Decorrenza del termine per la rescissione del giudicato

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(Ricorso dichiarato inammissibile)

(Riferimento normativo: Cod. proc. pen., art. 629)

Per stabilire la decorrenza del termine ex art. 629-bis cod. proc. pen. va fatto riferimento alla notifica dell’ordine di esecuzione e non al giorno in cui sia stato effettuato l’accesso agli atti presso la cancelleria competente dal difensore di fiducia.

Il fatto

La Corte di Appello di Roma dichiarava inammissibile, ex art. 629-bis cod. proc. pen., perché proposta oltre il termine di 30 giorni dalla conoscenza del procedimento, una istanza di rescissione del giudicato.

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso tale ordinanza proponeva ricorso per cassazione il difensore dell’imputato deducendo i seguenti motivi:

1) inosservanza e/o erronea applicazione dell’art. 629-bis cod. proc. pen., anche in relazione agli artt. 11, 24 comma 2, 111 e 117 Cost., quest’ultimo in riferimento all’art. 6 Cedu, nell’interpretazione offerta dalla Corte di Strasburgo per avere la Corte di Appello di Roma dichiarato l’inammissibilità dell’istanza di rescissione del giudicato per tardività, assumendo quale dies a quo ai fini della decorrenza del termine di 30 giorni per la proposizione, la data della notifica dell’ordine di esecuzione e non il momento coincidente con l’accesso al fascicolo del Tribunale di Velletri da parte del difensore, come dimostrato dall’allegata attestazione del funzionario di cancelleria;

2) motivazione apparente nella parte in cui non avrebbe spiegato l’irrilevanza della nullità assoluta della notifica del decreto di citazione a giudizio, mai rilevata nel corso del procedimento, che avrebbe comportato la celebrazione del processo in assenza per incolpevole mancata conoscenza dello stesso da parte dell’imputato, che sarebbe emersa solo al momento dell’accesso al fascicolo dibattimentale;

3) motivazione manifestamente contraddittoria laddove da un lato rimarcava l’onere imposto al condannato di provare che l’assenza sia stata determinata da un’incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo -in contrasto con la ratio della norma alla luce dei principi di cui agli artt. 24 e 111 cost. ed affermati dalla Corte di Strasburgo in materia di equo processo e con la disciplina «eurounitaria» sancita dalla direttiva 2016/343/UE del 9 marzo 2016 – e dall’altro assumeva che la decorrenza del termine coincida con la mera consegna di un atto (quale l’ordine di esecuzione) privo dei necessari contenuti informativi in ordine alle modalità di celebrazione del procedimento;

4) illegittimità costituzionale dell’art. 629-bis, comma 2 cod. proc. pen., per contrasto con gli artt. 24, 111, 117 cost., quest’ultimo in riferimento all’art. 6 Cedu nella parte in cui – addossando a carico del condannato l’onere di dimostrare che l’assenza sia dovuta ad una incolpevole mancata conoscenza del processo – stabilisce la decorrenza del termine di 30 giorni per la presentazione dell’istanza, previsto a pena di inammissibilità, dalla «conoscenza del procedimento» anziché dalla conoscenza del vizio procedurale che ha determinato l’incolpevole mancata partecipazione al processo;

5) illegittimità costituzionale dell’art. 656 cod. proc. pen., per contrasto con l’art. 24 Cost. nella parte in cui non prevede che nell’ordine di esecuzione per la carcerazione debba essere contenuto l’avviso della decorrenza del termine di 30 giorni dalla notifica dello stesso per la proposizione della richiesta di rescissione del giudicato.

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Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il ricorso proposto veniva dichiarato manifestatamente infondato per le seguenti ragioni.

Si osservava a tal proposito prima di tutto che, da un lato, ai sensi dell’art. 629-bis cod. proc. pen., il condannato o il sottoposto a misura di sicurezza con sentenza passata in giudicato, nei cui confronti si sia proceduto in assenza per tutta la durata del processo, può ottenere la rescissione del giudicato qualora provi che l’assenza è stata dovuta ad una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo, dall’altro, come chiarito dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 36848 del 17/07/2014, la rescissione del giudicato è un mezzo di impugnazione che si applica solo ai procedimenti nei quali è stata dichiarata l’assenza dell’imputato a norma dell’art. 420-bis cod. proc. pen. e che presuppone la prova positiva da parte del ricorrente che l’assenza è stata dovuta ad una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo.

Premesso ciò, gli Ermellini osservavano come la Corte di Appello capitolina avesse correttamente applicato nel caso di specie il costante orientamento della giurisprudenza per cui, in tema di rescissione del giudicato, il termine di trenta giorni per la presentazione della relativa richiesta decorre, non già dal momento in cui il condannato ha avuto compiuta conoscenza degli atti del processo e della sentenza conclusiva, bensì da quello in cui lo stesso ha avuto conoscenza del procedimento.

In particolare, i giudici di piazza Cavour evidenziavano come lo stesso caso – relativo alla decorrenza del termine ex art. 629-bis cod. proc. pen. dalla notifica dell’ordine di esecuzione e non, come sostenuto dalla difesa nella fattispecie in esame, dal giorno in cui sia stato effettuato l’accesso agli atti presso la cancelleria competente dal difensore di fiducia – sia stato deciso da Sez. 1, n. 32267 del 30/10/2020, che ha affermato in quella occasione la correttezza della decisione che aveva fatto decorrere il termine ex art. 629-bis comma 2 cod. proc. pen. dalla notifica dell’ordine di esecuzione.

Più nel dettaglio, i giudici di legittimità ordinaria facevano presente che, secondo quanto previsto dall’art. 629-bis cod. proc. pen., il condannato in assenza può ottenere la rescissione del giudicato a condizione che presenti la relativa richiesta nel termine, posto a pena di inammissibilità, di trenta giorni che decorre dal momento in cui il condannato ha avuto conoscenza del procedimento fermo restando che il riferimento alla conoscenza del procedimento, e non già del provvedimento divenuto irrevocabile, è sicuro indice del fatto che il termine inizia a decorrere pur quando l’interessato non abbia una compiuta conoscenza dei contenuti del provvedimento da rescindere tenuto conto altresì del fatto che, per un verso, quel che deve provare, onde ottenere la rescissione del giudicato, è l’incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo, e dunque del fatto che un processo, al di là degli specifici accertamenti in esso compiuti, si sia tenuto, per altro verso, non occorre, affinché il termine di proposizione della richiesta decorra, che il condannato abbia conoscenza compiuta degli atti del processo e della sentenza conclusiva perché la legge ciò non richiede.

Ciò posto, la manifesta infondatezza della prima questione di legittimità costituzionale dedotta era ravvisabile, per la Corte di legittimità, nella circostanza che se si affidasse al concreto svolgimento dell’attività difensiva la decorrenza del termine per la presentazione dell’istanza di rescissione del giudicato, previsto pena di inammissibilità, la decorrenza iniziale del termine sarebbe del tutto priva della necessaria certezza e dipenderebbe dal compimento di attività discrezionali mentre le contestazioni relative alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo erano, sempre per il Supremo Consesso, del tutto infondate posto che il rimedio ripristinatorio previsto dal legislatore consente ampiamente l’esercizio del diritto di difesa del condannato in absentia – condannato che nel caso de quo aveva eletto domicilio ex art. 161 cod. proc. pen. – concedendo il termine di 30 giorni per la proposizione dell’istanza.

Oltre a ciò, veniva inoltre rilevato come, nel caso in esame, quale ulteriore argomento dell’irrilevanza della questione dedotta, la Corte di Appello avesse verificato che in concreto la notifica dell’ordine di esecuzione conteneva tutti gli elementi dimostrativi dell’esistenza del procedimento: l’ordine di esecuzione riportava gli estremi della sentenza del Tribunale che l’aveva emessa, la condanna inflitta, la Procura della Repubblica procedente.

Detto questo, manifestamente infondata era stimata anche la seconda questione di legittimità costituzionale proposta perché la rescissione del giudicato è un mezzo straordinario di impugnazione ed il termine non può essere collegato all’esistenza del vizio così come veniva reputato parimenti manifestamente infondato sia  il motivo sul vizio della motivazione non essendo la Corte di Appello entrata nel merito avendo dichiarato l’inammissibilità per l’omesso rispetto del termine per la presentazione dell’istanza, che l’ultima questione di legittimità dedotta che sarebbe stata rivolta ad una pronuncia additiva, per altro in mancanza di altro elemento di comparazione.

Pertanto, il ricorso veniva dichiarato inammissibile.

Conclusioni

La decisione in esame è assai interessante specialmente nella parte in cui si afferma, citandosi un precedente conforme, che, per stabilire la decorrenza del termine ex art. 629-bis cod. proc. pen., va fatto riferimento alla notifica dell’ordine di esecuzione e non al giorno in cui sia stato effettuato l’accesso agli atti presso la cancelleria competente dal difensore di fiducia.

Tale pronuncia, dunque, deve essere presa nella dovuta considerazione al fine di calcolare correttamente i termini entro i quali proporre una istanza di rescissione del giudicato al fine di evitare che essa sia dichiarata inammissibile.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatto provvedimento, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su siffatta tematica procedurale, quindi, non può che essere positivo.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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