introdotta, in particolar modo, dal primo comma dall’art. 57 sull’Attrazione per gli investimenti del suddetto Decreto. L’effettiva entrata in vigore del provvedimento è avvenuta a gennaio 2018 con l’introduzione del nuovo Regolamento Consob sull’equity crowdfunding.
Questo nuovo indirizzo scelto dal Governo dovrebbe, quindi, allargare notevolmente la platea di società autorizzate a finanziarsi tramite lo strumento dell’equity crowdfunding dal momento che buona parte del tessuto imprenditoriale italiano è costituito, per l’appunto, da piccole e medie imprese nella forma di S.r.l..
Ulteriori aggiornamenti sono altresì arrivati il 18 ottobre 2019, con alcune importanti revisioni al Regolamento dell’equity crowdfunding. Fra le novità più rilevanti vanno ricordate: la possibilità di emissione dei mini-bond sulle piattaforme di crowdfunding da parte delle PMI; la possibilità di istituire, sul proprio sito per i portali equity-based, bacheche online per la «compravendita di strumenti finanziari, che siano stati oggetto di offerte concluse con successo nell’ambito di una campagna di crowdfunding».
L’equity crowdfunding presenta alcune analogie con un’Offerta Pubblica Iniziale – un’IPO (Initial Pubblic Offernig) – e in tal senso, l’accesso di un’impresa ai finanziamenti tramite una campagna di crowdfunding potrebbe, in un secondo momento, spianare la strada per ricevere capitali anche su mercati regolamentati di maggiore importanza – come, su Borsa Italiana, sul Mercato Telematico Azionario o sull’Alternative Investment Market Italia. Nella pratica l’equity crowdfunding si configura come un aumento di capitale a pagamento, attraverso un’offerta per la raccolta fondi online. Esiste quindi un potenziale rischio di ‘diluizione’, in termini percentuali, nel caso in cui la società in cui si è investito lanci altre campagne di equity crowdfunding. Ad oggi, inoltre, le norme in vigore prevedono il ricorso al crowdfunding solo per finanziamenti in capitale proprio per le aziende, mentre resta esclusa la possibilità di emissione di titoli di debito o titoli ibridi.

Bisogna sottolineare come, nell’ordinamento italiano, rivestono particolare rilevanza l’art. 50-quinquies e l’art. 100-ter del Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (Testo Unico sulla Finanza, TUF), oltreché il Regolamento Consob n. 18592 del 2013 (con i suoi aggiornamenti). Va però osservato che sebbene i nuovi articoli del TUF trattino quello che nella sostanza e nell’uso comune viene definito, appunto, come ‘equity crowdfunding’, tuttavia il legislatore italiano non è andato a definirlo all’interno di alcun provvedimento, limitandosi, invece, a disciplinarlo unicamente come si può vedere aprendo le box sottostanti. Giova, poi, sottolineare come l’investimento nelle società tramite equity crowdfunding comporti alcune particolarità legate all’applicazione dell’IVA ovvero alle implicazioni legali e fiscali, come – ad esempio – la necessità di redigere una delibera di aumento di capitale sociale, la condivisione o meno da parte dei fondatori di determinati diritti con i propri investitori o, ancora, l’esistenza di eventuali esenzioni e sgravi fiscali (collegati ai finanziamenti a start-up innovative e/o PMI innovative).

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Giovanni Pasquariello

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