Premessa
Le fattispecie di responsabilità disciplinate dagli artt. 2047 e seguenti del codice civile costituiscono
modelli speciali di responsabilità, che si connotano per la loro diversità ed autonomia rispetto al
modello generale disciplinato dall’art. 2043 c.c. Le varie fattispecie hanno in comune l’esistenza di una
particolare relazione per la quale avviene l’attribuzione della responsabilità in capo ad un determinato
soggetto. Sulla base di tale relazione è possibile distinguere tre grandi categorie: responsabilità per fatto
altrui (artt. 2047, 2048, 2049 c.c.), responsabilità collegata all’esercizio di una attività (art. 2050 c.c.) e
responsabilità derivanti dal rapporto di un soggetto con una cosa o un animale (artt. 2051, 2052, 2053 e
2054 c.c.).
Volume consigliato
Le responsabilità della pubblica amministrazione
L’opera nasce con l’intento di offrire al lettore (Magistrato, Avvocato, Funzionario pubblico) una guida indispensabile per affrontare un tema cui sono sottese sempre nuove questioni: quello delle ipotesi di responsabilità dell’amministrazione pubblica. Avuto riguardo ai più recenti apporti pretori e alla luce degli ultimi interventi del Legislatore (L. 9 gennaio 2019, n. 3, cd. Legge Spazzacorrotti), il taglio pratico-operativo del volume offre risposte puntuali a temi dibattuti sia sotto il profilo sostanziale, sia sotto il profilo processuale. L’opera, che si articola in 23 capitoli, tratta i temi della responsabilità della P.A. da provvedimento illegittimo, da comportamento illecito, per l’inosservanza del termine del procedimento, sotto il profilo amministrativo-contabile, in materia urbanistica ed edilizia, per attività ablative, nella circolazione stradale, per danno da illecito trattamento dei dati personali, di tipo precontrattuale, in ambito scolastico. Si affrontano ancora, oltre al tema del danno all’immagine della P.A., i temi della responsabilità: disciplinare del dipendente pubblico; dirigenziale; dei dipendenti pubblici per la violazione delle norme sulla incompatibilità degli incarichi; delle Forze armate; della struttura sanitaria pubblica per attività posta in essere dal medico; delle authorities finanziarie; nell’amministrazione della giustizia. Affiancano la materia dell’amministrazione digitale – i cui profili di novità ne rendono indispensabile la conoscenza – i temi della responsabilità nel diritto europeo, della responsabilità dello Stato per la violazione della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e, infine, della responsabilità penale della pubblica amministrazione. Il lettore che voglia approfondire temi di suo interesse è aiutato nell’attività di ricerca dalla presenza di una “Bibliografia essenziale” che correda ogni capitolo del volume. Giuseppe CassanoDirettore del Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School of Economics, ha insegnato Istituzioni di Diritto Privato nell’Università Luiss di Roma. Studioso dei diritti della personalità, del diritto di famiglia, della responsabilità civile e del diritto di Internet, ha pubblicato oltre un centinaio di opere in tema, fra volumi, trattati, saggi e note.Nicola PosteraroAvvocato, dottore e assegnista di ricerca in Diritto Amministrativo presso l’Università degli Studi di Milano, è abilitato allo svolgimento delle funzioni di professore associato di diritto amministrativo e collabora con le cattedre di diritto amministrativo, giustizia amministrativa e diritto sanitario di alcune Università. Dedica la sua attività di ricerca al diritto amministrativo e al diritto sanitario, pubblicando in tema volumi, saggi e note.
Giuseppe Cassano, Nicola Posteraro (a cura di) | 2019 Maggioli Editore
88.00 € 70.40 €
Quadro normativo di riferimento
Ai fini di delimitare la responsabilità da cose in custodia della P.A., come noto, occorre soffermarsi sull’art. 2051 c.c., norma che deriva dall’art. 1153, 1°co., del codice civile abrogato, il quale disponeva: «ciascuno parimenti è obbligato non solo pel danno che cagiona per fatto proprio, ma anche per quello che viene arrecato col fatto delle persone delle quali deve rispondere, o colle cose che ha in custodia».
Rispetto alla formulazione contenuta nell’art. 1153, l° co., del codice abrogato, quella di cui all’art. 2051 c.c. prevede alcune significative innovazioni: la prima riguarda la menzione esplicita della prova liberatoria, mentre la seconda concerne il mutamento della preposizione utilizzata, laddove il testo dell’articolo richiama il danno prodotto «dalla» cosa e non più quello prodotto «con» la cosa. In dottrina, si è osservato che quest’ultima variazione evidenzia una differenza ben precisa tra le due norme, quanto al ruolo assunto dalla cosa: infatti, mentre nell’art. 1153 essa rilevava quale strumento manovrato dal soggetto agente, l’attuale art. 2051 c.c. è destinato a regolare le ipotesi in cui la cosa abbia assunto ai fini della produzione del danno un’autonoma efficienza causale, indipendentemente dall’azione dell’uomo.
La giurisprudenza, formatasi inizialmente sull’art. 2051 c.c., riteneva concordemente che il fondamento della responsabilità ivi prevista fosse da ravvisarsi nella colpa, rappresentata in particolare dalla negligenza del custode in ordine alla sorveglianza della cosa. Il contenuto della norma veniva pertanto identificato in una presunzione legale di colpa posta a carico di chi, dovendo vigilare sulla cosa, ha fatto in modo che essa finisse con il danneggiare un terzo. Secondo questo iniziale orientamento, pertanto, la disciplina delle cose in custodia prevedrebbe una presunzione iuris tantum di colpa a carico del custode, la cui ratio giustificatrice sarebbe fondata su di un duplice ordine di elementi: in primo luogo nel porre a carico di chi esercita il potere di governo e di controllo sulla cosa un particolare obbligo di vigilanza, consentirebbe di tutelare l’interesse della collettività; in secondo luogo, l’inversione dell’onere probatorio permetterebbe di superare la difficoltà cui andrebbe incontro il danneggiato, per dimostrare l’imputabilità del fatto in capo al custode, mentre quest’ultimo, avendo la potestà sulla cosa, ha una maggiore possibilità di accertare la causa dell’evento dannoso.
Prova liberatoria
La prova liberatoria del caso fortuito attiene infatti alla prova che il danno si è verificato in modo non prevedibile né superabile con l’adeguata diligenza, e cioè con lo sforzo diligente dovuto in relazione alle circostanze concrete del caso. Essa si sostanzia pertanto nella prova di aver adottato, in relazione alle condizioni della cosa e alla sua funzione, tutte le misure idonee ad evitare il danno. Nella dimostrazione, in sostanza, di avere mantenuto una condotta caratterizzata da assenza di colpa.
L’intervento di un fattore esterno imprevedibile ed inevitabile (forza maggiore, fatto del terzo o fatto del danneggiato) cui è eziologicamente riconducibile il danno, vale, sostanzialmente, ad attestare l’assenza di colpa in capo al «custode». [1]
Dunque, si giunge alla conclusione che la responsabilità del custode, laddove questi non riesca a fornire la prova del caso fortuito, debba ritenersi fondata su un giudizio di colpa.[2]
La tesi della natura oggettiva della responsabilità
La dottrina maggioritaria ha fortemente criticato l’impostazione che ravvisa nell’art. 2051 c.c. una
presunzione di colpa del custode fondata sul dovere di vigilanza della cosa.
In questa sede necessario risulta il rinvio a due sentenze “gemelle” della Corte di Cassazione depositate il 6 luglio 2006 (nn. 15383 e 15384), le quali, pur concernendo, in modo specifico, la responsabilità della P.A. per i danni da omessa o insufficiente manutenzione delle strade, hanno svolto considerazioni di carattere generale relativamente alla responsabilità per danni da cose in custodia.
Il principio di diritto da queste affermato da queste affermate sancisce che : «La responsabilità ex art. 2051 c.c. per i danni cagionati da cose in custodia ha carattere oggettivo e, perché tale responsabilità possa configurarsi in concreto, è sufficiente che sussista il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno arrecato, senza che rilevi al riguardo la condotta del custode e l’osservanza o meno di un obbligo di vigilanza, per cui tale tipo di responsabilità è esclusa solo dal caso fortuito, fattore che attiene non già ad un comportamento del responsabile bensì al profilo causale dell’evento, riconducibile non alla cosa (che ne è fonte immediata) ma ad un elemento esterno, recante i caratteri dell’oggettiva imprevedibilità ed inevitabilità e che può essere costituito anche dal fatto del terzo o dello stesso danneggiato».
Obblighi della P.A.
Come sopra ampliamente descritto, il custode, in questo quadro di riferimento l’Ente proprietario della strada, si presume responsabile ai sensi dell’art.2051 c.c. dei sinistri riconducibili alle situazioni di pericolo connesse alla struttura o alle pertinenze della strada stessa, indipendentemente dalla sua estensione, salvo che dia la prova che l’evento dannoso era imprevedibile e non tempestivamente evitabile o segnalabile. [3]
L’ente proprietario ha quindi l’obbligo di provvedere alla relativa manutenzione, nonché di prevenire e se del caso segnalare qualsiasi situazione di pericolo o insidia inerente non solo alla strada ma anche alla zona non asfaltata sussistente ai limiti della medesima. [4]
Esclusione della Responsabilità della P.A.
L’ente proprietario della strada, per vincere la responsabilità da cose in custodia deve dare la prova che il fatto del danneggiato abbia i caratteri dell’autonomia, eccezionalità, imprevedibilità e inevitabilità e che fosse da solo idoneo a produrre l’evento, escludendo i fattori causali concorrenti, tale essendo la prova che ai sensi dell’art. 2051 c.c. esonera il custode dalla relativa responsabilità[5].
La responsabilità della P.A. rimane esente ove si dimostri che l’evento sia stato determinato da cause estrinseche estemporanee create da terzi, non conoscibili né eliminabili con immediatezza, neppure con la più diligente attività di manutenzione, ovvero da una situazione la quale imponga di qualificare come fortuito il fattore del pericolo, avendo esso esplicitato la sua potenzialità offensiva prima che fosse ragionevolmente esigibile l’intervento dell’ente custode.[6]
Orbene, è esclusa anche la responsabilità dell’Ente gestore nell’ipotesi di sinistro su strada accidentata allorché sia emersa una responsabilità esclusiva della conducente del ciclomotore la quale, proprio a causa del pericolo evidente, determinato dalla presenza di una strada dissestata per un lungo tratto precedente il punto in cui si era verificata la caduta, aveva posto in essere una condotta che aveva costituito la ragione esclusiva del fatto dannoso.[7] Il fatto dello stesso danneggiato può essere di importanza tale da escludere del tutto il nesso di causalità, integrando il fortuito ovvero, anche quando ciò non avvenga, il “fatto colposo” del danneggiato può comunque essere rilevante ai sensi dell’art.1227, comma 1, c.c. sul c.d. concorso di colpa, applicabile anche nell’ambito della responsabilità extracontrattuale per effetto del richiamo contenuto nell’art.2056 c.c. Chiarito che l’evento dannoso può trovare causa o concausa nel comportamento della vittima, ma affinché quest’ultimo assuma efficienza causale autonoma ed esclusiva deve essere qualificabile come abnorme.[8]
In tema di danno da insidia stradale, inoltre giova in primo luogo evidenziare che tale nozione viene a configurarsi come una sorta di figura sintomatica di colpa, elaborata dall’esperienza giurisprudenziale mediante sperimentate tecniche di giudizio[9]. Ove per in insidia si intende un pericolo occulto che ricorre quando lo stato dei luoghi è caratterizzato dal doppio e concorrente requisito della non visibilità oggettiva del pericolo e della non prevedibilità soggettiva del pericolo medesimo. In tali circostanza la concreta possibilità per l’utente danneggiato di percepire o prevedere con l’ordinaria diligenza la situazione di pericolo occulto vale ad escludere la configurabilità della PA per difetto di manutenzione della strada pubblica, dato che quanto più la situazione di pericolo è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione di normali cautele da parte del danneggiato, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, sino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso[10].
Per completezza di esposizione giova ricordare che in tutti i casi di cui sopra e comunque in tutti i casi in cui la custodia della cosa si rivela impossibile in quanto sia accertata in concreto l’impossibilità dell’effettiva custodia del bene, a causa della notevole estensione dello stesso e delle modalità d’uso da parte di terzi, l’ente pubblico risponde dei pregiudizi subiti dall’utente, secondo le regole generali art l’art. 2043 c.c., con la conseguenza che incombe sul danneggiato l’onere della prova circa l’esistenza di una situazione insidiosa, non visibile e non prevedibile.
Recenti sentenze in materia:
Cassazione civile, sez. VI-3, ordinanza 10 marzo 2021, n. 6554
Quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un’evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l’esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro.
Cassazione civile, sez. III, sentenza 16 febbraio 2021, n. 4035
Ove sia dedotta la responsabilità del custode per la caduta di un pedone in corrispondenza della
sconnessione o buca di un marciapiede, l’accertamento della responsabilità deve essere
condotto ai sensi dell’art. 2051 c.c. e non risulta predicabile la ricorrenza del caso fortuito a fronte
del mero accertamento di una condotta colposa della vittima (la quale potrà invece assumere
rilevanza, ai fini della riduzione o dell’esclusione del risarcimento, ai sensi dell’art. 1227, comma 2,
c.c.), richiedendosi, per l’integrazione del fortuito, che detta condotta presenti anche caratteri di
imprevedibilità ed eccezionalità tali da interrompere il nesso causale tra la cosa in
custodia e il danno.
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Note
[1] Cass. Civ. 3651/2006
[2] Cass. Civ. .2308/2007
[3] Cass. 18753/2017
[4] Cass. 18325/2018
[5] Cass. 456/2021
[6] Cass. 16295/2019
[7] Cass. 11753/2017
[8] Cass.9693/2020
[9] S.U. 100893/2001
[10] Sul punto si veda Cass.24215/2019. Per ciò che concerne le condizioni di tempo e luogo qualora l’insidia sia agevolmente prevedibile, e quindi evitabile, con un adeguato grado di diligenza alla guida, va esclusa la responsabilità dell’Ente gestore.
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