Integra un’ipotesi di danneggiamento aggravato, commesso su cose esposte alla pubblica fede, la forzatura della porta di ingresso di un’abitazione affacciata sulla pubblica via, a nulla rilevando che all’interno sia presente il proprietario, giacché questi non può esercitare alcuna vigilanza sulla porta stessa, costantemente affidata all’altrui senso di rispetto.
(Ricorso rigettato)
(Normativa di riferimento: C.p. art. 635)
Il fatto
La Corte di Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, con sentenza in data 10/11/2016, confermava la condanna alla pena ritenuta di giustizia pronunciata dal Tribunale di Taranto, in data 29/09/2014, nei confronti di D. P. in relazione al reato di cui all’art. 635 cod. pen. per avere danneggiato il portone d’ingresso e il muro dell’abitazione delle persone offese, con l’aggravante dell’esposizione a pubblica fede.
Motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Proponeva ricorso per cassazione l’imputato tramite il suo difensore di fiducia, deducendo i seguenti motivi:
– violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità sotto il profilo della inattendibilità dei querelanti; il ricorrente lamentava che la corte territoriale non avrebbe risposto alle specifiche censure della difesa in merito alla svalutazione del portato della testimonianza del M.;
– violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all’insussistenza dell’aggravante dell’esposizione alla pubblica fede avendo il ricorrente dedotto che, secondo recente giurisprudenza, il portoncino d’ingresso di un’abitazione non è bene esposto a pubblica fede se vi è la constatata presenza del proprietario e, non ricorrendo l’aggravante, la condotta non rivestiva più rilevanza penale in forza della recente abrogazione della fattispecie del danneggiamento semplice.
Valutazioni giuridiche formulate dalla Corte di Cassazione
La Cassazione riteneva il ricorso proposto infondato alla luce delle seguenti considerazioni.
Si considerava il primo motivo inammissibile poiché fondato sulle stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi pertanto considerare non specifico mentre per contro la mancanza di specificità del motivo deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell’art. 591 comma 1 lett. c), all’inammissibilità (Sez. 4, 29/03/2000, n. 5191, Barone, Rv. 216473; Sez. 1, 30/09/2004, n. 39598, omissis, Rv. 230634; Sez. 4, 39598, omissis, Rv. 230634; Sez. 4, 03/07/2007, n. 34270, omissis, Rv. 236945; Sez. 3, 06/07/2007, n. 35492, Tasca, Rv. 237596).
In particolare, rilevavano gli ermellini, la corte territoriale, da un lato, dopo avere richiamato la dettagliata esposizione delle emergenze processuali della sentenza di primo grado, aveva ribadito come le persone offese del reato avessero esposto i fatti in modo concorde e costante anche in sede di controesame, senza subire contestazioni delle parti, e avessero ricostruito con dovizia di particolari la vicenda senza incorrere in contraddizioni e senza manifestare acredine o risentimento nei confronti dell’imputato, che non era il titolare del circolo ricreativo con cui i predetti erano in conflitto ma solo uno degli avventori, dall’altro, aveva motivatamente condiviso il giudizio di inattendibilità nei confronti del teste della difesa M., che aveva offerto un alibi all’imputato, in forza di ragioni articolate che aveva valorizzato l’orario dell’intervento dei Carabinieri dinanzi all’abitazione danneggiata e la conformazione della piazza in cui è sito l’immobile in questione, che esclude la possibilità che il teste, ove fosse transitato per quella strada, non notasse la presenza della pattuglia ivi intervenuta stimandole come argomentazioni non manifestamente illogiche, che non erano state in alcun modo contraddette dal ricorrente, e non risultavano, pertanto, sindacabili in sede di legittimità.
Secondo motivo di ricorso, infondato
Prima di entrare nel merito della questione prospettata in questa doglianza, si premetteva che l’esposizione di una res alla pubblica fede comporta che essa si trovi “fuori dalla sfera di diretta vigilanza e quindi, affidata interamente all’altrui senso di onestà e di rispetto“, per necessità, consuetudine o destinazione naturale: la ratio della maggiore tutela accordata alle cose esposte per necessità, per consuetudine o per destinazione alla pubblica fede va individuata nella minorata possibilità di difesa connessa alla particolare situazione dei beni, in quanto posti al di fuori dalla sfera di diretta vigilanza del proprietario e, quindi, affidati interamente all’altrui senso di onestà e di rispetto.
Posto ciò, si faceva presente l’esistenza di due distinti orientamenti nomofilattici.
Secondo un primo approdo ermeneutico, si esclude la sussistenza dell’esposizione alla pubblica fede della porta d’ingresso di un esercizio commerciale quando nel locale sia presente il titolare, Sez. V, n. 46187 del 13.10.2004, Rv. 231168 e Sez. II, n. 44331 del 12.11.2010, Rv. 249181; della porta d’ingresso di un’abitazione posta all’interno di un condominio, Sez. II, n. 44953 dell’11.10.2016, Rv. 268318; della porta d’ingresso di un locale pubblico, Sez. II, n. 26857 del 17.2.2017, Rv. 270660; della vetrina di un bar, ma alla presenza del titolare, Sez. II, n. 37889 del 22.9.2010, Rv. 248875 posto che, secondo quanto dedotto dalla Corte in tali pronunce, non sussiste questo elemento accidentale del reato o nel caso di collocazione del bene in luogo non accessibile al pubblico, o in considerazione del fatto che l’affidamento alla pubblica fede sarebbe incompatibile con la presenza del proprietario o del possessore del bene, che è in grado di esercitare adeguata vigilanza su di essi.
Secondo un diverso indirizzo interpretativo, invece, e quindi nel senso dell’esposizione alla pubblica fede della serranda, della vetrina e della mostra di un locale, Sez. I, n. 8088 del 23.5.1986, Rv. 173534; della vetrina di un locale pubblico affacciata sul marciapiede, Sez. II, n. 23282 del 17.3.2015, Rv. 263626, è stato precisato che la custodia dei detti beni non può ritenersi affidata alla custodia diretta e continua del proprietario, che, trovandosi all’interno dell’esercizio commerciale impegnato con la clientela, non ha la possibilità di evitare eventi dannosi, neanche usando tutti gli accorgimenti e la diligenza del caso.
Dal canto suo il ricorrente, osservavano i giudici di Piazza Cavour, richiamava una recente pronunzia della stessa sezione che aveva emesso questa decisione con cui era stato affermato come integrasse “l’ipotesi di danneggiamento aggravato, commesso su cose esposte alla pubblica fede, la forzatura di un cancello di accesso ad un box/garage, poichè al suo interno non è presente il titolare, considerato che la “ratio” della maggiore tutela accordata alle cose esposte per necessità, per consuetudine o per destinazione alla pubblica fede va individuata nella minorata possibilità di difesa . connessa alla particolare situazione dei beni, in quanto posti al di fuori della sfera di diretta vigilanza del proprietario e, quindi, affidati interamente all’altrui senso di onestà e rispetto” (Sez. 2, n. 51438 del 20/10/2017 – dep. 0/11/2017, P.G. in proc. omissis, Rv. 27133201), e, alla luce di questa pronuncia, se ne faceva desumere che, nel caso in esame, la presenza dei proprietario all’interno dell’abitazione avrebbe escluso l’esposizione a pubblica fede della porta d’ingresso.
A fronte di tale rilievo difensivo, la Cassazione evidenziava però che, se il criterio alla base della contestata aggravante è la circostanza che il bene è affidato al senso di rispetto dei terzi, in quanto il proprietario non può esercitare una costante vigilanza su di esso, ne consegue che la predetta condizione ricorre in riferimento alla porta d’accesso ad una privata abitazione che si affaccia sulla via pubblica posto che la presenza del proprietario all’interno della abitazione non ha alcuna efficacia di vigilanza sul bene che rimane all’esterno, costantemente esposto al rispetto dei terzi in quanto il proprietario, in tale contesto, può solo esplicare, a personale rischio, un intervento ex post, magari ottenendo una riduzione del danno, comunque in parte già realizzato.
I giudici di legittimità ordinaria, dunque, ritenevano di condividere il principio affermato secondo cui integra un’ipotesi di danneggiamento aggravato, commesso su cose esposte alla pubblica fede, la forzatura della porta di ingresso di un’abitazione affacciata sulla pubblica via, a nulla rilevando che all’interno sia presente il proprietario, giacché questi non può esercitare alcuna vigilanza sulla porta stessa, costantemente affidata all’altrui senso di rispetto. (Sez. 1, n. 8634 del 24/01/2018 – dep. 22/02/2018, omissis, Rv. 27241201).
Né, prosegue la Corte nel suo ragionamento decisorio, l’eventuale presenza di videocamere poste a tutela dell’abitazione avrebbe estromesso la ricorrenza della aggravante in parola poiché l’integrità dell’accesso è affidata al rispetto altrui e la temporanea vigilanza non può escludere la maggiore vulnerabilità di un bene necessariamente esposto al pubblico.
Conclusioni
La sentenza si palesa condivisibile.
Se difatti la “ratio” della maggiore tutela accordata alle cose esposte per necessità, per consuetudine o per destinazione alla pubblica fede va individuata, come tra l’altro evidenziato nella stessa pronuncia richiamata dal ricorrente, nella minorata possibilità di difesa connessa alla particolare situazione dei beni, in quanto posti al di fuori della sfera di diretta vigilanza del proprietario e, quindi, affidati interamente all’altrui senso di onestà e rispetto, va da sé che detta finalità va perseguita, attraverso l’applicazione di questa circostanza, anche quando il proprietario, pur essendo prossimo al luogo in cui è stato commesso il reato, non è in condizione di poter esercitare alcuna vigilanza qual è il caso in cui venga forzata la porta di ingresso di un’abitazione affacciata sulla pubblica via.
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