La CEDU ha riaffermato, anche di recente, la valenza non sanzionatoria, ma meramente risarcitoria del danno all’immagine, di cui il prodromico giudizio penale costituisce mera condizione di procedibilità.
Ne consegue che la giurisdizione del giudice contabile non invera un inammissibile bis in idem, stante l’autonomia del giudizio contabile rispetto a quello penale.
Il quantum debeatur liquidato dal giudice contabile è, infatti, stabilito in via equitativa, e non in misura fissa, come avviene, in genere, per le sanzioni pecuniarie.
La sentenza costituisce una summa dei principi processuali, in tema di danno all’immagine, maturati dalla giurisprudenza contabile, costituzionale e dalla CEDU.
In nota, si dà conto dell’ultimo approdo CEDU sulla vicenda Rigolio, come enucleato nel 2023.
In materia si consiglia il volume: Le tabelle del Tribunale di Milano per la liquidazione del danno non patrimoniale
Indice
1. La vicenda
La Procura Regionale della Corte dei Conti Abruzzo conviene in giudizio il Presidente dell’Ambito Territoriale Ottimale 4 di Pescara, per sentirlo condannare al pagamento di euro 30.000,00 a titolo di danno all’immagine.
Tale soggetto era stato condannato per peculato, ai sensi artt. 81 e 314 c.p., per indebito utilizzo delle autovetture di servizio dell’ente e del telepass in relazione al pagamento di 57 viaggi (andata e ritorno) sul tratto autostradale Pescara-Roma, per fittizie spese di rappresentanza, nonché per corruzione al fine del conseguimento di laurea specialistica, attraverso un artificio (rimborso di titoli di credito per importo inferiore a quanto ricevuto da parte di professore compiacente).
Trattandosi di sentenza irrevocabile di condanna, il Procuratore regionale per l’Abruzzo esercitava l’azione per danno all’immagine, che quantificava in via equitativa, ex art. 1226 c.c., in 30.000 euro, utilizzando i parametri elaborati in merito dalla giurisprudenza contabile, nonché il criterio di cui all’art. 1, comma 1-sexies, della l. n. 20/1994 (introdotto dall’art. 1, comma 62, l. n. 190/2012) che, ancorché non applicabile a fatti anteriori alla sua entrata in vigore, purtuttavia enucleava il disvalore per i fatti illeciti commessi da dipendenti o amministratori pubblici autori di reati contro la pubblica amministrazione.
La Sezione giurisdizionale della Corte dei Conti per l’Abruzzo condannava il convenuto al pagamento di euro 10.000, 00, avendo accolto solo in parte la domanda attorea.
Avverso tale sentenza il condannato ha interposto appello, muovendo, in via preliminare, l’eccezione di prescrizione e la questione di legittimità costituzionale della disciplina di cui all’art. 17, comma 30-ter, del d.l. n. 78/2009, estendendo la censura di incostituzionalità (già avanzata in primo grado limitatamente alla norma predetta) a tutto il complesso di norme, che attribuiscono la giurisdizione sul risarcimento del danno all’immagine al Giudice contabile, anziché a quello ordinario.
L’affidamento della tutela del danno all’immagine della P.A. anche alla Corte dei conti, piuttosto che al solo Giudice ordinario, aggraverebbe “la posizione del convenuto, esposto ad un processo infinito”.
Perciò, l’appellante solleva anche la questione di giurisdizione in tema di danno all’immagine, risultando contraria ai parametri costituzionali e CEDU l’attribuzione di essa al Giudice contabile, perché foriera di irragionevole durata del giudizio.
Contesta, inoltre, la natura esclusivamente sanzionatoria del pagamento a cui è stato condannato, stante la quantificazione del danno, totalmente avulsa da un preciso evento dannoso e dalla persona del danneggiato.
Con ulteriore doglianza, la parte appellante lamenta, poi, il vizio di ultrapetizione della sentenza censurata: il Giudice di primo grado, rilevata l’erronea individuazione, da parte della Procura, della Regione Abruzzo quale amministrazione danneggiata, non avrebbe potuto modificare l’ente, che aveva patito il danno, disponendo la condanna a favore dell’ente regionale per il servizio idrico integrato (ERSI) Abruzzo.
In estremo subordine, chiede alla Sezione di ridurre l’avversa pretesa risarcitoria.
La Procura generale, invece, chiede di respingere l’impugnazione, con condanna dell’appellante al pagamento delle spese del grado di giudizio.
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2. La decisione della Prima Sezione Centrale d’Appello della Corte dei Conti
In via preliminare, il Collegio esamina la questione di giurisdizione, cui è strettamente correlata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 17, comma 30-ter, d.l. 78/2009, estesa al complesso normativo, che attribuisce al giudice contabile la tutela risarcitoria per danno all’immagine, in luogo del giudice ordinario.
La questione di legittimità costituzionale è giudicata inammissibile, poiché generica, riguardando, in maniera indistinta, l’intero complesso normativo, che assegna la giudice contabile l’azione risarcitoria per danno all’immagine della p.a.
La questione di giurisdizione e la questione di legittimità costituzionale, sollevate dall’appellante con riferimento alla disciplina di cui all’art. 17, comma 30-ter, del d.l. n. 78/2009, convertito dalla l. n. 102/2009, sono manifestamente infondate.
L’art. 17, comma 30-ter, del d.l. n. 78/2009 prevede che: “le Procure della Corte dei conti esercitano l’azione per il risarcimento del danno all’immagine nei soli casi e nei modi previsti dall’art. 7 della l. 97/2001. A tale ultimo fine, il decorso del termine di prescrizione, di cui al comma 2 dell’art. 1l. 20/1994, è sospeso fino alla conclusione del procedimento penale”.
Non vi è dubbio, pertanto, sulla scorta del dato letterale, che in materia di danno all’immagine della p.a., sussista la giurisdizione del giudice contabile.
La norma, che ha circoscritto la possibilità del Pubblico Ministero contabile di agire per il risarcimento del danno all’immagine di enti pubblici ai soli fatti costituenti delitti contro la P.A., accertati con sentenza passata in giudicato, introduce una condizione di mera proponibilità dell’azione di responsabilità davanti al giudice contabile (incidente, dunque, sui soli limiti interni della sua giurisdizione) e non una questione di giurisdizione, posto che ad incardinare la giurisdizione della Corte dei conti è necessaria e sufficiente l’allegazione di una fattispecie oggettivamente riconducibile allo schema del rapporto d’impiego o di servizio del suo preteso autore, mentre afferisce al merito ogni problema relativo alla sua effettiva esistenza (Corte di Cassazione, sentt. n. 13248/2019, n. 22081/2017, n. 25042/2016).
La scelta di affidare la giurisdizione, in questa materia, al giudice contabile è insindacabile: soltanto al potere legislativo può spettare di valutare se e quali siano le soluzioni più idonee alla salvaguardia dei pubblici interessi” (Corte costituzionale, sent. n. 773/1988).
Infatti, secondo il dettato dell’art. 103, comma 2, della Costituzione: “La Corte dei conti ha giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge”.
Né può dirsi che tale scelta comporti un allungamento dei tempi del giudizio, riposando la sua ratio in evidenti ragioni di garanzia, potendo l’azione contabile prendere avvio soltanto in seguito a una sentenza del Giudice penale passata in giudicato.
La sentenza definitiva emessa dal Giudice penale costituisce, dunque, condizione di procedibilità dell’azione del Giudice contabile per danno all’immagine, essendo, peraltro, sanzionati con la nullità eventuali atti istruttori o processuali posti in essere in violazione della predetta normativa.
Il sistema delineato dal legislatore ha già superato il vaglio del Giudice delle leggi (pronunce n. 335/2010, n. 219/2011, n. 220/2011, n. 286/2011), è volto ad assicurare il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione, nel rispetto degli artt. 24 e 111 Cost., non è arbitrario né irragionevole e non è, quindi, censurabile per i profili evidenziati dall’appellante.
Il dies a quo del termine di prescrizione deve essere individuato, in applicazione del principio di presunzione d’innocenza, che costituisce principio di civiltà giuridica fondamentale nel nostro ordinamento e per espressa previsione di legge, nella data della sentenza irrevocabile di condanna” (I Sezione giurisdizionale Centrale di Appello, sent. n. 527/2022).
La natura processuale della disposizione, nella parte che richiede la condanna penale definitiva per agire in giudizio, ne comporta l’applicabilità anche ai giudizi riferiti a fatti commessi prima della novella legislativa, per i quali, al sopraggiungere della nuova disciplina, non era stata attivata alcuna istruttoria (II Sezione giurisdizionale centrale di appello, sent. n. 3/2023).
La circostanza, poi, che l’amministrazione possa agire, in sede penale, per il risarcimento del danno mediante costituzione di parte civile, non appare dirimente ai fini dell’ipotizzata questione di legittimità costituzionale, posto che la giurisdizione civile e penale, da un lato, e la giurisdizione contabile, dall’altro, sono reciprocamente indipendenti nei loro profili processuali, anche quando investono un medesimo fatto materiale, stante l’autonomia dell’azione del Pubblico ministero contabile, che riveste carattere necessario e non può essere condizionata, in senso positivo o negativo, dalle singole amministrazioni danneggiate (Corte di Cassazione, Sez. Un., n. 16722/2020, n. 1515/2016), rilevando l’eventuale duplicazione delle azioni in diverse sedi, ai soli fini esecutivi.
La prospettata questione di legittimità costituzionale risulta, ad avviso del Collegio, manifestamente infondata anche con riferimento ai parametri CEDU, rilevato che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha affermato non solo che la responsabilità per danno erariale non è equiparabile a quella penale, ma ha anche confermato la natura risarcitoria della responsabilità azionata dinanzi alla giurisdizione contabile (sentenza Rigolio c. Italia del 13 maggio 2014)[1].
Per il Giudice d’Appello, correttamente, quindi, il giudice di prime cure ha ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale della disciplina del danno all’immagine per violazione della CEDU, precisando che “il giudizio di responsabilità amministrativa ha una funzione risarcitoria, essendo finalizzato a ristorare un pregiudizio di natura finanziaria subito dall’Amministrazione e non a tutelare interessi generali né a comminare una pena.
Pertanto, detta responsabilità, non avendo natura sanzionatorio-punitiva, non è assimilabile al concetto di “sanzione penale” e, dunque, l’esercizio dell’azione contabile, per gli stessi fatti, per i quali è stata esercitata l’azione penale, non configura alcuna violazione del principio del ne bis in idem.
Quanto alla censura relativa all’irragionevole durata del giudizio, occorre rilevare che i giudizi sono due, quello penale presupposto e quello risarcitorio-contabile susseguente: quest’ultimo assoggettato a un autonomo regime probatorio e al termine di prescrizione quinquennale decorrente dalla data di passaggio in giudicato della sentenza penale.
Peraltro, tali giudizi, come efficacemente rilevato dal Procuratore generale, restano distinti anche ai fini dell’equa riparazione per la violazione del termine ragionevole del processo, secondo la l. n. 89/2001.
Il Collegio ha rilevato come il “pagamento” quantificato in primo grado non avesse natura puramente sanzionatoria: infatti, il giudice contabile in prime cure ha effettuato le valutazione proprie del giudizio risarcitorio in ordine all’antigiuridicità delle condotte, alla quantificazione del danno in via equitativa, al ruolo rivestito dal pubblico dipendente nell’ambito della Pubblica Amministrazione, alla negativa impressione suscitata nell’opinione pubblica locale e anche all’interno della stessa Amministrazione, all’eventuale clamor fori e alla diffusione ed amplificazione del fatto operata dai mass-media.
Né è ravvisabile, nel caso di specie, il lamentato vizio di ultrapetizione, visto che la domanda introduttiva non poteva dirsi erronea, avendo il Procuratore regionale dichiarato che l’ATO 4 di Pescara era stato posto in liquidazione e confluito nell’Ente unico regionale ERSI Abruzzo-Ente Regionale Servizio Idrico Integrato, che, come correttamente rilevato dal Procuratore generale, è poi succeduto nei rapporti che facevano capo a detto ATO.
Per consolidata giurisprudenza, l’erronea indicazione dell’Amministrazione danneggiata, quando la stessa sia univocamente individuabile dal contesto, e l’errore non incida sulla individuazione del danno erariale dedotto a fondamento della domanda risarcitoria, costituisce una falsa demonstratio che (…) non nocet, risolvendosi in un’indicazione suscettibile di essere rettificata ex officio dal giudice con la pronuncia.
Ben diversa sarebbe l’ipotesi in cui venisse indicata un’amministrazione totalmente estranea alla fattispecie.
Ai sensi degli artt. 86 e 87 c.g.c., l’individuazione dell’amministrazione danneggiata non rientra tra gli elementi essenziali dell’atto introduttivo del giudizio richiesti a pena di nullità; pertanto, l’erronea indicazione, da parte del Pubblico ministero contabile, dell’amministrazione danneggiata non si traduce in un vizio della citazione.
L’art. 1, comma 4, della l. 20/1994, peraltro, prevede espressamente l’azione di responsabilità amministrativa anche nel caso in cui il danno sia stato cagionato ad amministrazioni o enti pubblici diversi da quelli di appartenenza (cosiddetto “danno obliquo”), così confermandosi il generale principio posto a salvaguardia delle finanze pubbliche.
Anche la domanda proposta in via subordinata dall’appellante e finalizzata a una riduzione della pretesa risarcitoria non può trovare accoglimento alla luce delle condotte dolose definitivamente accertate e del percorso motivazionale immune da censure del Giudice di primo grado.
Sulla scorta delle predette considerazioni, il Collegio, definendo il giudizio, ha respinto l’appello, con conferma integrale della sentenza di primo grado.
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- [1]
La Cedu è tornata sul caso Riglio, con un’altra pronuncia (Corte EDU, Sez. I, 9 marzo 2023, Rigolio c. Italia, n. 20148/09), con la quale ha escluso la violazione dell’art. 6 § 2 C.e.d.u. qualora la decisione del giudice contabile di condanna al pagamento del risarcimento per danno all’immagine subito da un’amministrazione pubblica ad opera di un amministratore (la cui vicenda penale si sia, però, conclusa con proscioglimento per prescrizione) non si basi su fatti o non utilizzi espressioni da cui desumere l’affermazione della colpevolezza penale del ricorrente.
La Corte di Strasburgo non ha ravvisato, né nella descrizione, né nella valutazione dei fatti in base ai quali il giudice contabile ha dichiarato responsabile il ricorrente per il danno subito dall’amministrazione comunale, nulla che possa essere interpretato come l’affermazione della colpevolezza penale del ricorrente (§ 125).
Alla luce di quanto analizzato, la Corte europea, pur sottolineando che occorre prestare particolare attenzione nel motivare una sentenza civile o contabile pronunciata a seguito di un procedimento penale concluso con proscioglimento, ritiene che, tenuto conto della natura e del contesto del procedimento nel caso di specie, l’accertamento condotto in sede contabile non può considerarsi lesivo per il ricorrente della presunzione di innocenza (§ 126).
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