Danno causato dall’opera dell’appaltatore

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Con la sentenza numero 17801 del 27.06.2024 la III Sezione della Corte di Cassazione, presidente Scrima, relatore Cricenti, chiarisce i termini della responsabilità dei danni causati a terzi dall’appaltatore e la relativa legittimazione passive.

Per approfondimenti si consiglia il seguente volume il quale ha la finalità di spiegare, orientare e far riflettere sulla introduzione delle “nuove” possibilità della giustizia civile: La Riforma Cartabia della giustizia civile

Corte di Cassazione – Sez. III Civ. – Sent. n. 17801 del 27/06/2024

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Indice

1. I fatti di causa e i giudizi di merito

I fatti di causa possono riassumersi come segue.
Tizio è un avvocato, con studio in un appartamento compreso in una palazzina di proprietà di Caio, che detiene in ragione di un contratto di locazione.
Caio affida i lavori di ristrutturazione della palazzina alla ditta Alfa, prevedendo che venisse effettuata la coibentazione dell’intera palazzina, che si trovava nel centro storico della città.
Caio, nominava anche un direttore dei lavori nella persona dell’architetto Sempronio, e un coordinatore e responsabile della sicurezza nella persona del geometra Mevio; va detto, altresì, che l’impresa Alfa aveva un solo dipendente e può ben essere definita una azienda a conduzione familiare, dalla cui visura non risulta una particolare competenza per i lavori appaltati, ma una generica cognizione di termini di opere edili.
I lavori prevedevano l’uso di materiali infiammabili, e purtroppo, nel 2008, si sviluppò un incendio che interessò tutta la palazzina, e quindi anche l’appartamento occupato dal legale, che venne totalmente distrutto sia negli arredi che nei fascicoli.
Tizio, quindi, con giudizio proseguito dai due figli una volta deceduto, convenne in giudizio al fine di ottenere il risarcimento dei danni tutti patiti, sia Caio, nella qualità di proprietario, che l’impresa Alfa, nonché il direttore dei lavori Sempronio e il responsabile della sicurezza Mevio. In particolare l’allora attore chiedeva essere risarcito dei danni da lucro cessante, e quindi gli arredi di pregio, i libri antichi e i fascicoli, che da mancato guadagno, per la impossibilità di svolgere l’attività professionale, anche in relazione alle altre filiali dello studio e per la perdita di clientela.
In primo grado la domanda venne accolta, con condanna in capo alla sola ditta Alfa, al risarcimento della somma di euro 250.000, con sensibile decurtazione dell’originaria richiesta di oltre un milione e mezzo di euro. Veniva rigettata, invece, la domanda con condanna alle spese, pari a oltre 40.000 euro, per i restanti convenuti.
In sede di appello, la corte di merito riformava parzialmente la sentenza, aumentando di poche decine di migliaia di euro il quantum risarcitorio, ma confermando l’assenza di responsabilità in capo ai residui convenuti.
La motivazione a sostegno dell’assenza di responsabilità in capo a Caio, Sempronio e Mevio, individuata dal Tribunale e confermata dalla Corte d’appello è nel fatto che la responsabilità dell’incendio e dei conseguenti danni deve attribuirsi interamente ed esclusivamente all’appaltatore, il quale ha scaldato troppo la guaina, prima di applicarla su uno strato legnoso, e non si è poi accorto del principio di incendio, non avendo usato la cautela, come invece avrebbe dovuto, di far sorvegliare la zona da una persona attenta a che non si sviluppasse un incendio, come era stato suggerito dal geometra responsabile della sicurezza.
I giudici di merito escludevano la responsabilità del proprietario dell’immobile in quanto, avendo costui affidato i lavori alla impresa appaltatrice, aveva perso il potere di fatto sul bene, e, che, del resto, in ragione dell’età, non era neanche in grado di esercitarlo, e dunque non aveva la possibilità di impedire l’evento, che peraltro si poneva rispetto alla condotta del proprietario come un caso fortuito imprevedibile ed inevitabile.
Veniva, altresì, esclusa la responsabilità del responsabile della sicurezza, in quanto questi aveva predisposto il relativo piano che, evidentemente, non era stato rispettato dall’appaltatore.
Infine non era individuata una culpa in eligendo del proprietario, per il sol fatto che la ditta scelta non aveva specifiche competenze in materia, poiché si trattava di lavori edili generici e per i quali non era necessaria una particolare specializzazione. Del pari non si individuava neppure una responsabilità in capo al direttore dei lavori, che pur aveva patteggiato nel processo civile originato dai fatti, in quanto la sentenza di patteggiamento non era da sola idonea a dimostrare la responsabilità per i fatti civilmente illeciti dedotti dall’attore.
Per approfondimenti si consiglia il seguente volume il quale ha la finalità di spiegare, orientare e far riflettere sulla introduzione delle “nuove” possibilità della giustizia civile:

FORMATO CARTACEO

La Riforma Cartabia della giustizia civile

Aggiornata ai decreti attuativi pubblicati il 17 ottobre 2022, la presente opera, che si pone nell’immediatezza di questa varata “rivoluzione”, ha la finalità di spiegare, orientare e far riflettere sulla introduzione delle “nuove” possibilità della giustizia civile. Analizzando tutti i punti toccati dalla riforma, il volume tratta delle ricadute pratiche che si avranno con l’introduzione delle nuove disposizioni in materia di strumenti alternativi di risoluzione delle controversie, nonché di processo di cognizione e impugnazioni, con uno sguardo particolare al processo di famiglia, quale settore particolarmente inciso dalle novità. Un focus è riservato anche al processo del lavoro, quale rito speciale e alle nuove applicazioni della mediazione e della negoziazione assistita, che il Legislatore pare voler nuovamente caldeggiare. Francesca SassanoAvvocato, è stata cultrice di diritto processuale penale presso l’Università degli studi di Bari. Ha svolto incarichi di docenza in numerosi corsi di formazione ed è legale accreditato presso enti pubblici e istituti di credito. Ha pubblicato: “La nuova disciplina sulla collaborazione di giustizia”; “Fiabe scritte da Giuristi”; “Il gratuito patrocinio”; “Le trattative prefallimentari”; “La tutela dell’incapace e l’amministrazione di sostegno”; “La tutela dei diritti della personalità”; “Manuale pratico per la protezione dell’incapace”; “Manuale pratico dell’esecuzione mobiliare e immobiliare”; “Manuale pratico delle notificazioni”; “Manuale pratico dell’amministrazione di sostegno”; “Notifiche telematiche. Problemi e soluzioni”.

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2. Danno causato dall’opera dell’appaltatore: la questione giunta in Cassazione

Tizio, e orami i suoi aventi causa, proponeva ricorso per cassazione, nel quale assumono interesse per i temi trattati i primi due motivi.
Con il primo motivo si censurava, ex. art. 360 I comma n. 3, violazione degli articoli 1140, 2051 e 1218 del codice civile, per avere mancato la corte di merito di individuare comunque una responsabilità in capo al proprietario atteso che questi, pur in costanza di un contratto di appalto, rimane custode del bene di cui è proprietario.
Con il secondo motivo, sempre ex. art. 360 I comma n. 3, si censurava la violazione degli articoli 2043, 1655 e 2049, per culpa in eligendo, per avere Caio scelto la ditta Mevio, che si identificava come una impresa familiare, che di fatto faceva venir meno il presupposto del contratto di appalto, non essendoci una struttura appaltante idonea allo scopo.
La corte rigetta i motivi, previa sottolineatura che li stessi mirano a sussumere la questione sotto due istituti diversi; la responsabilità ex art. 2051 cc nel primo motivo e quella ex. art. 2043 cc nel secondo, e che quindi era necessario inquadrare giuridicamente la questione.
Afferma la Corte di legittimità che “una responsabilità da articolo 2051 c.c. presuppone che il danno sia causato dalla cosa per via, come si suol dire, del suo dinamismo, mentre una responsabilità ex articolo 2043 cc presuppone che la cosa sia azionata dall’uomo, ossia che il danno derivi dalla cosa in quanto utilizzata in quel momento dall’uomo, e dunque, in ultima analisi, che il danno derivi più che dalla cosa dalla condotta di chi la utilizza, o di chi sulla cosa interviene”.
Ebbene, nel caso di specie, assumono gli Ermellini il danno è stato causato da una errata esecuzione dei lavori da parte dell’appaltatore, e quindi dal terzo e non dal dinamismo in sé della cosa. Pertanto, non di danno da cosa in custodia si tratta, ma danno da attività imprudente o imperita.
Di conseguenza viene esclusa una responsabilità da cose in custodia, come prospettato nel primo motivo. Che quindi viene rigettato, in quanto “il committente non risponde per un danno causato da una cosa che ha affidato ad altri, e della quale abbia dunque perso la custodia, ma semmai risponde per fatto altrui, cioè per il danno causato a terzi da un soggetto a cui lui ha affidato, nel suo interesse, l’esecuzione di determinati lavori.“
Nel secondo motivo, invece, il ricorrente coglie l’istituto corretto da applicare al caso di specie, ma questo comunque non determina l’accoglimento del motivo.
La Corte ribadisce il suo costante insegnamento a mente del quale “poiché l’appaltatore gode di autonomia organizzativa e gestionale, una responsabilità del committente per i danni causati a terzi durante l’esecuzione dell’opera è configurabile solo in due casi: o quando l’opera sia stata affidata ad impresa manifestamente inidonea (cosiddetta “culpa in eligendo”), ovvero quando la condotta causativa del danno sia stata imposta all’appaltatore dal committente stesso, attraverso rigide ed inderogabili direttive.”
Tuttavia il motivo, per quanto corretto dal punto di vista dell’istituto di riferimento, non è vagliabile perché l’accertamento della sussistenza di tali circostanze costituisce una indagine di fatto, riservata al giudice di merito ed incensurabile in sede di legittimità, se correttamente motivata”.
Poiché il giudice di merito ha accertato che i lavori affidati all’impresa convenuta non erano tali da richiedere una particolare specializzazione, o comunque non erano lavori che richiedevano una particolare difficoltà di esecuzione e perizia nel farli, sul punto la Corte di legittimità non può pronunciarsi. Infatti, questo accertamento è un accertamento in fatto, relativo alla natura della prestazione richiesta e al grado di specializzazione del prestatore, che è motivato dal giudice di merito in maniera sufficiente, e che non è messo in discussione dalla formale circostanza che l’impresa era iscritta alla Camera di Commercio per lavori non specializzati, posto che, per l’appunto, il giudice di merito, con accertamento in fatto, ha escluso che si potesse trattare di un lavoro di particolare specializzazione.
Altresì, trattandosi di responsabilità per fatto altrui, come previsto dall’articolo 2049 c.c., non ha rilievo il caso fortuito, che non è contemplato dalla norma quale causa di esenzione della responsabilità del committente, responsabilità che invece è delimitata nei termini previsti in precedenza.
Il ricorso viene quindi rigettato.

Michele Allamprese

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