Danno catastrofale: non risarcibile se la vittima versa in stato vegetativo

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Il danno catastrofale: premessa e definizione

Il danno catastrofale (o danno morale terminale) è il frutto del prosieguo dell’elaborazione pretoria attorno al laconico ma miliare articolo 2059 del Codice civile. Se questa norma, infatti, legittima la presenza del danno non patrimoniale nel nostro ordinamento, il danno catastrofale è una species di questa categoria, da tempo e tuttora sviscerata e analizzata col microscopio, in un processo di ‘’atomizzazione’’.

I nobili fini di questa continua operazione ermeneutica sono due: da un lato, assicurare che, rinvenuto un bene giuridico meritevole di tutela, ne sia assicurata la risarcibilità (almeno nell’an) in caso di lesione per fatto illecito; per evitare tuttavia la proliferazione incontrollata di voci da risarcire, d’altro canto, l’operatore nel suo ufficio interpretativo terrà sempre a mente il principio di diritto comune del ne bis in idem: evitare quindi duplicazioni risarcitorie.

La situazione giuridica alla base della sussunzione al danno catastrofale, secondo fitta giurisprudenza[1] consiste nella cosciente e lucida percezione della vittima dell’imminente morte, e quindi nell’indescrivibile sensazione che il proprio exitus è alle porte. Il danno catastrofale è quindi un danno morale soggettivo, che deve prima entrare a far parte del patrimonio della vittima e poi, eventualmente, essere invocato dagli eredi in giudizio nella rosa delle pretese iure hereditatis.

La sentenza della Suprema Corte, n° 2773 del 31 gennaio 2019: i fatti di causa

Nel caso di specie, la Sig.ra C.R. agiva in giudizio a seguito della morte, verificatasi a pochi giorni dalla nascita, del figlio N. ed imputabile ad errore professionale del reparto di ginecologia dei sanitari, chiedendo al Giudice che Fondazione X (presumibilmente l’U.O. ovvero la compagnia assicurativa) risarcisse il danno ex art. 2059.

Nel corso dei giudizi, in prime cure e poi in appello, alla ricorrente veniva riconosciuta spettanza dei danni patiti iure proprio, ma al contempo negata la pretesa iure hereditatis del danno catastrofale subito dal neonato.

A fondamento delle decisioni dei giudici vi sono le risultanze della consulenza medico-legale: il quadro di grave asfissia neonatale e l’arresto cardiorespiratorio alla nascita (con indice ‘’0’’ Agpar al primo minuto) cui era seguita l’evoluzione ipossico-ischemica fino alla morte, deponevano per uno stato vegetativo del neonato tale da escludere la percezione di alcuna sofferenza psichica o fisica anteriormente al decesso, atteso che la permanenza dell’attività cardiaca non modifica lo status di totale assenza di attività e funzionalità cerebrale.

La sentenza di appello viene ritualmente impugnata in Cassazione.

Il principio di diritto. Considerazioni.

Tra le varie doglianze della ricorrente, quella che rileva in questa sede è la riproposizione della domanda sul danno morale terminale iure hereditatis. La Suprema Corte premette che il danno catastrofale consiste in una manifestazione psichica-emotiva profonda del soggetto umano e dunque ad una riflessione e comprensione (…) dell’irreversibile processo che in breve tempo determinerà il venire meno della stessa esistenza del soggetto, e quindi implica necessariamente lo ‘’stato di coscienza’’, ossia che la vittima abbia avuto effettiva consapevolezza di sé stessa e della situazione contingente che stava vivendo. Ciò considerato, la Corte continua escludendo il risarcimento del danno in questione in tutti i casi in cui nel periodo di sopravvivenza vi sia assenza di attività cerebrale ed il soggetto versi in stato di totale incoscienza (c.d. stato vegetativo).

Correttamente, quindi, la Corte di Cassazione conferma quanto statuito dalla Corte d’Appello di Milano, e riconosce l’assenza dei presupposti per la liquidazione del danno morale terminale. Correttamente, decide sulla base delle risultanze medico-scientifiche che evidenziano lo stato vegetativo, ritenendo tale ragione assorbente.

Tuttavia, ad avviso di chi scrive, rimane trascurata una spinosa questione, che se gli Ermellini avessero ritenuto ‘’di particolare importanza’’ ai sensi dell’art. 363 c.p.c. III co., avrebbero potuto affrontare d’ufficio in questa pronuncia. Se ai fini della riscontrabilità del danno catastrofale è richiesto lo ‘’stato di coscienza’’, quid iuris nel caso in cui la vittima versi in alcune condizioni di incapacità – tra cui anche lo stato neonatale – che proprio della coscienza e della percezione esterna fanno dubitare? Sarà il tempo a far luce sulla fondatezza di tale interrogativo, ed eventualmente a dare una risposta.

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Note

[1] ad esempio, Cass. nn. 11601/2005, 28423/2008, 458/2009, 2564/2012, 13537/2014 e, ovviamente, il caso de quo (Cass. n. 2773/2019)

Maccarrone Luigi

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