(Normativa di riferimento: C.p.p. art. 309, c. 1 e c. 2)
Il fatto
Il Tribunale di Perugia, con ordinanza dell’8 marzo 2018, dichiarava inammissibile, in quanto tardiva, l’istanza di riesame avanzata avverso l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal G.i.p. del Tribunale di Perugia in data 23 gennaio 2018.
L’istante, avendo appreso dell’emissione nei suoi confronti di un’ordinanza di custodia cautelare, mentre si trovava in Albania, aveva redatto davanti un notaio albanese l’istanza di riesame rivolta al Tribunale di Perugia, indicando la data del provvedimento emesso dal G.i.p. del Tribunale di Perugia con i numeri di registro generale del G.i.p. e di registro delle notizie di reato del pubblico ministero.
Il Tribunale, dal canto suo, non essendo stato in grado di stabilire se all’emissione dell’ordinanza di custodia cautelare fosse seguita una procedura di notifica nei confronti dell’istante, che non era stato dichiarato latitante, considerato tuttavia il lungo tempo trascorso tra la data di emissione dell’ordinanza impugnata con la richiesta di riesame e la spedizione di quest’ultima, riteneva che non fosse stata dimostrata la mancanza di tempestiva conoscenza del provvedimento custodiale da parte di S. e, di conseguenza, dichiarava inammissibile l’istanza di riesame.
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso questo provvedimento proponeva ricorso per Cassazione l’istante deducendo vizio di motivazione e violazione dell’articolo 309, commi 1 e 2, cod. proc. pen. perché l’ordinanza impugnata aveva finito per introdurre a carico dell’istante non latitante un onere probatorio non previsto dal codice dì procedura penale in caso dì custodia cautelare ineseguita, prevedendo l’inammissibilità dell’istanza di riesame dell’indagato, sull’erroneo presupposto che, nel dubbio, il termine iniziale decorre dalla sottoscrizione del provvedimento de libertate da parte del giudice.
Si rammentava altresì come l’indagato fosse uno straniero che si trovava nel proprio paese di dimora, al tempo della misura e dopo la sua emissione,senza essere in grado di esprimersi in italiano e, prima di proporre la richiesta di riesame ritenuta tardiva, costui aveva conferito soltanto un mandato esplorativo al difensore per accertare eventuali iscrizioni di procedimenti penali a suo carico, ai sensi dell’articolo 335 codice di procedura penale, sicché la decisione del Tribunale aveva surrettiziamente introdotto una causa di inammissibilità della richiesta di riesame che non è espressamente prevista dall’articolo 309 del codice di procedura penale.
Invece, in data 19 aprile 2018, l’indagato aveva conferito mandato fiduciario al difensore che, nei 10 giorni successivi al rilascio del richiesto certificato (ottenuto nella stessa data del 19 aprile 2018), aveva depositato, in data 27 aprile 2018, la richiesta di riesame.
Orbene, a fronte di ciò, il ricorrente faceva presente come l’unica norma che prevede un onere dimostrativo di tipo positivo è quello preveduto dall’art. 309, comma 2, cod. proc. pen. a carico dell’imputato latitante e di conseguenza, secondo il ricorrente, l’ordinanza del Tribunale di Perugia finiva per estendere all’indagato non latitante un onere probatorio previsto solo per il latitante, tant’è che la stessa giurisprudenza di legittimità, in ordine alla decorrenza del termine iniziale per la proposta dell’istanza di riesame, ha precisato che esso decorre esclusivamente dalla notificazione rituale dell’ordinanza di custodia nelle forme di cui all’articolo 165 codice di procedura penale, senza che possa ritenersi equipollente ad essa la pregressa conoscenza del provvedimento acquisita aliunde (Sez. 4, n. 46486 del 15/10/2003, Rv. 227768).
Ci si doleva infine della violazione del principio del favor impugnationis per il quale deve sempre scegliersi l’interpretazione grazie alla quale l’atto risulta produttivo di effetti, piuttosto che quella per effetto della quale l’atto non ne produce nessuno rilevandosi al contempo come anche la giurisprudenza della Corte di Strasburgo avesse avuto modo di precisare che non sono ammesse interpretazioni restrittive delle norme processuali, nel caso in cui l’esegesi comprima il diritto di difesa e la facoltà di impugnazione (Corte EDU, Walchli c. Francia del 26 luglio 2006, Appl. n. 35787/03, secondo cui il giudice deve evitare interpretazioni improntate ad eccessivo formalismo a fronte di accuse penali, al fine di garantire all’indagato/imputato il diritto di accesso all’autorità giudiziaria) mentre, ad avviso del ricorrente, un’interpretazione giudiziale, come quella esposta nell’ordinanza impugnata, finiva per creare incertezza del diritto perché l’istante si trovava esposto a ragionamenti logico-giuridici che ne limitavano il diritto di difesa.
Infine, poiché nelle more del ricorso, il ricorrente aveva proposto una nuova richiesta di riesame, oggetto di distinto procedimento, e, questa volta, valutata nel merito dal Tribunale di riesame, con memoria depositata in data 11.9.2018, costui aveva rappresentato la persistenza del suo interesse alla decisione dell’attuale ricorso e alla cassazione dell’ordinanza impugnata al fine di elidere la sua condanna al pagamento delle spese processuali ivi disposta.
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
La Corte di Cassazione riteneva come il ricorso fosse fondato e, in quanto tale, andasse accolto.
Si evidenziava infatti che il termine per impugnare l’ordinanza di custodia cautelare decorre dall’esecuzione del provvedimento o dal giorno della sua notifica all’interessato come dispone l’art. 309, comma 1, cod. proc. pen. e, nel caso di specie, non essendo intervenuta la dichiarazione di latitanza dell’indagato, non poteva trovare applicazione l’art. 309, comma 2, cod. proc. pen. che, come è noto, fa decorrere tale termine dalla notificazione eseguita a norma dell’art. 165 cod. proc. pen. o dall’esecuzione della misura quando l’imputato o l’indagato prova di non aver avuto tempestiva conoscenza del provvedimento.
I giudici di Piazza Cavour, alla luce di tale quadro normativo, osservavano come l’interpretazione data dal Tribunale con l’impugnato provvedimento fosse, pertanto, in evidente contrasto con il chiaro disposto normativo dell’art. 309 cod. proc. pen. e finisse per equiparare il soggetto che ancora non è stato dichiarato latitante al latitante tenuto conto altresì del fatto che il Tribunale non disponeva di elementi concreti per ritenere che l’indagato, cittadino albanese che aveva presentato l’atto di impugnazione in Albania dove si trovava in quel tempo, fosse certamente venuto a conoscenza del provvedimento restrittivo subito dopo la sua emissione.
Tal che se ne faceva conseguire come il provvedimento impugnato andasse annullato senza rinvio.
Conclusioni
La sentenza in questione è sicuramente condivisibile in quanto in essa veniva data una corretta lettura dell’art. 309, c. 1, c.p.p. e dell’art. 309, c. 2, c.p.p..
Pertanto, stante il chiaro tenore letterale di questi due precetti normativi, ove non sia intervenuta la dichiarazione di latitanza dell’indagato, il termine per impugnare l’ordinanza di custodia cautelare decorre dall’esecuzione del provvedimento o dal giorno della sua notifica all’interessato mentre ove sia stata fatta questa dichiarazione, questo termine decorre dalla data di notificazione eseguita a norma dell’articolo 165 c.p.p. mentre, se sopravviene l’esecuzione della misura, il termine decorre da tale momento quando l’imputato prova di non avere avuto tempestiva conoscenza del provvedimento.
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