DDL Delrio, quel pasticcio del comma 82 sulla permanenza in carica dei consigli provinciali

La pubblicazione in G.U. e l’entrata in vigore della Legge 56/2014 ”Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni”, meglio nota come DDL Delrio, pone fin da subito un grosso punto interrogativo sulla sopravvivenza dei consigli provinciali attualmente in carica.

Il pasticcio nasce dalla formulazione del comma 82: “nel caso di cui al comma 79, lettera a), il presidente della provincia in carica alla data di entrata in vigore della presente legge  …  assumendo  anche  le funzioni del consiglio provinciale”. Secondo una lettura letterale della norma, infatti, assumendo il presidente le funzioni consiliari alla data di entrata in vigore della legge (cioè l’8 aprile, giorno successivo alla pubblicazione secondo quanto disposto dal comma 151 de testo legislativo) il consiglio risulterebbe quindi decaduto con una scelta discutibile da un punto di vista costituzionale, andandosi a far decadere anticipatamente un organo eletto dal popolo.

La Camera, muovendo dal richiamo al comma 79, lettera a), secondo cui l’elezione del nuovo consiglio provinciale è indetta entro il 30 settembre 2014 per le province i cui organi scadono per fine mandato nel 2014, al fine di porre rimedio alla lettera della legge ha approvato due ordini del giorno che impegnano il Governo “a fornire adeguati chiarimenti sulla conferma della scadenza naturale del mandato degli amministratori in carica” e “a dare adeguata informazione ai presidenti delle province che la scadenza naturale dei mandati elettorali degli organi provinciali attuali, corrisponda al giorno della proclamazione degli eletti, e cioè al quinto anno successivo alla tornata elettorale amministrativa di riferimento”.

Questa interpretazione, che potremmo definire costituzionalmente orientata, è fatta propria anche dall’Unione delle Province d’Italia, ma pare scontare alcune perplessità. La prima, la più evidente, è che un ordine del giorno non ha forza di legge, la seconda è che il Governo può emanare propri atti volti alla interpretazione della norma ma non può piegare un testo di legge né fornire interpretazioni autentiche che invece attengono all’organo che ha prodotto l’atto.

Secondo l’art. 12 delle c.d. preleggi al Codice Civile “nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore”: potrebbe quindi ricorrersi all’interpretazione logica in luogo di quella letterale, ma risulta tuttavia abbastanza difficoltoso desumere le intenzioni del legislatore in un testo che, per la parte che rileva, ha visto continui mutamenti in sede di discussione in commissione ed è stato poi emendato dal Governo ponendovi la fiducia.

Si potrebbero porre questioni costituzionali, come si è accennato. Tuttavia una norma, pur incostituzionale, produce i propri effetti fintanto che la Consulta non ne pronunci l’incostituzionalità.

Ma si potrebbero anche, per converso, sollevare serie perplessità su interpretazioni non letterali o su atti governativi volti a suffragare una interpretazione logica del testo Delrio.

Del resto l’unico significato attribuibile al richiamo al comma 79 lettera a) non può che essere limitato ai soli consigli che siano in scadenza, divenendo le altre ricostruzioni dal significato più ampio dei non sensi. Una interpretazione diversa renderebbe senza significato la locuzione ”alla data di entrata in vigore della presente legge” mentre, come noto, un testo di legge va sempre interpretato dando una utilità, un senso e un significato alle parole ivi contenute.

Insomma, l’incertezza interpretativa regna sovrana e la questione non è di poco conto: molti consigli sono in questi giorni alle prese con l’approvazione dei bilanci di previsione e molti consiglieri impegnati nell’autenticazione delle firme in vista delle imminenti amministrative.

Qualora si propendesse per l’interpretazione letterale del comma 82 occorrerebbe poi chiedersi cosa ne sarebbe degli atti posti in essere dal consiglio formalmente decaduto che continuasse invece ad operare. Parrebbe doversi concludere che gli atti compiuti siano legittimi fintanto che il Consiglio non venga sciolto con un intervento esterno che potrebbe essere quello prefettizio.

L’impressione è che, mancando poco alla scadenza naturale dei mandati, il Governo fornirà una interpretazione logica così che i consigli attuali possano continuare ad operare. Non essendovi nessuno ad avere un interesse a sollevare il problema verranno fatti salvi gli atti compiuti.

Dott. Spadone Luigi

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