Con la sentenza n. 302 depositata il 1° febbraio 2018, il Tribunale di Taranto, Seconda Sezione Civile (Dott. Claudio Casarano), ha rigettato la domanda di due clienti di una banca con la quale si chiedeva l’accertamento dell’applicazione, nel contratto di mutuo stipulato tra le parti, di interessi usurari ed anatocistici con conseguente gratuità del rapporto.
La decisione analizza tutti gli argomenti che sono oggetto di contestazione in tutti quei giudizi che riguardano le “presunte” anomalie dei contratti di mutuo.
I fatti
- G. e M. M. affermavano di aver stipulato un contratto di mutuo, ex art. 38 e seg. del D. Lgs. 385/1993, con la Banca con cui veniva erogata una somma pari ad euro 157.050,00, mediante accredito su conto speciale infruttifero, allo scopo aperto dalla medesima banca mutuante.
Il periodo di ammortamento era di venticinque anni ed il tasso di interesse dovuto era pari al 4,40% annuo.
La banca imponeva a carico degli attori l’obbligo di stipulare una polizza assicurativa contro i danni da incendio per tutta la durata del contratto. Il mutuo veniva assistito da garanzia ipotecaria.
Sulla scorta della perizia di parte allegata, assumevano gli attori, tenuto conto delle clausole previste nel contratto e degli allegati documenti, che doveva intendersi superato il tasso – soglia stabilito dalla legge anti-usura, sia perchè gli interessi di mora venivano calcolati anche sulla quota interessi della rata di mutuo non pagata, sia perchè vi era stata da parte della banca l’applicazione del c.d. ammortamento alla francese, che pure comportava una forma nascosta di anatocismo vietato ex art. 1283 c.c..
Da tanto secondo gli attori conseguiva che, ai sensi dell’art. 1815, II co., c.c., il mutuo si era trasformato da oneroso a gratuito, previa parziale compensazione della somma indebitamente versata a titolo di interessi sulla sorte capitale dovuta e che, pertanto, era necessario rideterminare il saldo dovuto, con esclusione di ogni forma di interessi, posto che il contratto stava avendo regolare esecuzione.
Le banche, la seconda nella sua veste di cessionaria del contratto di mutuo, costituendosi contestavano in primo luogo che dalla lettera del contratto potesse desumersi l’applicazione di una forma di anatocismo, avuto riguardo al computo degli interessi di mora. Contestavano poi che fosse lecita la sommatoria dell’interesse corrispettivo con quello moratorio o che l’usurarietà di quest’ultimo implicasse necessariamente la sanzione prevista dall’art. 1815, II co., c.c.. Escludeva, infine, la difesa delle banche che l’ammortamento alla francese comportasse una forma di anatocismo.
L’ESCLUSIONE DELLA SOMMATORIA TRA INTERESSE CORRISPETTIVO E MORATORIO
Secondo il Tribunale di Taranto per la verifica dell’usura tra gli addendi che contribuiscono a formare il costo complessivo del prestito, ossia il T.E.G., non entra a far parte il tasso di mora.
Ed infatti, l’esigenza di omogeneità del tasso effettivo globale in concreto ravvisabile da un lato, ed il tasso soglia impone che non sia autorizzata la sommatoria delle due forme di interessi indicata dalla difesa attorea ed essendo due istituti di alternativa applicazione, “in ogni caso il loro cumulo per la verifica del superamento del tasso soglia sarebbe un ossimoro sia sul piano logico sia sul piano giuridico”.
E continua il Giudice sostenendo che “ad essere altrimenti infatti è presumibile che per tutti i mutui o finanziamenti che si danno sul mercato del credito sarebbe superato il tasso soglia, proprio perché si sommano due addendi disomogenei: dire che siffatta eventualità arrecherebbe un vulnus alla certezza dei traffici commerciali, sarebbe un eufemismo”.
Per il Tribunale le ordinanze della Suprema Corte che “sembrano sposare la teoria del cumulo in parola”, in effetti fuorvierebbero la portata del principio da esse stesse propugnato, in quanto, ciò che effettivamente i giudici di legittimità intendono esprimere è la seguente direttiva per i giudici di merito: “non si può negare il diritto alla prova, massime una CTU, affermando che non si dà la sommatoria del tasso corrispettivo con il moratorio. Sarebbe cioè una sentenza censurabile perché dalla motivazione insufficiente”.
MA IL TASSO DI MORA PUO’ ESSERE ASSOGGETTATO ALLA DISCIPLINA DELL’USURA EX ART. 644 C.P. E ALLA SANZIONE EX ART. 1815, SECONDO COMMA, C.C.?
Il Tribunale esclude che la clausola contrattuale contestata contempli una forma di anatocismo, come sostenuto invece dalla difesa attorea. E se dalla lettura della prima parte dell’art. 6 del contratto di mutuo de quo, che recita: “Ogni somma dovuta per qualsiasi titolo in dipendenza del presente contratto e non pagata, produrrà di pieno diritto dal giorno della scadenza, l’interesse di mora…” sembrerebbe a prima vista fondata la tesi attrice, dalla lettura del successivo periodo si perviene ad un esito opposto: “Su questi interessi non è consentita la capitalizzazione periodica. ….”.
Secondo gli attori, invece, muovendo dall’interpretazione sistematica del contratto e dei documenti allegati, oltre che del comportamento successivo tenuto dalla banca, il tasso di mora pattuito sarebbe superiore al tasso soglia e tanto implica la trasformazione del mutuo da oneroso a gratuito ex art. 1815, II co., c.c..
MA LA NULLITA’ DI UNA CLAUSOLA SI ESTENDE A TUTTO IL CONTRATTO?
L’art. 1815, II co., c.c. contempla i tassi corrispettivi, mentre per il tasso di mora la disciplina va individuata nelle norme generali che presuppongono l’inadempimento o il ritardo nell’adempimento e applicare la suddetta norma al di fuori del caso contemplato, trattandosi di norma eccezionale, significherebbe violare il divieto di applicazione analogica ex art. 14 delle Preleggi.
Si sottolinea, inoltre, che proprio seguendo la via dell’interpretazione sistematica, si rinviene nell’ordinamento una norma speciale che sembra regolare casi in cui può essere fatta rientrare in via estensiva la mora, ossia la clausola penale ex art. 1384 c.c., in quanto secondo il giudice gli interessi moratori sono una forma di liquidazione preventiva e forfetizzata dei danni da ritardo nell’adempimento e da tanto scaturirebbe la conseguenza la riduzione anche d’ufficio della penale eccessiva, magari nei limiti del tasso – soglia.
Nel caso de quo il contratto sta avendo regolare esecuzione e quindi non è necessario operare siffatta riduzione.
E L’INTERESSE DI MORA PUO’ ESSERE COMPUTATO SULLE RATE SCADUTE?
In base a quanto disposto dal T.U.B. non è più possibile che l’interesse di mora sia computato sulle rate scadute, in quanto si violerebbe quanto previsto dall’art. 1283 c.c., secondo quanto statuito in materia dalla Suprema Corte nella decisione n. 11400 del 2014 che sostiene che “non si è mai dubitato, pertanto, che, il mancato pagamento di una rata di mutuo fondiario comportasse l’obbligo di corrispondere gli interessi di mora sull’intero suo ammontare, inclusa la parte che rappresentava gli interessi di ammortamento (cfr., da ultimo, fra molte, Cass. nn. 21885/013, 3656/013, 9695/011)” e che “con l’entrata in vigore del t.u.b., la struttura del credito fondiario ha perso quelle peculiarità nelle quali risiedevano le ragioni della sua sottrazione al divieto di cui all’art. 1283 c.c.“.
L’AMMORTAMENTO ALLA FRANCESE E’ UN FENOMENO ANATOCISTICO VIETATO EX ART. 1283 C.C.?
Per il c.d. ammortamento alla francese la circostanza che, a fronte della erogazione a prestito di una somma in linea capitale, sia fin dall’inizio contrattualmente previsto l’obbligo del mutuatario di restituire il capitale ed interessi preventivamente conglobati e suddivisi in rate a scadenza costante, implica anatocismo quando la quota interessi, pur se componente costante della rata, non sia stata computata a propria volta sugli interessi pregressi. Ad esempio un giudice di merito ha avuto occasione di affermare correttamente che “In tema di contratto di mutuo, il piano di ammortamento c.d. “alla francese”, che prevede il pagamento di rate periodiche composte da una quota di capitale ed una quota di interessi (calcolata sul capitale residuo), di guisa che, nel progredire dell’ammortamento la quota capitale cresce progressivamente, mentre quella per interessi è via via di entità sempre inferiore, non determina, di per sé, alcun fenomeno anatocistico, in quanto il mutuatario paga interessi solo sulla porzione di rata scaduta relativa al capitale – e non anche sugli interessi scaduti”. Risulta infatti che per il credito complessivo concesso è stata utilizzata una formula matematica che comprende il capitale dato in prestito, il tasso di interesse fissato per il periodo di pagamento, il numero dei periodi di pagamento; quindi essa individua quella rata costante che consente il rimborso del prestito al tasso stabilito e con quei numeri di pagamenti costanti. Per insinuare allora il dubbio che sia stato applicato l’interesse composto, avrebbe dovuto emergere dalla perizia di parte che gli interessi di ciascuna rata fossero stati commisurati anche agli interessi delle rate pregresse, contrariamente a quanto generalmente contempla l’ammortamento alla francese. Solo in presenza di un siffatto indizio si sarebbe ammessa la CTU, tesa ad accertare l’anatocismo e la sua eliminazione ex art. 1283 c.c.. Sul punto una recente pronunzia di merito osservava: “…In definitiva, se è vero che gli interessi pagati dal mutuatario risultano infine di entità maggiore – in quanto nel mutuo “alla francese” il rimborso del capitale si realizza più lentamente – tuttavia il medesimo gode pur sempre del vantaggio di pagare rate sempre uguali, ma soprattutto evita il versamento delle rate più onerose all’inizio del finanziamento (quando maggiore è il capitale su cui “rientrare” e più alto l’importo degli interessi, come appunto avviene nel mutuo con ammortamento “all’italiana”): pertanto, va ribadito che l’effetto anatocistico non discende di per sé dalla tipologia del piano di ammortamento concordato nel nostro caso (previsto secondo lo schema “alla francese”), in quanto si tratta di una situazione ove gli interessi non vengono comunque “capitalizzati”, ma sono destinati ad essere pagati come quota per interessi già compresa nella rata di rimborso del mutuo, caratterizzata da un pagamento periodico per una somma costante – che include la totalità degli “accessori” – sicché la quota/capitale rimborsata risulta quale differenza rispetto alla quota/interessi, entrambe ab origine predeterminate; il metodo di calcolo “alla francese” si caratterizza dunque per il progressivo decrescere della quota dovuta per interessi – cui sono prioritariamente imputati i periodici pagamenti – e per il graduale accrescimento della quota capitale, donde la mancanza di ogni ipotizzabile effetto anatocistico (in mancanza di interessi scaduti destinati a “passare a capitale”) e la sostanziale “liceità” della sua parallela conseguenza, costituita da una più lenta riduzione del debito residuo…”.
L’indicazione corretta del TAEG o ISC
Il Tribunale di Taranto esclude che sotto il profilo della trasparenza, va esclusoche il tasso annuale effettivo globale ex art. 117, co. IV, T.U.B., non sia stato veritiero, poiché nell’apposito paragrafo del contratto di mutuo veniva infatti individuato nella misura del 4,93%, avuto riguardo, fra l’altro, al tasso variabile del momento, alle spese di istruttoria e di perizia.
Fra l’altro quando il contratto è stato stipulato il costo per l’assicurazione non veniva incluso tra i costi da indicare neanche dalla Banca d’Italia, poiché è solo a partire dal 2010 che se ne tiene conto nella determinazione del TEGM, così rispettando la c.d. omogeneità con il TEG. Gli altri costi previsti nel contratto de quo non rientrano poi in quelli per i quali fosse certa, al momento della stipula, la loro inclusione nel TEG (ad es. i costi per lo svincolo dell’ipoteca, per l’eventuale cancellazione ipotecaria, per le certificazioni fiscali a richiesta del cliente, per il rilascio di piani di ammortamento su richiesta del cliente, le somme dovute per l’eventuale estinzione anticipata del mutuo).
La tesi dell’incerta indicazione dell’ISC era piuttosto ancorata dalla attorea soprattutto al tasso di mora considerato al lordo dell’ipotizzato anatocismo, e poi all’ammortamento alla francese e tali tesi, per le su esposte ragioni secondo il giudice non possono trovare accoglimento.
Tali argomentazioni hanno condotto al rigetto della domanda.
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