Con ordinanza n. 8896, pubblicata in data 04.05.2016, la Corte di Cassazione, VI Sezione Civile, relatore dott. M. Rossetti, chiarisce quali sono i criteri da applicare come base di calcolo per il danno patrimoniale da incapacità lavorativa, patito a seguito di sinistro stradale.
La norma cardine in materia di danno patrimoniale è quella dettata dall’art. 137 Codice delle assicurazioni, per il quale: “1. Nel caso di danno alla persona, quando agli effetti del risarcimento si debba considerare l’incidenza dell’inabilità temporanea o dell’invalidità permanente su un reddito di lavoro comunque qualificabile, tale reddito si determina, per il lavoro dipendente, sulla base del reddito di lavoro, maggiorato dei redditi esenti e al lordo delle detrazioni e delle ritenute di legge, che risulta il più elevato tra quelli degli ultimi tre anni e, per il lavoro autonomo, sulla base del reddito netto che risulta il più elevato tra quelli dichiarati dal danneggiato ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche negli ultimi tre anni ovvero, nei casi previsti dalla legge, dall’apposita certificazione rilasciata dal datore di lavoro ai sensi delle norme di legge. 2. È in ogni caso ammessa la prova contraria, ma, quando dalla stessa risulti che il reddito sia superiore di oltre un quinto rispetto a quello risultante dagli atti indicati nel comma 1, il giudice ne fa segnalazione al competente ufficio dell’Agenzia delle entrate. 3. In tutti gli altri casi il reddito che occorre considerare ai fini del risarcimento non può essere inferiore a tre volte l’ammontare annuo della pensione sociale”.
La Corte, anche in virtù della propria costante giurisprudenza, ritiene che l’impianto normativo suddetto, preveda tre possibili eventualità: “(a) se la vittima ha un reddito da lavoro, è quest’ultimo che va posto a base del calcolo; (b) se la vittima non ha un reddito da lavoro, è il triplo della pensione sociale che va posto a base del calcolo; (c) se la vittima ha un reddito da lavoro saltuario, è il triplo della pensione sociale che va posto a base del calcolo”.
In altri termini, il triplo della pensione sociale non rappresenta affatto la base di calcolo minima per il risarcimento del danno patrimoniale.
Infatti, se il danneggiato è titolare di una posizione lavorativa, quand’anche recente ovvero precaria, il danno patrimoniale dovrà essere calcolato su quest’ultimo reddito effettivamente perduto, anche qualora risulti inferiore al triplo della pensione sociale.
Diversamente opinando si giungerebbe all’arbitraria conclusione per cui il risarcimento si trasformerebbe in una sorta di indennizzo, in qualche modo predeterminato e, comunque: “si perverrebbe all’assurdo — questo, sì, iniquo — che il lavoratore il quale abbia un reddito, ma non lo provi, non avrà diritto alcun risarcimento; quello invece che abbia un reddito, ma risulti inferiore al triplo della pensione sociale, avrà diritto ad un risarcimento pari a quest’ultima”.
Fermo restando che – come nel caso sottoposto al vaglio del giudice di legittimità – qualora la vittima del sinistro sia un lavoratore ancora giovane che, pertanto, avrebbe potuto lecitamente attendersi un incremento del proprio reddito in mancanza dell’evento dannoso riduttivo della sua capacità lavorativa, detta circostanza “va tenuta presente dal giudice al momento della liquidazione dei danno, opportunamente aumentando il reddito da porre a base del calcolo (principio costante: la sentenza capostipite è rappresentata da Sez. i, Sentenza n. 8177 del 06/10/1994). La suddetta circostanza, quindi, potrebbe giustificare un aumento equitativo del reddito reale da porre a base della liquidazione, ma non la pretesa che questa avvenga sulla base del triplo della pensione sociale”.
La Corte di Cassazione conclude, quindi, affermando i seguenti principi di diritto: “La liquidazione del danno patrimoniale da incapacità lavorativa, patito in conseguenza d’un sinistro stradale da un soggetto percettore di reddito da lavoro, deve avvenire ponendo a base del calcolo il reddito effettivamente perduto dalla vittima, e non il triplo della pensione sociale. Il ricorso a tale ultimo criterio, ai sensi dell’art. 137, cod. ass., può essere consentito solo quando il giudice di merito accerti, con valutazione di fatto non sindacabile in sede di legittimità, che la vittima al momento dell’infortunio godeva di un reddito, ma questo era talmente modesto o sporadico da rendere la vittima sostanzialmente equiparabile ad un disoccupato”.
Ed ancora: “Nella liquidazione del danno patrimoniale futuro da incapacità di lavoro il reddito della vittima da porre a base del calcolo deve essere equitativamente aumentato rispetto a quello concretamente percepito, quando sia ragionevole ritenere che esso negli anni a venire sarebbe verosimilmente cresciuto. La relativa valutazione deve essere compiuta dal giudice di merito in base ad elementi oggettivi che è onere del danneggiato dedurre, ed in mancanza dei quali non è consentita la liquidazione del danno in base al triplo della pensione sociale, a nulla rilevando che il reddito della vittima fosse di per sé di modesta entità” (Cass. civ., Sez. VI, 4.05.2016, n. 8896).
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