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Il diritto del lavoratore, vittima di infortunio su lavoro, al risarcimento a carico del datore di lavoro – civilmente e penalmente responsabile – del danno biologico ulteriore (o differenziale) rispetto a quello indennizzato dall’INAIL a seguito dell’entrata in vigore del D. Lgs. 38/00.
La questione, di particolare attualità, è stata dal sottoscritto affrontata durante una discussione di una causa di lavoro pendente innanzi al Tribunale di Torino.
Per tale motivo ci si scusa se in alcune parti il presente articolo apparirà forse eccessivamente schematico e sintetico, ciò è attribuibile al fatto che originariamente rappresentava unicamente una traccia da seguire durante l’esposizione orale.
La novità della materia è sottolineata dalla scarsità di pronunce giurisprudenziali sul punto.
L’unico precedente di cui si ha notizia consiste nella sentenza n. 3393/03 del Tribunale di Torino, Sez. Lavoro, pubblicata in data 16/06/03, ampiamente criticata dalla dottrina.
La trattazione del problema è preceduta da una breve panoramica storica al fine di consentirne un inquadramento sufficientemente corretto
Evoluzione storica del concetto di danno alla salute in campo civile e in campo previdenziale
Inizialmente e sino agli anni ’70 vi era una sostanziale coincidenza tra i due tipi di danno.
Entrambi avevano natura essenzialmente patrimoniale, in entrambi oggetto del risarcimento era la capacità lavorativa generica (fictio spesso usata anche in campo civile in luogo del danno emergente e del lucro cessante).
Con tale espressione si giustificava un risarcimento del danno non direttamente collegato ad una riduzione di reddito.
Il risarcimento infatti prescindeva da una reale perdita di guadagno dovuta all’impossibilità di svolgere attività lavorative specifiche.
Tant’è che si faceva luogo a risarcimento anche laddove il lavoratore, a seguito del danno, continuava a svolgere le stesse identiche mansioni, senza alcuna riduzione retributiva (ad esempio lesione avente ad oggetto la perdita di un piede in chi svolge il proprio lavoro da seduto).
Per certi versi il risarcimento aveva già insita in sé una componente non patrimoniale, un primo timido tentativo di compensare in qualche modo un danno alla salute.
In tale contesto si inseriva armonicamente l’art. 10 del D.P.R. n. 1124 /1965.
Il datore di lavoro era esonerato dalla responsabilità civile in quanto il danno che avrebbe dovuto risarcire al lavoratore era integralmente corrisposto in sua vece dall’INAIL.
Il lavoratore d’altro canto era indennizzato indipendentemente dall’esistenza di una colpa di un responsabile civile (datore di lavoro) e, se avesse agito civilmente contro il datore di lavoro in colpa, difficilmente avrebbe ottenuto un risarcimento maggiore di quello pagato dall’INAIL.
Nel caso in cui il risarcimento civile avesse superato l’indennizzo offerto dall’INAIL, come correttivo di possibili disparità di trattamento a scapito del lavoratore, questi era legittimato a chiedere il danno differenziale, se la condotta del datore di lavoro era penalmente rilevante; il che vale a dire se sussisteva una colpa del datore di lavoro, non puramente generica.
Logicamente in tale epoca storica il danno differenziale non poteva che avere natura patrimoniale e doveva essere puntualmente provato dal danneggiato.
Tale sistema così architettato consentiva sostanzialmente un rispetto del principio di uguaglianza.
Il lavoratore danneggiato in ogni caso poteva usufruire di un risarcimento della propria lesione non inferiore a quello spettante a qualsiasi altra vittima di lesione.
Anzi laddove l’indennizzo offerto dall’INAIL fosse stato più alto del risarcimento dovuto in virtù degli ordinari principi civilistici, il lavoratore avrebbe goduto di una tutela maggiore rispetto ad un altro cittadino.
Tale lieve eccezione al principio di uguaglianza poteva giustificarsi con la maggiore protezione, costituzionalmente garantita, che il nostro ordinamento riserva ai diritti dei lavoratori (desumibile dagli artt. 1, 4, 35 Cost.).
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Tali equilibri subivano un netto stravolgimento in conseguenza dell’avvento del danno biologico.
Tale figura nasceva in campo prettamente civilistico come nuova figura di danno risarcibile a seguito di lesioni.
Il concetto di danno biologico si sostituiva alla fictio della riduzione della capacità lavorativa generica e consentiva (e consente tuttora) un risarcimento diretto del bene salute in sé considerato senza alcuna connotazione patrimoniale.
Il risarcimento del danno civile da lesione non coincideva più con l’indennizzo del danno previdenziale.
Il primo risultava nettamente maggiore rispetto al secondo.
Questa sproporzione a sfavore del lavoratore infortunato non era coerente con il nostro ordinamento e imponeva una correzione.
Tale correzione fu approntata dalla giurisprudenza, nel colpevole silenzio del legislatore.
Venne completamente riletto l’art. 10 del Testo Unico, al fine di eliminare l’esonero della responsabilità civile del datore di lavoro.
Le sentenze della Corte Costituzionale 87/91, 356/91 e 485/91 svolgevano questo ragionamento: l’esonero, così come il danno differenziale, sono strettamente collegati al sistema indennitario dell’INAIL che prevedeva il pagamento della perdita di capacità lavorativa generica e non del danno biologico; pertanto non possono precludere al danneggiato l’azione per l’ottenimento del danno biologico dal datore di lavoro-responsabile civile.
Ciò in virtù del principio enunciato dalla Corte secondo cui “se non si fa luogo a prestazione previdenziale, non vi è assicurazione: mancando l’assicurazione cade l’esonero”
Il risultato di tale elaborazione giurisprudenziale portava ad un risarcimento a favore del lavoratore certamente superiore a quello garantito ad un comune cittadino, ma il principio di uguaglianza era fatto salvo sempre in virtù del concetto di favore per il soggetto lavoratore contenuto nella Carta Costituzionale, anche se con maggiori forzature.
Il lavoratore infatti poteva godere sia dell’indennizzo INAIL avente ad oggetto la perdita della capacità lavorativa generica (indennizzo che in sé racchiude già in parte un risarcimento del bene salute in quanto scollegato da un effettivo danno patrimoniale), sia del risarcimento del danno biologico a carico del datore di lavoro.
Il primo indennizzo prescindeva dal riscontro di una responsabilità civile di un terzo ed operava quindi anche in caso di forza maggiore, caso fortuito e colpa del lavoratore, il secondo risarcimento presupponeva il riconoscimento di una colpa del datore di lavoro.
In tale abbondanza di indennità e risarcimenti perdeva certamente importanza il danno differenziale patrimoniale.
Perché infatti affannarsi a provare puntualmente una perdita economica superiore all’indennizzo offerto dall’INAIL, quando difficilmente tale perdita sarebbe stata superiore all’indennizzo stesso e quando comunque cifre ben superiori si ottenevano già a titolo di risarcimento del danno biologico?
Il decreto legislativo n. 38/2000
Con l’introduzione dell’indennizzo del danno biologico a carico dell’INAIL, in virtù dell’art. 13 D. Lgs.38/2000 potrebbe sembrare che il ragionamento compiuto dalla giurisprudenza costituzionale non sia più attuale.
Se il danno biologico ora finalmente costituisce oggetto della prestazione previdenziale, parrebbe non sussistere più alcun motivo ostativo all’esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile.
Tale soluzione appare però troppo semplicistica e conduce a dei risultati aberranti e paradossali, impedendo al lavoratore infortunato di ottenere lo stesso risarcimento garantito dalla legge ad altre categorie di cittadini (ad esempio le vittime di lesioni da circolazione stradale).
In contrapposizione ad essa si offrono due possibili valide alternative.
Compatibilità del principio contenuto nelle sentenze della Corte Costituzionale con il D. Lgs. 38/00
Il danno biologico previdenziale, introdotto dalla nuova normativa, non coincide con il danno biologico civile sotto svariati aspetti (più avanti esaminati in dettaglio).
Questa discrepanza rende in primo luogo sempre valido il principio espresso nella giurisprudenza costituzionale “se non si fa luogo a prestazione previdenziale, non vi è assicurazione: mancando l’assicurazione cade l’esonero” .
Gli elementi che differenziano il danno biologico introdotto dal D. Lgs. da quello risarcito in sede civile sono di carattere ontologico e quantitativo:
DIFFERENZE ONTOLOGICHE
a) La dizione letterale dell’art. 13
Tale norma introduce una definizione 1) in via sperimentale, 2) in attesa della definizione di carattere generale di danno biologico e dei criteri per la determinazione del relativo risarcimento 3) ai soli fini della tutela dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni su lavoro.
Ciò significa che tale definizione non può essere estesa ad altri campi del diritto in particolare a quello civile, per i quali si attende una definizione di carattere generale che fissi i criteri per la determinazione del risarcimento.
La definizione introdotta dalla norma in oggetto è solo sperimentale e limitata al settore previdenziale.
b) A riprova di ciò vi è l’ulteriore circostanza che il D. Lgs. 38/00 si riferisce costantemente ad indennizzo e mai a risarcimento del danno biologico.
Ciò per sottolineare che il danno biologico indennizzabile in sede previdenziale si distingue rispetto a quello civile per l’assenza del presupposto della colpa.
Colpa che è invece condizione necessaria per la risarcibilità del danno biologico civile.
La norma previdenziale oggetto di commento prevede cioè la corresponsione di un minimum sociale garantito nelle ipotesi in cui non sia ravvisabile la colpa di alcuno.
Il rischio dell’infortunio per caso fortuito o colpa del lavoratore si sposta sulla collettività, liberando il singolo prestatore d’opera da un onere troppo pesante da sopportare da solo in via esclusiva.
La copertura sociale non è però completa: l’indennizzo non è pari al risarcimento.
Citando una delle rare (ancora per poco si pensa) sentenze di merito ad oggi esistenti in materia (Trib. di Torino 16/06/03), le tabelle INAIL di indennizzo del danno biologico “non possono garantire la totalità del risarcimento”.
DIFFERENZE QUANTITATIVE
E si viene quindi alla differenza per così dire quantitativa tra danno biologico introdotto con il D. Lgs. 38/00 e il danno biologico civile.
Tali limiti possono essere così sintetizzati:
– In primo luogo, rispetto al risarcimento del danno alla salute determinato da colpa, il risarcimento offerto dall’INAIL è senz’altro inferiore per quanto concerne la quantificazione economica del punto percentuale di invalidità permanente.
– In secondo luogo, a parità di lesione, il punteggio percentuale attribuito dall’INAIL risulta inferiore rispetto a quello assegnato in sede di responsabilità civile.
– Inoltre sono escluse dalla tutela in questione le menomazioni di grado dall’1% al 6%, per le quali opera una franchigia.
– Infine nessun risarcimento è previsto per il danno morale e per l’inabilità temporanea.
Queste differenze quantitative sono molto rilevanti sia se si fa riferimento alle tabelle in vigore nei vari Tribunali sia se si fa riferimento alle tabelle legislative in vigore nel campo del danno da circolazione stradale (L. n. 57/2001).
Per cui se l’INAIL non indennizza integralmente il danno biologico, per quella parte non indennizzata, può ritenersi non vi sia prestazione previdenziale “se non si fa luogo a prestazione previdenziale, non vi è assicurazione: mancando l’assicurazione cade l’esonero”.
Ecco che il lavoratore è legittimato a richiedere quanto non indennizzato dall’INAIL direttamente al datore di lavoro civilmente responsabile.
Rilettura dell’art. 10 T.U. 1124/65 dopo l’entrata in vigore del D. Lgs. 38/00
Allo stesso risultato – del permanere in capo al civilmente responsabile dell’obbligo di risarcire al lavoratore quanto non ottenuto già in virtù dell’indennizzo INAIL – si può pervenire attraverso una rilettura aggiornata dell’art. 10 Testo Unico.
Prima dell’entrata in vigore del D. L.gs 38/00 la giurisprudenza era pervenuta a questa conclusione (Cass. Sez. Lav. 16/06/01, n. 8182): “In caso di operatività dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, l’esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile per i danni occorsi al lavoratore infortunato e la limitazione dell’azione risarcitoria di quest’ultimo al cosiddetto danno differenziale nel caso di esclusione di detto esonero per la presenza di responsabilità di rilievo penale, a norma dell’art. 10 D.P.R. n. 1124 del 1965 e delle inerenti pronunce della Corte costituzionale, riguarda la sfera dell’ambito della copertura assicurativa, cioè il danno patrimoniale collegato alla riduzione della capacità lavorativa generica, e invece – in armonia con i principi ricavabili dalle sentenze della Corte costituzionale n. 356 e 485 del 1991 e con il conseguente nuovo orientamento della giurisprudenza ordinaria sui limiti della surroga dell’assicuratore – non riguarda il danno alla salute o biologico e il danno morale di cui all’art. 2059 cod. civ., entrambi di natura non patrimoniale, al cui integrale risarcimento il lavoratore ha diritto ove sussistano i presupposti della relativa responsabilità del datore di lavoro”.
Se è vero il principio enunciato che l’esonero del datore di lavoro e la limitazione dell’azione risarcitoria dell’infortunato al danno differenziale riguardano la sfera dell’ambito della copertura assicurativa, non si può non considerare che l’estensione della copertura previdenziale con l’inserimento del danno biologico, facendo rivivere l’esonero, deve aver anche fatto resuscitare il danno differenziale.
Quest’ultimo inteso non più come danno prettamente patrimoniale, bensì come differenza tra danno biologico indennizzato dall’INAIL e danno biologico risarcito secondo i comuni principi in vigore nelle corti civili.
L’art. 10 ritorna ad avere il suo significato originario: l’esonero del datore di lavoro viene meno e quindi permane la responsabilità civile del datore di lavoro allorché vi sia condanna penale per il fatto dal quale l’infortunio è derivato.
In tale caso il lavoratore sarà legittimato a chiedere il danno biologico differenziale, sottraendo dalle proprie richieste quanto percepito dall’INAIL, secondo il disposto del comma VII° art. 10: “quando si faccia luogo a risarcimento, questo è dovuto solo per la parte che eccede le indennità liquidate”.
Il raffronto con quanto liquidato in casi analoghi in virtù delle tabelle in vigore nei Tribunali ovvero sancite nella L. 57/01 non può che portare alla conclusione che il lavoratore infortunato avrà quasi sempre diritto ad un’integrazione dell’indennità corrisposta dall’INAIL.
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Le conclusioni a cui si perviene portano a risolvere correttamente i problemi che hanno sempre pervaso questa materia:
– il lavoratore non ottiene doppio risarcimento;
– il datore di lavoro corrisponde una somma inferiore, scontando quanto già pagato in termini di contributi assicurativi INAIL;
– il lavoratore non viene discriminato rispetto ad un altro soggetto danneggiato.
Eventuale incostituzionalità dell’art. 13 D. Lgs. 38/00
Qualora non si accolgano le impostazioni proposte e si ritenga che il lavoratore non possa ottenere dal datore di lavoro civilmente e penalmente responsabile il risarcimento completo del proprio bene salute gravemente danneggiato, ciò mediante il pagamento di una somma che integri l’indennità corrisposta dall’INAIL fino a raggiungere l’ammontare del risarcimento che in casi analoghi spetta ad un soggetto non lavoratore; l’unica conseguenza logica possibile è la declaratoria di incostituzionalità del Decreto Legislativo n. 38 del 2000, in particolare dell’art. 13 dello stesso e delle correlative tabelle, per contrasto quantomeno con gli artt. 1, 3, 4, 35 della Costituzione.
In particolare e brevemente.
ART. 1, 4, 35 COST. (favor laboratoris)
La stessa Corte Costituzionale nella decisione n. 87 del 1991 aveva sancito come “il rischio delle menomazioni dell’integrità psico-fisica del lavoratore, prodottasi nello svolgimento e a causa delle sue mansioni, debba di per se stesso godere di una garanzia differenziata e più intensa, che consenta quella effettiva, tempestiva ed automatica riparazione del danno che la disciplina comune non è in grado di apprestare”.
La Corte, conformemente al dettato costituzionale, ha invocato una tutela più intensa per la salute del lavoratore rispetto alla tutela comune.
Se differenziazioni di tutela possono farsi circa la salute dei lavoratori, esse possono essere solo in melius.
D’altra parte nel breve excursus storico svolto si è visto come in ogni caso la salute dei lavoratori è sempre stata privilegiata rispetto a quella dei comuni cittadini, a volte creando delle disparità forse eccessive in senso inverso.
Tali disparità a favore dei lavoratori hanno comunque sempre tratto giustificazione dal principio costituzionale primario sancito dall’art. 1 (nonché dagli artt. 4 e 35) della Carta secondo cui: l’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro (e, si consenta, non sulla circolazione stradale).
Tale principio sarebbe stravolto e violato accettando un’interpretazione dell’art. 13 D. Lgs 38/00 che consentisse un risarcimento dell’infortunio sul lavoro inferiore rispetto al risarcimento di una lesione identica, ma non occasionata in ambito lavorativo.
ART. 3 COST.
Anche se non si ritenesse che i lavoratori godano di una tutela costituzionale rafforzata in virtù del principio in precedenza esposto, sembra indubitabile che essi non debbano, quantomeno, essere discriminati rispetto ad altri cittadini.
Tale discriminazione è evidente se si confronta l’indennizzo INAIL, sia con i risarcimenti liquidati sulla base delle tabelle giurisprudenziali in vigore presso le singole corti civili, sia con i risarcimenti per le lesioni da circolazione stradale introdotti con la L. n. 57/01.
Se il primo raffronto può apparire meno sintomatico della incostituzionalità della norma in questione, in quanto le tabelle adottate nei Tribunali non sono per nulla vincolanti e sono comunque espressione di una valutazione del danno in via equitativa rimessa al Giudicante (nelle ipotesi ove ciò è possibile), il secondo raffronto mette in luce drammaticamente una disparità di trattamento incostituzionale.
Un danno biologico pari all’8% patito da un soggetto di anni 50 viene indennizzato dall’INAIL con un importo capitale di vecchie lire pari a 10.080.000.
Lo stesso danno sarebbe stato risarcito in base alle tabelle della L. 57/01 in L. 16.128.000, oltre al danno morale per ulteriori svariati milioni, oltre all’inabilità temporanea.
Senza considerare che nei due campi – previdenziale e civilistico – vigono tabelle differenti, per cui la stessa lesione potrebbe essere valutata con gradi percentuali diversi.
L’incongruenza potrebbe aggravarsi, sino a raggiungere il paradosso giuridico, se si pensa all’estensione della copertura assicurativa prevista dalla nuova norma ai casi di infortunio in itinere.
Qualora il soggetto vittima incolpevole di un incidente stradale fosse un lavoratore in viaggio verso il proprio posto di lavoro (o di ritorno da esso) dovrebbe accontentarsi del risarcimento previsto dal D. Lgs. n. 38/00, dovendo rinunciare a richiedere l’integrale indennizzo del proprio danno alla salute nei confronti dell’assicurazione del responsabile.
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Si spera di aver fornito degli spunti per un ulteriore dibattito giuridico, in attesa di conoscere l’evoluzione giurisprudenziale, che certamente non tarderà a venire.
Torino, lì 22 Ottobre 2003
Avv. Francesco Ferolla
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