Con la sentenza numero 19332 del 07/07/2023 la III sezione della suprema Corte (Pres. Scarano – relatore Giannitti) chiarisce la legittimazione passiva e la fattispecie normativa applicabile al danno provocato da animali selvatici. Ai danni causati dalla fauna selvatica è dedicato il volume “Stima dei danni provocati da fauna selvatica alle coltivazioni agricole e al patrimonio ittico e zootecnico“, a cui rimandiamo per approfondimenti.
Indice
1. I fatti di causa e i giudizi di merito: danno causato da animale selvatico
Tizio, proprietario di una autovettura, nel dicembre del 2015 conveniva in giudizio dinanzi al Giudice di Pace di Teramo, la Regione Abbruzzo e la provincia di Teramo, al fine di sentirli condannare al risarcimento dei danni provocati alla propria autovettura da un cinghiale che, transitando lungo una strada provinciale nei pressi di un centro abitato, mentre Tizio procedeva a bordo del suo veicolo, investiva lo stesso mezzo, determinandone danni materiali.
A riprova del fatto Tizio produceva il rapporto di intervento redatto dalle Guardie Forestali intervenute, che constatavano i danni e rinvenivano la carcassa del cinghiale, giudicando compatibili i danni a mezzo e animale, con la dinamica dei fatti esposta dall’attore.
Tizio individuava la legittimazione passiva della Regione Abbruzzo e la Provincia di Teramo, rispettivamente, sulla base dei seguenti motivi.
Quanto alla Regione Abruzzo, deduceva che la responsabilità per danni fosse da ricondursi alla mala gestio della fauna selvatica – con particolare riferimento, all’immissione ed incremento delle specie più pericolose per grandezza e violenza – per la carenza di controllo e per l’assenza di qualsiasi cautela circa la relativa presenza in luoghi troppo vicini a paesi e centri abitati, attraversati da strade pubbliche con elevata probabilità di intralcio alla circolazione stradale e conseguente pericolo per l’incolumità degli utenti;
Quanto, invece, alla Provincia di Teramo, Tizio deduceva che la responsabilità risarcitoria trovasse fondamento, oltre che nella funzione di gestione del territorio, anche nella titolarità della strada, teatro del sinistro, per la omissione di ogni cautela e, in particolare, per la mancata recinzione della strada, già oggetto in passato di diversi incidenti della stessa specie.
Si costituivano i due Enti rimbalzandosi la legittimazione; in particolare la Regione faceva leva sulla mancata vigilanza della strada, mentre la Provincia evidenziava come il controllo della fauna selvatica fosse di competenza della Regione.
Il Giudice di pace estrometteva la Provincia, e condannava la Regione al risarcimento del danno e alle spese di lite.
Proponeva appello al Tribunale dell’Aquila la Regione Abbruzzo, ribadendo la propria carenza di legittimazione, e contestando in ogni caso la sussistenza della prova del nesso di causa tra danni ed evento e, per quel che qui rileva, l’errata sussunzione della fattispecie nell’alveo dell’art. 2052 cc in luogo dell’art. 2043 cc.
Il Tribunale dell’Aquila accoglieva l’appello, ritenendo non provata la domanda e rigettava l’originaria istanza risarcitoria di Tizio ritenendola non provata.
Ai danni causati dalla fauna selvatica è dedicato il volume “Stima dei danni provocati da fauna selvatica alle coltivazioni agricole e al patrimonio ittico e zootecnico“, a cui rimandiamo per approfondimenti.
Stima dei danni provocati da fauna selvatica alle coltivazioni agricole e al patrimonio ittico e zootecnico
L’obiettivo di questo manuale è quello di guidare il professionista alla corretta stima dei danni provocati alle colture e al patrimonio zootecnico dalla fauna selvatica, che incide con sempre maggior peso nel cagionare perdite economiche significative al settore primario. Il testo considera la normativa vigente in materia e l’organizzazione dell’attività di controllo; è infatti basilare ricordare che il perito una volta stimato il danno subito dall’agricoltore dovrà determinare l’indennizzo sulla scorta dei regolamenti regionali.Vengono poi descritti i principali autori dei danni, le loro abitudini alimentari e i segni che lasciano sul territorio, quasi una firma che ci consente di ricostruire il nesso causale del danno stesso.Nella seconda parte del testo sono proposte metodologie di rilevazione del danno, suddivise per coltura, e la successiva quantificazione economica dello stesso. Vengono affrontati anche i danni provocati da lupi e ursidi agli allevamenti zootecnici e dagli ittiofagi al patrimonio ittico.L’opera offre poi al lettore gli strumenti per l’esatta definizione delle varie tecniche estimative che il perito dovrà e potrà poi applicare nella sua valutazione.Massimo MoncelliLaureato in Scienze Agrarie, Perito Agrario Laureato, è esperto di estimo ed economia immobiliare, membro del Royal Institution of Chartered Surveyors e della Società Italiana di estimo e valutazioni. È iscritto nell’Elenco dei Docenti della Scuola Superiore della Magistratura e nell’albo degli esperti scientifici del MIUR. Autore di numerosi articoli e pubblicazioni tecniche in materia di estimo civile e legale.
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2. Il giudizio in Cassazione
Avverso la sentenza del Tribunale dell’Aquila, con articolato motivo, proponeva ricorso per Cassazione Tizio, affermando quanto segue.
Tizio contesta la sussunzione della fattispecie nell’alveo dell’art. 2043 cc effettuata dal giudice del merito, con conseguente aggravio di oneri probatori a suo carico, in luogo dell’ipotesi dell’art. 2052 cc, che invece avrebbe comportato l’onere per l’attore di allegare il fatto e il nesso di causa, e per la convenuta quello di dimostrare l’esimente dalla civile responsabilità.
Applicando l’art. 2043 cc, infatti, il Tribunale ha ritenuto non provata la domanda.
La III Sezione, prendendo posizione in ordine al contrasto sorto in seno alla Corte di legittimità sulla sussunzione della fattispecie dei danni provocati da animali selvatici nell’alveo dell’art. 2043 o dell’art. 2052 cc, accoglie il ricorso con la seguente motivazione.
La Sezione evidenza come, consapevolmente e argomentatamente rimeditando e superando il precedente orientamento, fosse pervenuta ad affermare il principio per cui i danni cagionati dalla fauna selvatica sono risarcibili dalla P.A. a norma dell’art. 2052 c.c., poiché il criterio di imputazione della responsabilità previsto da tale disposizione si fonda non sul dovere di custodia, ma sulla proprietà o, comunque, sull’utilizzazione dell’animale e, anche, perché le specie selvatiche protette ai sensi della L. n. 157 del 1992 rientrano nel patrimonio indisponibile dello Stato e sono affidate alla cura e alla gestione di soggetti pubblici in funzione della tutela generale dell’ambiente e dell’ecosistema, come da numerosi precedenti (Cass. n. 7969 del 2020; Cass. n. 12113 del 2020; Cass. n. 13848 del 2020; Cass. n. 16414 del 2021 e Cass. n. 22271 del 2021).
Altresì, e nelle precedenti pronunce conformi, la Suprema Corte precisava che nell’azione di risarcimento del danno cagionato da animali selvatici a norma dell’art. 2052 c.c. la legittimazione passiva spetta in via esclusiva alla Regione, in quanto titolare della competenza normativa in materia di patrimonio faunistico, nonchè delle funzioni amministrative di programmazione, di coordinamento e di controllo delle attività di tutela e gestione della fauna selvatica, anche se eventualmente svolte -per delega o in base a poteri di cui sono direttamente titolari- da altri enti; la Regione può rivalersi (anche mediante chiamata in causa nello stesso giudizio promosso dal danneggiato) nei confronti degli enti ai quali sarebbe in concreto spettata, nell’esercizio delle funzioni proprie o delegate, l’adozione delle misure che avrebbero dovuto impedire il danno.
Altresì, afferma la Suprema Corte che in materia di danni da fauna selvatica a norma dell’art. 2052 c.c. grava sul danneggiato l’onere di dimostrare il nesso eziologico tra il comportamento dell’animale e l’evento lesivo, mentre spetta alla Regione fornire la prova liberatoria del caso fortuito, dimostrando che la condotta dell’animale si è posta del tutto al di fuori della propria sfera di controllo, come causa autonoma, eccezionale, imprevedibile o, comunque, non evitabile neanche mediante l’adozione delle più adeguate e diligenti misure – concretamente esigibili in relazione alla situazione di fatto e compatibili con la funzione di protezione dell’ambiente e dell’ecosistema- di gestione e controllo del patrimonio faunistico e di cautela per i terzi.
La Corte prende atto che, avendo sussunto la fattispecie nell’alveo dell’art. 2043 cc il Tribunale aveva gravato l’attore di oneri probatori che non li sono dovuti, e pertanto cassa la sentenza e la rinvia affinché la causa sia decisa riportando il fatto nella responsabilità ex. art. 2052 cc.
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