Decreto agosto: nuovi trattamenti di cassa integrazione ordinaria, assegno  ordinario e cassa integrazione in deroga

Redazione 07/09/20
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I datori di lavoro che, nell’anno 2020, sospendono  o  riducono l’attività’  lavorativa  per   eventi   riconducibili   all’emergenza epidemiologica da COVID-19, possono presentare domanda di concessione dei trattamenti di cassa integrazione ordinaria, assegno ordinario  e cassa  integrazione  in  deroga  di  cui  agli  articoli  da   19   a 22-quinquies del decreto-legge 17 marzo 2020, n.18,  convertito,  con modificazioni, dalla  legge  24  aprile  2020,  n.  27  e  successive modificazioni, per una durata massima di nove settimane, incrementate di ulteriori nove settimane secondo le modalità’ previste al comma 2.

Le complessive diciotto settimane devono essere collocate nel periodo ricompreso tra  il  13  luglio  2020  e  il  31  dicembre  2020.  Con riferimento  a  tale  periodo,   le   predette   diciotto   settimane costituiscono la durata massima che puo’ essere richiesta con causale COVID-19. I  periodi  di  integrazione  recentemente  richiesti  autorizzati ai sensi del  predetto  decreto-legge  n.  18  del  2020, collocati, anche parzialmente, in periodi  successivi  al  12  luglio 2020 sono imputati, ove autorizzati, alle prime  nove  settimane  del presente comma.

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Mai come in questo periodo il tema degli ammortizzatori sociali è stato così sentito dall’intero sistema produttivo. In occasione della pandemia Covid19 ed alle conseguenti chiusure degli esercizi commerciali e dei siti produttivi il ricorso agli ammortizzatori sociali ha coinvolto praticamente tutto il mondo del lavoro. Un vero stress-test dell’impianto disegnato dal D.lgs 148/15. Il decreto legislativo, inserito nella più ampia manovra passata alla storia come JobsAct, traendo esperienza dalla crisi del 2009 ha previsto al fianco degli ammortizzatori sociali “storici” (il sistema della cassa integrazione ordinaria e straordinaria) una copertura rispetto a settori, fino a quel momento, poco interessati alla gestione di temporanee crisi d’impresa. Le considerazioni che si possono fare a valle del dramma Coronavirus, ed alle conseguenze che lo stesso ha determinato nel mondo del lavoro ed al nuovo assetto che ne deriva degli ammortizzatori sociali, sono diverse. Partirei dal porre quattro questioni che ritengo primarie:1) ha senso disegnare tanti sistemi e procedure diverse per affrontare i medesimi problemi? Non sarebbe più corretto giungere ad un meccanismo unico per rispondere alle crisi d’impresa?2) in che rapporto si deve porre sistema di ammortizzatori conservativi con un meccanismo di politiche attive del lavoro che favorisca la mobilità e la ricollocazione della forza lavoro?3) se il beneficiario dell’ammortizzatore sociale è il lavoratore come inquadrare l’inadempienza contributiva del datore di lavoro? Quali le sue conseguenze?4) chi deve pagare il sistema di ammortizzatori sociali? Il mondo del lavoro o la fiscalità generale?Sono quesiti importantissimi quelli che ci lascia come eredità la crisi della pandemia del 2020. Per provare a fornire una complessiva, sia pure in termini generali, risposta ritengo che sia necessario partire dalla valutazione di quello che ha funzionato e quello che non ha funzionato in questi mesi.Avere tanti strumenti differenti suddivisi per tipologia e dimensione d’impresa crea una difficoltà enorme di gestione del sistema obbligando sia gli operatori professionali (consulenti del lavoro) che la PA ad impiantare, conoscere e manutenere sistemi tecnologici differenti. La tecnologia in una situazione del genere diventa un amplificatore di burocrazia. Esattamente il contrario dell’approccio digitale ai problemi. Un sistema non si semplifica trasformando moduli cartacei in digitali, si semplifica utilizzando l’analisi digitale per un suo ripensamento. Quindi uno strumento “tagliato su misura” per ogni impresa non diventa sinonimo di strumento idoneo, al contrario crea una babele di procedure nella quale è difficile districarsi. A tutto ciò deve aggiungersi che il D.lgs 148 ha previsto la creazione di ammortizzatori sociali di comparto, i fondi bilaterali, creati dalle forze sociali di settore. Un simile impianto prevede un presupposto fondamentale. La chiarezza di chi sia rappresentativo di un settore e quale sia la contrattazione collettiva di effettivo riferimento. Senza di ciò il sistema di finanziamento di questi fondi rischia di entrare in quel complesso di dubbi interpretativi che ha sempre accompagnato gli istituti presenti nella cd. “parte obbligatoria” del CCNL alla stregua degli enti bilaterali, della sanità integrativa o della previdenza complementare. In definitiva se non si parte dalla vigenza erga omnes di talune disposizioni diventa impossibile pretendere la contribuzione e, conseguentemente in un sistema puramente assicurativo, la prestazione.Veniamo al punto successivo. In mancanza di contribuzione manca la prestazione. Questo è evidente in un impianto assicurativo classico ma il concetto è difficilmente traslabile in un meccanismo di sicurezza sociale in cui il contraente (datore di lavoro) ed il beneficiario (lavoratore) sono soggetti diversi. La prestazione consente di evitare il licenziamento del lavoratore ed il mantenimento del rapporto di lavoro sia pure in fase di temporanea sospensione. Si evita di generare disoccupazione involontaria. Pertanto, in ossequio all’art. 38 Cost., dovrebbe valere, per ogni tipologia di ammortizzatore, il principio dell’automaticità della prestazione fermo restando l’obbligo contributivo del datore di lavoro.   Altro tema importante è quello relativo alla funzione propria degli ammortizzatori sociali. Il nome stesso “ammortizzatore” evoca la funzione di quel meccanismo che serve ad evitare colpi improvvisi ed a superare dossi o avvallamenti stradali con il minor danno possibile. Sul punto il richiamato D.lgs 148/15 aveva ben introdotto meccanismi che impedissero l’attivazione degli strumenti per funzioni diverse (pensiamo al caso di cessazione dell’attività aziendale) promuovendo in tali circostanze meccanismi di presa in carico del lavoratore da parte dei servizi di ricollocazione con supporto della assicurazione sociale per l’impiego (naspi). Negli anni questi concetti sono stati un po’ lasciati in disparte dal sistema che ha preferito “tornare all’antico” accantonando la ricollocazione dei lavoratori, propria delle politiche attive del lavoro, e privilegiando il sostegno al mancato reddito riprendendo quindi temi di politiche passive del lavoro. Un meccanismo così impostato rende difficile ipotizzare riprese occupazionali visto anche il dichiarato e mai realizzato potenziamento tecnico/organizzativo dei centri per l’impiego ai quali l’avvento della figura dei “navigator” non ha fornito alcun beneficio concreto.Ultimo tema sollevato è quello relativo al finanziamento degli ammortizzatori sociali. La questione è molto ampia e delicata. Mi limito solo a segnalare che la risposta dipenderà dalla funzione che il sistema darà agli stessi. Se rimanessero nell’alveo di uno strumento temporaneo di “sicurezza aziendale” il loro costo non potrà che essere a carico delle imprese e dei lavoratori. Se invece si evolvesse a meccanismo di generale ed universale difesa dalla povertà (reddito di cittadinanza), ancorchè temporanea, del lavoratore potrebbe aprirsi un tema di riconsiderare come destinatario del costo non il mondo del lavoro ma l’intera collettività. In questo caso l’aggravio per la fiscalità generale sarebbe compensato dal minor onere per le imprese che potrebbe tradursi con maggior gettito salariale e quindi maggior introito fiscale.Tematiche ampie e strutturali. Sicuramente lo stress test Covid19 non passerà inosservato anche in tema di ammortizzatori sociali che saranno probabilmente ristrutturati. Come ogni crisi, anche questa, avrà come conseguenza elementi di miglioramento. L’economista Joseph Schumpeter insegnava che proprio dalla crisi, la cui etimologia greca fa riferimento al cambiamento, deriva ogni miglioramento sociale. Speriamo valga anche questa volta.Paolo Stern – presidente Nexumstp S.p.A.Paolo SternConsulente del Lavoro in Roma. Socio fondatore di Nexumstp Spa. Autore di numerose pubblicazioni in materia di lavoro e relatore a convegni e seminari. Professore a contratto presso università pubbliche e private.Sara Di NinnoDottore in Scienze politiche e Relazioni internazionali, collaboratrice area normativa del lavoro presso Nexumstp Spa. Specializzata in Diritto del lavoro e Relazioni industriali, è dottore di ricerca in Diritto pubblico, comparato ed internazionale, con tema di ricerca in Diritto del lavoro internazionale, e docente in corsi di formazione in materia di disciplina del rapporto di lavoro.Massimiliano Matteucci Consulente del Lavoro in Roma, Socio Nexumstp spa. Laureato in Economia. Specializzato in normativa di Diritto del lavoro e previdenza sociale. Cultore della materia presso la Cattedra di Diritto del lavoro dell’Università La Sapienza di Roma e preso l’Università Niccolò Cusano di Roma. Membro del Centro Studi dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro Roma, relatore a convegni e seminari. È articolista per la rivista TWOC dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro di Roma. Consulente Asseveratore Asseco.Lorenzo Sagulo Laureato in Economia e Gestione delle imprese all’Università degli Studi “Roma Tre”. Collabora con Nexumstp Spa nell’area consulenza del lavoro. È specializzato in normativa di Diritto del lavoro e relazioni industriali. 

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Le ulteriori nove settimane di trattamenti, di cui al comma  1, sono riconosciute esclusivamente ai datori di  lavoro  ai  quali  sia stato gia’ interamente autorizzato  il  precedente  periodo di  nove settimane, decorso il periodo autorizzato. I  datori  di  lavoro  che presentano  domanda  per  periodi  di  integrazione   relative   alle ulteriori nove settimane di cui al  comma  1  versano  un  contributo addizionale determinato sulla base del  raffronto  tra  il  fatturato aziendale  del  primo  semestre  2020  e  quello  del  corrispondente semestre 2019, pari:

a) al 9 per cento della retribuzione globale che sarebbe spettata al lavoratore  per  le  ore  di  lavoro  non  prestate  durante   la sospensione o riduzione dell’attivita’ lavorativa, per  i  datori  di lavoro che hanno avuto una riduzione del fatturato inferiore al venti per cento;

b) al 18  per  cento  della  retribuzione  globale  che  sarebbe spettata al lavoratore per le ore di lavoro non prestate  durante  la sospensione o riduzione dell’attivita’ lavorativa, per  i  datori  di lavoro che non hanno avuto alcuna riduzione del fatturato.

Il contributo addizionale non e’ dovuto dai datori di lavoro che hanno subito una riduzione del fatturato pari o superiore al 20  per  cento  e  per  coloro  che  hanno  avviato  l’attivita’  di   impresa successivamente al primo gennaio 2019.

Ai fini dell’accesso alle ulteriori nove settimane  di  cui  al comma 2, il datore di lavoro  deve  presentare  all’INPS  domanda  di concessione nella quale autocertifica, ai sensi  di  quanto  previsto dall’articolo 47 del decreto del Presidente della Repubblica  del  28 dicembre 2000, n. 445, la sussistenza  dell’eventuale  riduzione  del fatturato di cui al comma 3. L’INPS autorizza i trattamenti di cui al presente articolo e, sulla  base  della  autocertificazione  allegata alla domanda, individua l’aliquota del contributo addizionale che  il datore di lavoro e’ tenuto a versare a partire dal  periodo  di  paga successivo  al   provvedimento   di   concessione   dell’integrazione salariale. In mancanza di autocertificazione, si  applica  l’aliquota del 18 per cento di  cui  al  comma  2,  lettera  b).  Sono  comunque disposte  le  necessarie  verifiche  relative  alla  sussistenza  dei requisiti richiesti e autocertificati per l’accesso ai trattamenti di integrazione salariale di cui al presente  articolo,  ai  fini  delle quali l’INPS e l’Agenzia delle entrate sono autorizzati a  scambiarsi i dati.

Le domande di accesso ai trattamenti di cui al presente articolo devono essere inoltrate all’INPS, a pena di decadenza, entro la fine del mese successivo a quello in cui ha avuto  inizio  il  periodo  di sospensione o di riduzione  dell’attivita’  lavorativa.  In  fase  di prima applicazione, il termine di decadenza di cui al presente  comma e’ fissato entro la fine del mese successivo a quello di  entrata  in vigore del presente decreto.

In caso di  pagamento  diretto  delle  prestazioni  di  cui  al presente articolo da parte dell’INPS, il datore di lavoro  e’  tenuto ad inviare all’Istituto tutti i dati necessari per il pagamento o per il  saldo   dell’integrazione  salariale  entro  la  fine   del   mese successivo a quello in cui e’ collocato il  periodo  di  integrazione salariale, ovvero, se posteriore, entro il termine di  trenta  giorni dall’adozione del provvedimento di  concessione.  In  sede  di  prima applicazione, i termini di cui al presente  comma  sono  spostati  al trentesimo giorno successivo alla  data  di  entrata  in  vigore  del presente decreto se tale ultima data e’ posteriore a quella di cui al primo periodo. Trascorsi inutilmente tali termini, il pagamento della prestazione e gli oneri ad  essa  connessi  rimangono  a  carico  del datore di lavoro inadempiente.

I Fondi di cui  all’articolo  27  del  decreto  legislativo  14 settembre  2015,  n.  148  garantiscono   l’erogazione   dell’assegno ordinario di cui al comma 1 con  le  medesime  modalita’  di  cui  al presente articolo. Il concorso del bilancio dello  Stato  agli  oneri finanziari relativi alla predetta prestazione e’ stabilito nel limite massimo di 1.600 milioni di euro per l’anno 2020 ed e’  assegnato  ai rispettivi  Fondi  con  decreto  del  Ministro  del  lavoro  e  delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell’economia  e  delle finanze. Le risorse di cui  al  presente  comma  sono  trasferite  ai rispettivi Fondi con uno o piu’ decreti del Ministero  del  lavoro  e delle politiche sociali, di concerto con il Ministero dell’economia e delle  finanze,  previo  monitoraggio  da  parte  dei  Fondi   stessi dell’andamento  del  costo  della  prestazione,  relativamente   alle istanze degli aventi diritto, nel rispetto  del  limite  di  spesa  e secondo le indicazioni fornite  dal  Ministero  del  lavoro  e  delle politiche sociali.

Il trattamento di cassa integrazione salariale operai  agricoli (CISOA),  ai  sensi  dell’articolo  19,  comma  3-bis,  del  predetto decreto-legge n. 18 del  2020,  richiesto  per  eventi  riconducibili all’emergenza epidemiologica da COVID-19, e’ concesso, in  deroga  ai limiti di fruizione riferiti al singolo lavoratore  e  al  numero  di giornate lavorative da svolgere  presso  la  stessa  azienda  di  cui all’articolo 8 della legge 8 agosto 1972,  n.  457,  per  una  durata massima di cinquanta giorni, nel periodo ricompreso tra il 13  luglio e il 31 dicembre 2020. La domanda di CISOA deve essere presentata,  a pena di decadenza, entro la fine del mese successivo a quello in  cui ha avuto inizio il periodo di sospensione dell’attivita’  lavorativa.

I periodi di integrazione precedentemente richiesti e autorizzati  ai sensi del predetto decreto-legge n. 18  del  2020,  collocati,  anche parzialmente, in periodi successivi al 12 luglio 2020  sono  imputati ai cinquanta giorni stabiliti dal presente comma. In  fase  di  prima applicazione, il termine di decadenza di cui  al  presente  comma  e’ fissato entro la fine del mese successivo  a  quello  di  entrata  in vigore del presente decreto. I periodi di integrazione autorizzati ai sensi dell’articolo19, comma 3-bis, del predetto decreto-legge n.  18 del 2020, e ai sensi del presente articolo sono computati ai fini del raggiungimento del requisito delle 181 giornate di  effettivo  lavoro previsto dall’articolo 8 della legge 8 agosto 1972, n. 457.

I termini decadenziali di invio delle  domande  di  accesso  ai trattamenti collegati all’emergenza COVID-19 e  di  trasmissione  dei dati necessari per il pagamento o per il saldo degli stessi, compresi quelli differiti in via  amministrativa,  in  scadenza  entro  il  31 luglio 2020, sono differiti al 31 agosto 2020.

I termini di invio delle domande  di  accesso  ai  trattamenti collegati all’emergenza COVID-19 e di trasmissione dei dati necessari per il pagamento o per il saldo degli  stessi  che,  in  applicazione della disciplina ordinaria, si collocano tra il 1°  e  il  31  agosto 2020 sono differiti al 30 settembre 2020.

I trattamenti di cui ai commi 1, 2 e 8 sono concessi nel limite massimo di spesa pari a 8.220,3 milioni di euro, ripartito in  5.174 milioni di euro per i trattamenti di cassa integrazione  ordinaria  e assegno ordinario di cui ai commi 1 e 2, in 2.889,6 milioni  di  euro per i trattamenti di cassa integrazione in deroga di cui ai commi 1 e 2 e in 156,7 milioni di euro per i trattamenti di  cui  al  comma  8.

L’INPS provvede al  monitoraggio  del  limite  di  spesa  di  cui  al presente comma. Qualora dal predetto monitoraggio emerga che e’ stato raggiunto anche in via prospettica il limite  di  spesa,  l’INPS  non prende in considerazione ulteriori domande.

Fermo restando quanto previsto dall’articolo 265, comma 9, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito,  con  modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, in relazione alle risorse  di  cui agli articoli da 68 a 71 del predetto decreto-legge n. 34 del 2020, a valere sulle medesime risorse possono essere riconosciuti  i  periodi corrispondenti alle prime nove  settimane  di  cui  al  comma  1  del presente articolo.

All’onere derivante  dal  presente  articolo  pari  a  7.804,2 milioni di euro per l’anno 2020 e  a  2.016,1  milioni  di  euro  per l’anno 2021 in termini di saldo  netto  da  finanziare  e  a  4.789,3 milioni di euro per l’anno 2020 e  a  1.224,6  milioni  di  euro  per l’anno 2021 in termini di  indebitamento  netto  e  fabbisogno  delle amministrazioni pubbliche si provvede quanto a 223,1 milioni di  euro per l’anno 2020 e a 74,4 milioni di euro per l’anno 2021 mediante  le maggiori entrate derivanti dal comma 2 del presente articolo e per la restante quota ai sensi dell’articolo 114.

Disposizioni in  materia  di  accesso  alla  cassa  integrazione  dei  lavoratori   dipendenti   iscritti   al   Fondo   Pensione   Sportivi  Professionisti .

All’articolo  22  del  decreto-legge  17  marzo  2020,  n.  18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24  aprile  2020,  n.  27, dopo il comma 1 e’ inserito il seguente: «1-bis. I lavoratori dipendenti iscritti al Fondo Pensione Sportivi Professionisti  che,  nella  stagione   sportiva   2019-2020,   hanno percepito retribuzioni contrattuali lorde non superiori a 50.000 euro possono accedere al trattamento di integrazione salariale di  cui  al comma 1, limitatamente ad un  periodo  massimo  complessivo  di  nove settimane. Le domande di cassa integrazione  in  deroga,  di  cui  al presente comma, dovranno  essere  presentate  dai  datori  di  lavoro all’INPS, secondo le modalita’ che  saranno  indicate  dall’Istituto.

Sono considerate valide le domande gia’  presentate  alle  regioni  o province  autonome  di  Trento  e  Bolzano,  che   provvederanno   ad autorizzarle nei  limiti  delle  risorse  loro  assegnate.  Per  ogni singola associazione sportiva non potranno essere autorizzate piu’ di nove settimane complessive; esclusivamente per le associazioni aventi sede nelle regioni di cui al comma  8  quater,  le  regioni  potranno autorizzare periodi  fino  a  tredici  settimane,  nei  limiti  delle risorse  ivi  previste.  La  retribuzione  contrattuale   utile   per l’accesso alla misura viene  dichiarata  dal  datore  di  lavoro.  Le federazioni sportive e l’INPS,  attraverso  la  stipula  di  apposite convenzioni,  possono  scambiarsi  i  dati,  per  i  rispettivi  fini istituzionali, riguardo all’individuazione della  retribuzione  annua di 50.000 euro ed ai periodi ed importi di CIG in deroga, di  cui  al presente comma. Al riconoscimento dei benefici  di  cui  al  presente comma  si  provvede,  relativamente  al  riconoscimento  delle   nove settimane di competenza INPS, nel limite massimo  di  spesa  di  21,1 milioni di euro per l’anno 2020.».

All’articolo  98  del  decreto-legge  19  maggio  2020,  n.  3  convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77,  il comma 7 e’ abrogato.

Esonero dal versamento dei contributi previdenziali per  aziende  che  non richiedono trattamenti di cassa integrazione

In via eccezionale,  al  fine  di  fronteggiare  l’emergenza  da COVID-19, ai datori di lavoro privati,  con  esclusione  del  settore agricolo, che non richiedono i trattamenti di cui all’articolo 1  del presente decreto e che abbiano gia’ fruito,  nei  mesi  di  maggio  e giugno 2020, dei trattamenti di integrazione salariale  di  cui  agli articoli da 19 a 22-quinquies del decreto-legge 17 marzo 2020,  n.18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020,  n.  27  e successive modificazioni, ferma restando l’aliquota di computo  delle prestazioni pensionistiche, e’ riconosciuto l’esonero dal  versamento dei contributi previdenziali a loro carico, per un periodo massimo di quattro mesi, fruibili entro il 31  dicembre  2020,  nei  limiti  del doppio delle ore di integrazione salariale gia’ fruite  nei  predetti mesi di maggio e giugno 2020, con esclusione dei premi  e  contributi dovuti  all’INAIL,  riparametrato  e  applicato  su   base   mensile.

L’esonero di cui al presente articolo puo’ essere riconosciuto  anche ai datori di lavoro  che  hanno  richiesto  periodi  di  integrazione salariale ai  sensi  del  predetto  decreto-legge  n.  18  del  2020, collocati, anche parzialmente, in periodi  successivi  al  12  luglio 2020.

Al datore di lavoro che abbia beneficiato dell’esonero di cui al comma 1, si applicano i divieti di cui all’articolo 14 del  presente decreto.

La violazione delle disposizioni di cui al comma 2 comporta  la revoca dall’esonero contributivo concesso ai sensi del  comma  1  del presente decreto con  efficacia  retroattiva  e  l’impossibilita’  di presentare domanda di integrazione salariale ai  sensi  dell’articolo 1.    4. L’esonero di cui al presente articolo e’  cumulabile  con  altri esoneri o riduzioni delle aliquote di  finanziamento  previsti  dalla normativa  vigente,  nei  limiti  della  contribuzione  previdenziale dovuta.

Il beneficio previsto al presente articolo e’ concesso ai sensi della sezione  3.1  della  Comunicazione  della  Commissione  europea recante un «Quadro temporaneo per le  misure  di  aiuto  di  Stato  a sostegno dell’economia nell’attuale emergenza  del  COVID-19»  e  nei limiti  ed  alle  condizioni  di  cui  alla  medesima  Comunicazione.

L’efficacia delle disposizioni del presente articolo e’  subordinata, ai  sensi  dell’articolo  108,  paragrafo   3,   del   Trattato   sul funzionamento   dell’Unione   europea,    all’autorizzazione    della Commissione europea.

Agli oneri derivanti dal  presente  articolo  valutati  in  363 milioni di euro per l’anno 2020 e in 121,1 milioni di euro per l’anno 2021 si provvede ai sensi dell’articolo 114.

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Mai come in questo periodo il tema degli ammortizzatori sociali è stato così sentito dall’intero sistema produttivo. In occasione della pandemia Covid19 ed alle conseguenti chiusure degli esercizi commerciali e dei siti produttivi il ricorso agli ammortizzatori sociali ha coinvolto praticamente tutto il mondo del lavoro. Un vero stress-test dell’impianto disegnato dal D.lgs 148/15. Il decreto legislativo, inserito nella più ampia manovra passata alla storia come JobsAct, traendo esperienza dalla crisi del 2009 ha previsto al fianco degli ammortizzatori sociali “storici” (il sistema della cassa integrazione ordinaria e straordinaria) una copertura rispetto a settori, fino a quel momento, poco interessati alla gestione di temporanee crisi d’impresa. Le considerazioni che si possono fare a valle del dramma Coronavirus, ed alle conseguenze che lo stesso ha determinato nel mondo del lavoro ed al nuovo assetto che ne deriva degli ammortizzatori sociali, sono diverse. Partirei dal porre quattro questioni che ritengo primarie:1) ha senso disegnare tanti sistemi e procedure diverse per affrontare i medesimi problemi? Non sarebbe più corretto giungere ad un meccanismo unico per rispondere alle crisi d’impresa?2) in che rapporto si deve porre sistema di ammortizzatori conservativi con un meccanismo di politiche attive del lavoro che favorisca la mobilità e la ricollocazione della forza lavoro?3) se il beneficiario dell’ammortizzatore sociale è il lavoratore come inquadrare l’inadempienza contributiva del datore di lavoro? Quali le sue conseguenze?4) chi deve pagare il sistema di ammortizzatori sociali? Il mondo del lavoro o la fiscalità generale?Sono quesiti importantissimi quelli che ci lascia come eredità la crisi della pandemia del 2020. Per provare a fornire una complessiva, sia pure in termini generali, risposta ritengo che sia necessario partire dalla valutazione di quello che ha funzionato e quello che non ha funzionato in questi mesi.Avere tanti strumenti differenti suddivisi per tipologia e dimensione d’impresa crea una difficoltà enorme di gestione del sistema obbligando sia gli operatori professionali (consulenti del lavoro) che la PA ad impiantare, conoscere e manutenere sistemi tecnologici differenti. La tecnologia in una situazione del genere diventa un amplificatore di burocrazia. Esattamente il contrario dell’approccio digitale ai problemi. Un sistema non si semplifica trasformando moduli cartacei in digitali, si semplifica utilizzando l’analisi digitale per un suo ripensamento. Quindi uno strumento “tagliato su misura” per ogni impresa non diventa sinonimo di strumento idoneo, al contrario crea una babele di procedure nella quale è difficile districarsi. A tutto ciò deve aggiungersi che il D.lgs 148 ha previsto la creazione di ammortizzatori sociali di comparto, i fondi bilaterali, creati dalle forze sociali di settore. Un simile impianto prevede un presupposto fondamentale. La chiarezza di chi sia rappresentativo di un settore e quale sia la contrattazione collettiva di effettivo riferimento. Senza di ciò il sistema di finanziamento di questi fondi rischia di entrare in quel complesso di dubbi interpretativi che ha sempre accompagnato gli istituti presenti nella cd. “parte obbligatoria” del CCNL alla stregua degli enti bilaterali, della sanità integrativa o della previdenza complementare. In definitiva se non si parte dalla vigenza erga omnes di talune disposizioni diventa impossibile pretendere la contribuzione e, conseguentemente in un sistema puramente assicurativo, la prestazione.Veniamo al punto successivo. In mancanza di contribuzione manca la prestazione. Questo è evidente in un impianto assicurativo classico ma il concetto è difficilmente traslabile in un meccanismo di sicurezza sociale in cui il contraente (datore di lavoro) ed il beneficiario (lavoratore) sono soggetti diversi. La prestazione consente di evitare il licenziamento del lavoratore ed il mantenimento del rapporto di lavoro sia pure in fase di temporanea sospensione. Si evita di generare disoccupazione involontaria. Pertanto, in ossequio all’art. 38 Cost., dovrebbe valere, per ogni tipologia di ammortizzatore, il principio dell’automaticità della prestazione fermo restando l’obbligo contributivo del datore di lavoro.   Altro tema importante è quello relativo alla funzione propria degli ammortizzatori sociali. Il nome stesso “ammortizzatore” evoca la funzione di quel meccanismo che serve ad evitare colpi improvvisi ed a superare dossi o avvallamenti stradali con il minor danno possibile. Sul punto il richiamato D.lgs 148/15 aveva ben introdotto meccanismi che impedissero l’attivazione degli strumenti per funzioni diverse (pensiamo al caso di cessazione dell’attività aziendale) promuovendo in tali circostanze meccanismi di presa in carico del lavoratore da parte dei servizi di ricollocazione con supporto della assicurazione sociale per l’impiego (naspi). Negli anni questi concetti sono stati un po’ lasciati in disparte dal sistema che ha preferito “tornare all’antico” accantonando la ricollocazione dei lavoratori, propria delle politiche attive del lavoro, e privilegiando il sostegno al mancato reddito riprendendo quindi temi di politiche passive del lavoro. Un meccanismo così impostato rende difficile ipotizzare riprese occupazionali visto anche il dichiarato e mai realizzato potenziamento tecnico/organizzativo dei centri per l’impiego ai quali l’avvento della figura dei “navigator” non ha fornito alcun beneficio concreto.Ultimo tema sollevato è quello relativo al finanziamento degli ammortizzatori sociali. La questione è molto ampia e delicata. Mi limito solo a segnalare che la risposta dipenderà dalla funzione che il sistema darà agli stessi. Se rimanessero nell’alveo di uno strumento temporaneo di “sicurezza aziendale” il loro costo non potrà che essere a carico delle imprese e dei lavoratori. Se invece si evolvesse a meccanismo di generale ed universale difesa dalla povertà (reddito di cittadinanza), ancorchè temporanea, del lavoratore potrebbe aprirsi un tema di riconsiderare come destinatario del costo non il mondo del lavoro ma l’intera collettività. In questo caso l’aggravio per la fiscalità generale sarebbe compensato dal minor onere per le imprese che potrebbe tradursi con maggior gettito salariale e quindi maggior introito fiscale.Tematiche ampie e strutturali. Sicuramente lo stress test Covid19 non passerà inosservato anche in tema di ammortizzatori sociali che saranno probabilmente ristrutturati. Come ogni crisi, anche questa, avrà come conseguenza elementi di miglioramento. L’economista Joseph Schumpeter insegnava che proprio dalla crisi, la cui etimologia greca fa riferimento al cambiamento, deriva ogni miglioramento sociale. Speriamo valga anche questa volta.Paolo Stern – presidente Nexumstp S.p.A.Paolo SternConsulente del Lavoro in Roma. Socio fondatore di Nexumstp Spa. Autore di numerose pubblicazioni in materia di lavoro e relatore a convegni e seminari. Professore a contratto presso università pubbliche e private.Sara Di NinnoDottore in Scienze politiche e Relazioni internazionali, collaboratrice area normativa del lavoro presso Nexumstp Spa. Specializzata in Diritto del lavoro e Relazioni industriali, è dottore di ricerca in Diritto pubblico, comparato ed internazionale, con tema di ricerca in Diritto del lavoro internazionale, e docente in corsi di formazione in materia di disciplina del rapporto di lavoro.Massimiliano Matteucci Consulente del Lavoro in Roma, Socio Nexumstp spa. Laureato in Economia. Specializzato in normativa di Diritto del lavoro e previdenza sociale. Cultore della materia presso la Cattedra di Diritto del lavoro dell’Università La Sapienza di Roma e preso l’Università Niccolò Cusano di Roma. Membro del Centro Studi dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro Roma, relatore a convegni e seminari. È articolista per la rivista TWOC dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro di Roma. Consulente Asseveratore Asseco.Lorenzo Sagulo Laureato in Economia e Gestione delle imprese all’Università degli Studi “Roma Tre”. Collabora con Nexumstp Spa nell’area consulenza del lavoro. È specializzato in normativa di Diritto del lavoro e relazioni industriali. 

Massimiliano Matteucci, Sara di Ninno, Lorenzo Sagulo, a cura di Paolo Stern | 2020 Maggioli Editore

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Redazione

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