Precedenti giurisprudenziali: Corte Cost. 233/2003; Cass. S. U., n. 6572/2006; Cass. 901/2018; Cass. 7513/2018
Per approfondire leggi anche “I danni non patrimoniali” scritto da Gianluca Pascale.
Fatto Corte di Cassazione, Sez. III civile, del 7 febbraio 2018
Una madre adiva il Giudice di primo grado per vedersi riconosciuto il diritto, in nome proprio ed in qualità di esercente la potestà del figlio, al risarcimento del danno non patrimoniale subito a causa del comportamento negligente da parte del medico e della struttura sanitaria ove esso operava.
Il danno subito era frutto dell’errata esecuzione dell’esame del DNA del bambino ai fini del riconoscimento della paternità. Tale esame aveva accertato la paternità di un uomo, poi risultato, a fronte di un nuovo esame, non essere padre del bambino.
Il Tribunale di primo grado, di fronte al quale si erano costituiti sia la struttura sanitaria che il medico della stessa rigettando l’addebito ascritto, aveva accolto la domanda attrice condannando il convenuto al pagamento del danno non patrimoniale da lesione di integrità psico-fisica nella misura dell’11% per il minore e del 5% per la madre. Il
Giudice di primo grado si era espresso negativamente, invece, rispetto alla richiesta di risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale, basando la sua decisione sull’assenza della prova dell’instaurazione di un vero e proprio rapporto parentale tra il minore ed il presunto padre.
La sentenza, per quanto qui di interesse, veniva impugnata dalla madre di fronte alla Corte d’Appello, che accoglieva il ricorso aumentando l’entità del danno non patrimoniale subito dal solo bambino.
Non soddisfatta dalla decisione assunta dal Giudice di secondo grado, la madre decideva di adire la Corte di Cassazione con due ordini di motivi, entrambi riferiti al mancato riconoscimento del danno da perdita del rapporto parentale tra il bambino ed il presunto padre. Secondo la parte ricorrente, infatti, la Corte d’Appello pur avendo accertato l’esistenza di un legame affettivo tra il bambino e l’uomo che credeva essere il padre ed i nonni che credeva fossero tali, ha affermato che non poteva essere liquidato il relativo danno per la ragione che l’uomo era ancora vivente.
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La decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione, valutati gli atti, ha rigettato il ricorso ritenendo che la Corte d’Appello, seppur con una errata motivazione, aveva però correttamente tenuto conto del danno subito dal bambino per la perdita del rapporto con il presunto padre, aumentando l’importo del risarcimento del danno liquidato dal Giudice di primo grado.
Gli Ermellini nel motivare la decisione assunta in ordine al ricorso proposto dalla madre hanno evidenziato che nella valutazione del danno alla salute il giudice di merito deve valutare tanto le conseguenze subite dal danneggiato nella sua sfera morale, che si collocano nella dimensione del rapporto del soggetto con se stesso, quanto quelle incidenti sul piano dinamico relazionale della sua vita, e cioè della relazione del soggetto con la realtà esterna.
Sulla base di detto principio la disgiunta liquidazione del danno biologico e del danno morale andrebbero a configurare una duplicazione risarcitoria, appartenendo entrambe alla stessa categoria di danno protetta dalla norma costituzionale. Pertanto è da ritenersi corretta la decisione del Giudice di merito che attribuisce al soggetto una somma di denaro che tenga conto del pregiudizio complessivamente subito, tanto sotto l’aspetto della sofferenza interiore quanto sotto il profilo dell’alterazione o modificazione peggiorativa della vita di relazione in ogni sua forma, senza ulteriori frammentazioni nominalistiche.
La Corte di Cassazione valutando il caso concreto ha ritenuto corretto l’operato della Corte d’Appello che ha riconosciuto una somma maggiore del danno non patrimoniale liquidato dal giudice di primo grado, correggendone però la motivazione. Secondo i Giudici di legittimità la Corte d’Appello aveva erroneamente escluso il danno da perdita del rapporto parentale, perché il presunto padre era ancora in vita, ritenendo che tale fattispecie di danno fosse configurabile solo nel caso di morte del prossimo congiunto.
La Corte di Cassazione a tal proposito ha ricordato che il danno conseguente alla lesione del rapporto parentale deve essere riconosciuto in relazione a qualsiasi tipo di rapporto che abbia le caratteristiche di una stabile relazione affettiva, indipendentemente dalla circostanza che il rapporto sia intrattenuto con un parente di sangue o con un soggetto che non sia legato da un vincolo di consanguineità naturale. Pertanto, il danno da perdita del rapporto parentale spetta quando vi sia la rottura di tale rapporto anche con un soggetto non consanguineo ma che rappresenti per il danneggiato la identica figura del padre, e anche quando tale rottura sia determinata da un evento diverso dalla morte.
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