Dalla chiarezza dell’atto al legal design

Il tema del legal design sta entrando prepotentemente nel dibattito italiano, sulla scia delle sempre maggiori influenze da un lato del diritto anglosassone societario, dall’altro attraverso il dibattito sulle nuove tecnologie impiegate o impiegabili nelle professioni legali, e infine nei recenti orientamenti legati alle normative europee ed all’omogeneizzazione delle policy euronormate.
In questo articolo proviamo a fare chiarezza su aspetti e tematiche legati a questo interessante filone di analisi e prospettiva redazionale dell’atto giuridico.

Indice

1. L’esigenza di chiarezza del diritto

Il problema della chiarezza del diritto, dell’atto giudiziario e in generale dell’atto giuridico, la chiarezza del parlare di legge e del parlare della legge, sono temi centrali ed essenziali, il cui dibattimento si perde almeno sino al giorno stesso in cui è stata posta la prima  norma giuridica.
L’esegesi e l’ermeneutica poi è qualcosa che riguarda norme anche molto semplici e scritte in modo apparentemente chiaro, come i dieci comandamenti.
Il dibattere della norma non è atto di comprensione del testo: è atto di comprensione della vita collettiva. Declinare la norma è declinazione dei limiti di ciascuno nel suo agire ed essere in una collettività: nella posizione attiva di colui che compie un’azione e apparentemente “passiva”, di semplice titolare di diritti e doveri.
Dovremmo tutti rileggere il testo dell’intervento all’incontro “Il linguaggio della Costituzione” organizzato dal Senato della Repubblica in occasione dei 60 anni dall’entrata in vigore della Costituzione il 16 giugno 2008 tenuto da Tullio De Mauro, in cui afferma “i Costituenti hanno … voluto… che quasi il 93% del testo della Costituzione sia fatto con il vocabolario di base della lingua italiana, col vocabolario di massima frequenza, col vocabolario che già nelle scuole elementari, per chi le fa, può essere noto bene, indica qualcosa di eccezionale in tutta la nostra tradizione. … Questa percentuale è un fatto eccezionale rispetto anche alla prosa più limpida, più pensata per essere altamente comunicativa.”
Un richiamo alla chiarezza del diritto viene di recente da Gianrico Carofiglio, con il suo “Con parole precise. Breviario di scrittura civile” (ed Laterza, 2015).

2. Una nota accademica

L’articolo di Einstein sull’effetto fotoelettrico, per il quale vinse il Nobel, è di appena 8500 parole, con sole 5 note, di cui 4 di specificazione linguistica e una sola di referenza bibliografica. Oggi è quasi considerato a scientifico un articolo che non contenga almeno 40 referenze bibliografiche e non meno di tre note per pagina.
Mi è capitato di recente un articolo di 15 pagine: aveva 21 autori e 156 referenze bibliografiche!
Un giorno correggeremo testi in cui si afferma che il cielo è blu senza una nota affermando “è un’opinione personale, non c’è una referenza che lo sostenga” (e in effetti a guardare i cieli cittadini inquinati di molte metropoli la cosa può diventare plausibile!).
Questo bisogno di “appello al precedente autorevole” – che nel diritto è solidità del principio – ha contagiato la scienza, cui compete invece la ricerca in avanti. Ma non dimentichiamo che è prassi citare “quella giurisprudenza” che dà solidità alla nostra tesi, e cercare di non far nemmeno trasparire quella che sostiene differente argomento. E questo è “strumento del mestiere” nel diritto, non vorremmo mai tracimasse nelle scienze.

3. Le origini del concetto di legal design

Sulla scorta di questi processi, con la spinta del diritto contrattuale e commerciale sempre più pervasivo, e della matrice del legal-marketing anglosassone, di recente sta emergendo una risposta alle esigenze quanto meno di “comprensibilità” dell’atto legale, che va sotto il nome di “legal design“.
In sintesi si tratta del “modo” di confezionare un atto, un documento, anche una lettera, con valore legale – o pretesa tale – per renderlo più facilmente consultabile e conferirgli maggiore chiarezza.
Sono per altro ascrivibili in senso lato a questa tendenza i limiti posti alla lunghezza di una sentenza, di una memoria, di un atto, ed al contempo la possibilità di inserire materiale “multimediale”.
La prima considerazione tuttavia riguarda la lingua: se non si hanno le idee chiare, difficilmente un atto, di qualsiasi lunghezza, potrà essere chiaro. Né usare uno schema grafico bilancia il contenuto assente o vago o poco chiaro.
Peggio se per legal design si intende un atto schematicamente omologato: come a dire questo è il “frame” (cornice) e devi esporre “tutto” (qualsiasi cosa) in questo modo.
Semplicemente non si può fare. Peggio, il farlo rischia di privare l’atto – o meglio il suo contenuto – di quella forma che è sostanza (sempre quando questa vi sia).

4. Canoni e obiettivi del legal design

Secondo i canoni del Legal Design, il testo giuridico deve essere frutto di un approccio umano-centrico, nel senso che – nella creazione del documento – il profilo del futuro fruitore deve essere tenuto in considerazione sin dal primo momento.
Ciò che qui incide sulla forma, ritengo che prima debba riguardare il vocabolario e la sostanza.
L’obiettivo del Legal Design è la comprensibilità del testo, mèta da raggiungersi grazie a un linguaggio chiaro e semplice (plain language) e mediante l’uso di elementi grafici quali disegni, tabelle, icone, box esplicativi, e così via. Recenti studi internazionali di analisi economica del diritto dimostrano che, se il contratto commerciale fra imprese “B2B” è redatto col metodo del Legal Design, le probabilità di un contenzioso diminuiscono sensibilmente: ne deriverebbe che il Legal Design è un fattore di sostenibilità, perché consente un risparmio di costi nel lungo periodo.
Il legal design interviene proprio negli snodi di “incomprensione”, come elemento “disruptive” rispetto ad un certo modo di pensare, scrivere e procedere “legalese”; per chiarire il più possibile e rendere in un linguaggio comprensibile non solo agli addetti ma a tutti i tortuosi percorsi che segue il diritto anche tramite l’utilizzo di elementi grafici, dalle flowchart ai fumetti (di recente la corte penale di Londra ha fornito con corredo fumettistico linee guida per la polizia, nei casi in cui vittima o autore presunto siano neurodiversi – ci si chiede a chi sia destinata la parte fumettistica!)
Il legal design è una materia multidisciplinare, e non potrebbe essere altrimenti visto che coinvolge avvocati, giuristi, designer, comunicatori fino ad arrivare ai programmatori: tutti impegnati a rendere chiaro e facilmente percepibile il framework che regola (o dovrebbe regolare) il nostro vivere in comune come persone, cittadini, aziende.
 

5. Il legal design in Italia

“In ambito giuridico e giudiziario il progettare bene in modo che le procedure a valenza pubblica siano chiare e intellegibili è senz’altro un valore”, commenta Ignazio Vittorio Felcher, coautore di un articolo sul legal design per il sito dell’Associazione Nazionale Magistrati. “In linea generale, possiamo dire che procedure ben progettate, a partire dalla loro funzionalità rispetto all’utente, e output chiari e intellegibili, sono un valore perché ampliano la platea dei cittadini consapevoli e come tale dunque diventa anche uno strumento di democrazia”. Ma non tutto può essere “ben progettato”: “Nel processo, è difficile affidare al coding il principio del libero convincimento del giudice. Principio che permette all’ordinamento di potersi adattare al singolo caso concreto e di rimanere sempre un fatto umano”. In altri contesti, pur sempre giudiziari, invece, il legal design sarebbe utilissimo! “Pensiamo al fascicolo processuale. Oggi i fascicoli cartacei seguono un ordine cronologico ma basta cambiare di posto un documento e la ricerca diventa una mission impossible, soprattutto nei processi complessi. A titolo d’esempio il processo Telecom/Sismi conta ben 222 faldoni solo tra atti dei PM e atti del GIP. Progettare allora in modo funzionale allo scopo il software per la creazione e gestione dei flussi significherebbe giungere ad un prodotto razionale, pratico e ben strutturato ottenendo, contemporaneamente, un risparmio rilevante di costi, risorse e tempo”, spiega Felcher.

6. Alcune precisazioni

Chiariamo alcune cose: il legal design è un’esigenza di diritto commerciale e contrattuale; nasce in seno a grandi “multinazionali del diritto” che operano in decine di paesi diversi, con culture diverse, ed hanno come clienti multinazionali con dipendenti di tutto il mondo.
È facile trovare attorno a un tavolo venti persone di venti paesi di cinque continenti confrontarsi per chiudere un contratto tra società che opereranno livello globale.
I contratti restano di migliaia di pagine, ma occorre una schematizzazione per chiarirsi – e anche solo per ripartirsi i capitoli da analizzare!
Se questo è funzionale in quelle sedi, no è detto che non sia un modello esportabile, ma con alcune cautele importanti.
Il legal design è un costo. Per gli studi legali transnazionali è un investimento che alla lunga riduce – di molto i costi – ma per lo studio legale “nazionale” difficilmente questo costo si traduce in investimento.
Il legal design è un frame apparentemente elastico, ma che fa presto a diventare rigido. Significa che una variazione del frame (dettata ad esempio dalla specificità del caso) rischia di non far comprendere la legalità stessa dell’atto, perché risulterebbe come “mancante di un pezzo”.
Il legal design comporta risparmi enormi per le aziende. È essenziale che nello stesso modo e forma esso si traduca in un “customer friendly design” per la chiarezza e immediata visibilità e comprensibilità dei diritti del consumatore / utente finale (traducendo: non è che l’offerta commerciale la scrivi chiara e per blocchi colorati, mentre il contratto con gli obblighi legali continui a scriverli in corpo 7 e interlinea ridotta “per risparmiare carta”).
Il legal design è uno strumento, non un fine. Il fine è l’atto e il suo contenuto, e l’obiettivo è che sia chiaro e comprensibile. Per questo prima del legal design vengono imprescindibilmente: l’editing, la selezione lessicale, la correzione grammaticale e sintattica, la semplificazione concettuale, l’assicurarsi che il destinatario fruitore abbia gli strumenti di concreta – e non solo presunta – comprensione.
Il legal design è una disciplina che può servire a) nella progettazione di procedure; b) sia nella realizzazione di norme; c) sia nella produzione di materiali informativo in ambito legale. Si caratterizza per il fatto di mettere al centro del progetto l’utente finale, il destinatario del servizio giustizia, il destinatario di una sentenza, il cittadino tenuto a certi obblighi. È su di lui, e sulla sua capacità di comprendere il messaggio “giuridico”, che si basa l’architettura complessiva il cui risultato potrà godere anche di una forma visual diretta ed efficace.

7. Il legal design “in concreto”

Attualmente il legal design è studiato e implementato soprattutto in Finlandia e in Europa centrale, dove nei paesi di lingua tedesca sono stati coniati termini specifici per la legal visualization (Rechtsvisualisierung),la  visual legal communication (Visuelle Rechtskommunikation), e la visual law (Visuelles Recht).
Finora è stato utilizzato per tre scopi principali: per l’insegnamento universitario in materia giuridiche; per spiegare procedure e sistemi: testi legali visual sono utilizzati per avvicinare le persone comuni a certi adempimenti dovuti per legge, alle condizioni generali di contratto per esempio; o per warning favorendo in maniera più comprensibile ed intuitiva la compliance o la consapevolezza rispetto a certe azioni (per esempio le informative privacy). 
I design contracts. In Lexpert.com, una legal tech con sede in Finlandia  Helena Haapia (avvocato), Stefania Passero (information designer) e Annika Varjonen  (comunicatrice) si occupano invece – spiegano sul loro sito – della “prossima generazione” di contratti, di design appunto.
“Ci avvaliamo innanzitutto dei criteri presentati in “What makes a good document” sviluppato dal Semplification Centre, perché se è vero che i criteri sono indicati per un benchmark di documenti, possono essere estesi senz’altro anche a contratti “business-friendly”. Ecco i 4 criteri a cui il loro sito fa riferimento: 
·Linguaggio: è facile per le persone capire il significato delle parole?
·Design: L’impatto visivo del documento e il modo in cui è “disegnato” influenza la sua utilizzabilità
·Relationship : In che misura il documento stabilisce una relazione con i propri utenti
·Content: In che misura il contenuto e il modo nel quale esso è organizzato permette al documento di raggiungere il suo obiettivo”, spiegano. 
Il legal designer può essere sia un designer puro (in team con avvocati) sia un legale. Margaret Hagan, ispiratrice del Legal design Lab della Stanford Law school (emanazione della Stanford University). “Il legal design è un approccio innovativo, basato sulle persone che si trovano ad essere inserite nel sistema legale, e si propone di comprendere dove il sistema fallisce e di creare le condizioni per provvedervi. Il legal design lab si occupa di studiare e verificare sistemi innovativi per rendere più accessibile tribunali e Corti; studiare sistemi di piattaforme e tools per aiutare le persone in ambito giudiziario/giuridico; studiare sistemi di comunicazione delle norme chiari e trasparente utilizzando il design thinking; studiare nuovi modelli organizzativi per tribunali, studi legali, ministeri.”
La premessa da cui parte è che il visual design può migliorare la comunicazione legale che gli avvocati utilizzano per parlare con i propri clienti o stakeholder. Questa comunicazione, oltre ad essere legalmente valida e strategica, dovrà essere anche “user friendly”.
Per arrivare a fare ciò Hagan ha progettato un percorso specifico (Core principles for good visualizations). Per iniziare propone di seguire tre step:
1. Individuare un messaggio chiaro che può essere utile e interessare il proprio referente
2. Provare ad utilizzare qualche immagine, insieme e testi semplici, per far arrivare il tuo messaggio al proprio interlocutore
3. Proporre una domanda o invitare ad una azione il proprio interlocutore
Per approfondire puoi leggere il suo decalogo del legal design:
Il CEO di Juro, una start up che ha realizzato un tool di contrattualistica end to end, ha realizzato un esempio di legal design applicato ai documenti di informazione e collegato alla implementazione del GDPR. Ha messo a confronto un approccio old style e un approccio legal design rispetto alla “informativa” che le aziende che raccolgono dati devono fornire agli interessati.
Ma il legal design può servire anche nel drafting legislativo o per “raccontare” un adempimento, una legge, una obbligazione.

8. Considerazioni conclusive

Come sempre il mondo del web può offrire soluzioni semplici a problemi antichi.
Il suo stile di vendita e auto-promozione è sempre il solito: cyber-utopista: scegli noi, lascia il vecchio e la tua vita come per magia sarà più semplice.
Il rischio con il legal design è una omologazione eccessiva, che avvantaggi i grandi soggetti a scapito dei piccoli, che crei dei form che oggi sono semplici “semplificatoti” ma che domani potrebbero diventare “obbligatori” senza che nessuno li abbia né scelti né votati: semplicemente perché così fanno tutti.
Ma nessun tool e nessun design potranno mai sostituire il contenuto, specie nell’atto giuridico, né quell’accertamento di comprensione e comprensibilità che riguarda la valutazione caso per caso e persona per persona, e non certo una presunzione o uno standard deciso da una macchina.
Ciò non toglie che occorra una semplificazione e uno strumento di maggiore fruibilità.

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Michele Di Salvo

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