Le complessive diciotto settimane devono essere collocate nel periodo ricompreso tra il 13 luglio 2020 e il 31 dicembre 2020. Con riferimento a tale periodo, le predette diciotto settimane costituiscono la durata massima che puo’ essere richiesta con causale COVID-19. I periodi di integrazione recentemente richiesti autorizzati ai sensi del predetto decreto-legge n. 18 del 2020, collocati, anche parzialmente, in periodi successivi al 12 luglio 2020 sono imputati, ove autorizzati, alle prime nove settimane del presente comma.
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CASSA INTEGRAZIONE GUADAGNI E CONTRATTI DI SOLIDARIETÀ – e-Book
Mai come in questo periodo il tema degli ammortizzatori sociali è stato così sentito dall’intero sistema produttivo. In occasione della pandemia Covid19 ed alle conseguenti chiusure degli esercizi commerciali e dei siti produttivi il ricorso agli ammortizzatori sociali ha coinvolto praticamente tutto il mondo del lavoro. Un vero stress-test dell’impianto disegnato dal D.lgs 148/15. Il decreto legislativo, inserito nella più ampia manovra passata alla storia come JobsAct, traendo esperienza dalla crisi del 2009 ha previsto al fianco degli ammortizzatori sociali “storici” (il sistema della cassa integrazione ordinaria e straordinaria) una copertura rispetto a settori, fino a quel momento, poco interessati alla gestione di temporanee crisi d’impresa. Le considerazioni che si possono fare a valle del dramma Coronavirus, ed alle conseguenze che lo stesso ha determinato nel mondo del lavoro ed al nuovo assetto che ne deriva degli ammortizzatori sociali, sono diverse. Partirei dal porre quattro questioni che ritengo primarie:1) ha senso disegnare tanti sistemi e procedure diverse per affrontare i medesimi problemi? Non sarebbe più corretto giungere ad un meccanismo unico per rispondere alle crisi d’impresa?2) in che rapporto si deve porre sistema di ammortizzatori conservativi con un meccanismo di politiche attive del lavoro che favorisca la mobilità e la ricollocazione della forza lavoro?3) se il beneficiario dell’ammortizzatore sociale è il lavoratore come inquadrare l’inadempienza contributiva del datore di lavoro? Quali le sue conseguenze?4) chi deve pagare il sistema di ammortizzatori sociali? Il mondo del lavoro o la fiscalità generale?Sono quesiti importantissimi quelli che ci lascia come eredità la crisi della pandemia del 2020. Per provare a fornire una complessiva, sia pure in termini generali, risposta ritengo che sia necessario partire dalla valutazione di quello che ha funzionato e quello che non ha funzionato in questi mesi.Avere tanti strumenti differenti suddivisi per tipologia e dimensione d’impresa crea una difficoltà enorme di gestione del sistema obbligando sia gli operatori professionali (consulenti del lavoro) che la PA ad impiantare, conoscere e manutenere sistemi tecnologici differenti. La tecnologia in una situazione del genere diventa un amplificatore di burocrazia. Esattamente il contrario dell’approccio digitale ai problemi. Un sistema non si semplifica trasformando moduli cartacei in digitali, si semplifica utilizzando l’analisi digitale per un suo ripensamento. Quindi uno strumento “tagliato su misura” per ogni impresa non diventa sinonimo di strumento idoneo, al contrario crea una babele di procedure nella quale è difficile districarsi. A tutto ciò deve aggiungersi che il D.lgs 148 ha previsto la creazione di ammortizzatori sociali di comparto, i fondi bilaterali, creati dalle forze sociali di settore. Un simile impianto prevede un presupposto fondamentale. La chiarezza di chi sia rappresentativo di un settore e quale sia la contrattazione collettiva di effettivo riferimento. Senza di ciò il sistema di finanziamento di questi fondi rischia di entrare in quel complesso di dubbi interpretativi che ha sempre accompagnato gli istituti presenti nella cd. “parte obbligatoria” del CCNL alla stregua degli enti bilaterali, della sanità integrativa o della previdenza complementare. In definitiva se non si parte dalla vigenza erga omnes di talune disposizioni diventa impossibile pretendere la contribuzione e, conseguentemente in un sistema puramente assicurativo, la prestazione.Veniamo al punto successivo. In mancanza di contribuzione manca la prestazione. Questo è evidente in un impianto assicurativo classico ma il concetto è difficilmente traslabile in un meccanismo di sicurezza sociale in cui il contraente (datore di lavoro) ed il beneficiario (lavoratore) sono soggetti diversi. La prestazione consente di evitare il licenziamento del lavoratore ed il mantenimento del rapporto di lavoro sia pure in fase di temporanea sospensione. Si evita di generare disoccupazione involontaria. Pertanto, in ossequio all’art. 38 Cost., dovrebbe valere, per ogni tipologia di ammortizzatore, il principio dell’automaticità della prestazione fermo restando l’obbligo contributivo del datore di lavoro. Altro tema importante è quello relativo alla funzione propria degli ammortizzatori sociali. Il nome stesso “ammortizzatore” evoca la funzione di quel meccanismo che serve ad evitare colpi improvvisi ed a superare dossi o avvallamenti stradali con il minor danno possibile. Sul punto il richiamato D.lgs 148/15 aveva ben introdotto meccanismi che impedissero l’attivazione degli strumenti per funzioni diverse (pensiamo al caso di cessazione dell’attività aziendale) promuovendo in tali circostanze meccanismi di presa in carico del lavoratore da parte dei servizi di ricollocazione con supporto della assicurazione sociale per l’impiego (naspi). Negli anni questi concetti sono stati un po’ lasciati in disparte dal sistema che ha preferito “tornare all’antico” accantonando la ricollocazione dei lavoratori, propria delle politiche attive del lavoro, e privilegiando il sostegno al mancato reddito riprendendo quindi temi di politiche passive del lavoro. Un meccanismo così impostato rende difficile ipotizzare riprese occupazionali visto anche il dichiarato e mai realizzato potenziamento tecnico/organizzativo dei centri per l’impiego ai quali l’avvento della figura dei “navigator” non ha fornito alcun beneficio concreto.Ultimo tema sollevato è quello relativo al finanziamento degli ammortizzatori sociali. La questione è molto ampia e delicata. Mi limito solo a segnalare che la risposta dipenderà dalla funzione che il sistema darà agli stessi. Se rimanessero nell’alveo di uno strumento temporaneo di “sicurezza aziendale” il loro costo non potrà che essere a carico delle imprese e dei lavoratori. Se invece si evolvesse a meccanismo di generale ed universale difesa dalla povertà (reddito di cittadinanza), ancorchè temporanea, del lavoratore potrebbe aprirsi un tema di riconsiderare come destinatario del costo non il mondo del lavoro ma l’intera collettività. In questo caso l’aggravio per la fiscalità generale sarebbe compensato dal minor onere per le imprese che potrebbe tradursi con maggior gettito salariale e quindi maggior introito fiscale.Tematiche ampie e strutturali. Sicuramente lo stress test Covid19 non passerà inosservato anche in tema di ammortizzatori sociali che saranno probabilmente ristrutturati. Come ogni crisi, anche questa, avrà come conseguenza elementi di miglioramento. L’economista Joseph Schumpeter insegnava che proprio dalla crisi, la cui etimologia greca fa riferimento al cambiamento, deriva ogni miglioramento sociale. Speriamo valga anche questa volta.Paolo Stern – presidente Nexumstp S.p.A.Paolo SternConsulente del Lavoro in Roma. Socio fondatore di Nexumstp Spa. Autore di numerose pubblicazioni in materia di lavoro e relatore a convegni e seminari. Professore a contratto presso università pubbliche e private.Sara Di NinnoDottore in Scienze politiche e Relazioni internazionali, collaboratrice area normativa del lavoro presso Nexumstp Spa. Specializzata in Diritto del lavoro e Relazioni industriali, è dottore di ricerca in Diritto pubblico, comparato ed internazionale, con tema di ricerca in Diritto del lavoro internazionale, e docente in corsi di formazione in materia di disciplina del rapporto di lavoro.Massimiliano Matteucci Consulente del Lavoro in Roma, Socio Nexumstp spa. Laureato in Economia. Specializzato in normativa di Diritto del lavoro e previdenza sociale. Cultore della materia presso la Cattedra di Diritto del lavoro dell’Università La Sapienza di Roma e preso l’Università Niccolò Cusano di Roma. Membro del Centro Studi dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro Roma, relatore a convegni e seminari. È articolista per la rivista TWOC dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro di Roma. Consulente Asseveratore Asseco.Lorenzo Sagulo Laureato in Economia e Gestione delle imprese all’Università degli Studi “Roma Tre”. Collabora con Nexumstp Spa nell’area consulenza del lavoro. È specializzato in normativa di Diritto del lavoro e relazioni industriali.
Massimiliano Matteucci, Sara di Ninno, Lorenzo Sagulo, a cura di Paolo Stern | 2020 Maggioli Editore
20.89 € 16.71 €
Le ulteriori nove settimane di trattamenti, di cui al comma 1, sono riconosciute esclusivamente ai datori di lavoro ai quali sia stato gia’ interamente autorizzato il precedente periodo di nove settimane, decorso il periodo autorizzato. I datori di lavoro che presentano domanda per periodi di integrazione relative alle ulteriori nove settimane di cui al comma 1 versano un contributo addizionale determinato sulla base del raffronto tra il fatturato aziendale del primo semestre 2020 e quello del corrispondente semestre 2019, pari:
a) al 9 per cento della retribuzione globale che sarebbe spettata al lavoratore per le ore di lavoro non prestate durante la sospensione o riduzione dell’attivita’ lavorativa, per i datori di lavoro che hanno avuto una riduzione del fatturato inferiore al venti per cento;
b) al 18 per cento della retribuzione globale che sarebbe spettata al lavoratore per le ore di lavoro non prestate durante la sospensione o riduzione dell’attivita’ lavorativa, per i datori di lavoro che non hanno avuto alcuna riduzione del fatturato.
Il contributo addizionale non e’ dovuto dai datori di lavoro che hanno subito una riduzione del fatturato pari o superiore al 20 per cento e per coloro che hanno avviato l’attivita’ di impresa successivamente al primo gennaio 2019.
Ai fini dell’accesso alle ulteriori nove settimane di cui al comma 2, il datore di lavoro deve presentare all’INPS domanda di concessione nella quale autocertifica, ai sensi di quanto previsto dall’articolo 47 del decreto del Presidente della Repubblica del 28 dicembre 2000, n. 445, la sussistenza dell’eventuale riduzione del fatturato di cui al comma 3. L’INPS autorizza i trattamenti di cui al presente articolo e, sulla base della autocertificazione allegata alla domanda, individua l’aliquota del contributo addizionale che il datore di lavoro e’ tenuto a versare a partire dal periodo di paga successivo al provvedimento di concessione dell’integrazione salariale. In mancanza di autocertificazione, si applica l’aliquota del 18 per cento di cui al comma 2, lettera b). Sono comunque disposte le necessarie verifiche relative alla sussistenza dei requisiti richiesti e autocertificati per l’accesso ai trattamenti di integrazione salariale di cui al presente articolo, ai fini delle quali l’INPS e l’Agenzia delle entrate sono autorizzati a scambiarsi i dati.
Le domande di accesso ai trattamenti di cui al presente articolo devono essere inoltrate all’INPS, a pena di decadenza, entro la fine del mese successivo a quello in cui ha avuto inizio il periodo di sospensione o di riduzione dell’attivita’ lavorativa. In fase di prima applicazione, il termine di decadenza di cui al presente comma e’ fissato entro la fine del mese successivo a quello di entrata in vigore del presente decreto.
In caso di pagamento diretto delle prestazioni di cui al presente articolo da parte dell’INPS, il datore di lavoro e’ tenuto ad inviare all’Istituto tutti i dati necessari per il pagamento o per il saldo dell’integrazione salariale entro la fine del mese successivo a quello in cui e’ collocato il periodo di integrazione salariale, ovvero, se posteriore, entro il termine di trenta giorni dall’adozione del provvedimento di concessione. In sede di prima applicazione, i termini di cui al presente comma sono spostati al trentesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto se tale ultima data e’ posteriore a quella di cui al primo periodo. Trascorsi inutilmente tali termini, il pagamento della prestazione e gli oneri ad essa connessi rimangono a carico del datore di lavoro inadempiente.
I Fondi di cui all’articolo 27 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 148 garantiscono l’erogazione dell’assegno ordinario di cui al comma 1 con le medesime modalita’ di cui al presente articolo. Il concorso del bilancio dello Stato agli oneri finanziari relativi alla predetta prestazione e’ stabilito nel limite massimo di 1.600 milioni di euro per l’anno 2020 ed e’ assegnato ai rispettivi Fondi con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze. Le risorse di cui al presente comma sono trasferite ai rispettivi Fondi con uno o piu’ decreti del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, previo monitoraggio da parte dei Fondi stessi dell’andamento del costo della prestazione, relativamente alle istanze degli aventi diritto, nel rispetto del limite di spesa e secondo le indicazioni fornite dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
Il trattamento di cassa integrazione salariale operai agricoli (CISOA), ai sensi dell’articolo 19, comma 3-bis, del predetto decreto-legge n. 18 del 2020, richiesto per eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica da COVID-19, e’ concesso, in deroga ai limiti di fruizione riferiti al singolo lavoratore e al numero di giornate lavorative da svolgere presso la stessa azienda di cui all’articolo 8 della legge 8 agosto 1972, n. 457, per una durata massima di cinquanta giorni, nel periodo ricompreso tra il 13 luglio e il 31 dicembre 2020. La domanda di CISOA deve essere presentata, a pena di decadenza, entro la fine del mese successivo a quello in cui ha avuto inizio il periodo di sospensione dell’attivita’ lavorativa.
I periodi di integrazione precedentemente richiesti e autorizzati ai sensi del predetto decreto-legge n. 18 del 2020, collocati, anche parzialmente, in periodi successivi al 12 luglio 2020 sono imputati ai cinquanta giorni stabiliti dal presente comma. In fase di prima applicazione, il termine di decadenza di cui al presente comma e’ fissato entro la fine del mese successivo a quello di entrata in vigore del presente decreto. I periodi di integrazione autorizzati ai sensi dell’articolo19, comma 3-bis, del predetto decreto-legge n. 18 del 2020, e ai sensi del presente articolo sono computati ai fini del raggiungimento del requisito delle 181 giornate di effettivo lavoro previsto dall’articolo 8 della legge 8 agosto 1972, n. 457.
I termini decadenziali di invio delle domande di accesso ai trattamenti collegati all’emergenza COVID-19 e di trasmissione dei dati necessari per il pagamento o per il saldo degli stessi, compresi quelli differiti in via amministrativa, in scadenza entro il 31 luglio 2020, sono differiti al 31 agosto 2020.
I termini di invio delle domande di accesso ai trattamenti collegati all’emergenza COVID-19 e di trasmissione dei dati necessari per il pagamento o per il saldo degli stessi che, in applicazione della disciplina ordinaria, si collocano tra il 1° e il 31 agosto 2020 sono differiti al 30 settembre 2020.
I trattamenti di cui ai commi 1, 2 e 8 sono concessi nel limite massimo di spesa pari a 8.220,3 milioni di euro, ripartito in 5.174 milioni di euro per i trattamenti di cassa integrazione ordinaria e assegno ordinario di cui ai commi 1 e 2, in 2.889,6 milioni di euro per i trattamenti di cassa integrazione in deroga di cui ai commi 1 e 2 e in 156,7 milioni di euro per i trattamenti di cui al comma 8.
L’INPS provvede al monitoraggio del limite di spesa di cui al presente comma. Qualora dal predetto monitoraggio emerga che e’ stato raggiunto anche in via prospettica il limite di spesa, l’INPS non prende in considerazione ulteriori domande.
Fermo restando quanto previsto dall’articolo 265, comma 9, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, in relazione alle risorse di cui agli articoli da 68 a 71 del predetto decreto-legge n. 34 del 2020, a valere sulle medesime risorse possono essere riconosciuti i periodi corrispondenti alle prime nove settimane di cui al comma 1 del presente articolo.
All’onere derivante dal presente articolo pari a 7.804,2 milioni di euro per l’anno 2020 e a 2.016,1 milioni di euro per l’anno 2021 in termini di saldo netto da finanziare e a 4.789,3 milioni di euro per l’anno 2020 e a 1.224,6 milioni di euro per l’anno 2021 in termini di indebitamento netto e fabbisogno delle amministrazioni pubbliche si provvede quanto a 223,1 milioni di euro per l’anno 2020 e a 74,4 milioni di euro per l’anno 2021 mediante le maggiori entrate derivanti dal comma 2 del presente articolo e per la restante quota ai sensi dell’articolo 114.
Disposizioni in materia di accesso alla cassa integrazione dei lavoratori dipendenti iscritti al Fondo Pensione Sportivi Professionisti .
All’articolo 22 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, dopo il comma 1 e’ inserito il seguente: «1-bis. I lavoratori dipendenti iscritti al Fondo Pensione Sportivi Professionisti che, nella stagione sportiva 2019-2020, hanno percepito retribuzioni contrattuali lorde non superiori a 50.000 euro possono accedere al trattamento di integrazione salariale di cui al comma 1, limitatamente ad un periodo massimo complessivo di nove settimane. Le domande di cassa integrazione in deroga, di cui al presente comma, dovranno essere presentate dai datori di lavoro all’INPS, secondo le modalita’ che saranno indicate dall’Istituto.
Sono considerate valide le domande gia’ presentate alle regioni o province autonome di Trento e Bolzano, che provvederanno ad autorizzarle nei limiti delle risorse loro assegnate. Per ogni singola associazione sportiva non potranno essere autorizzate piu’ di nove settimane complessive; esclusivamente per le associazioni aventi sede nelle regioni di cui al comma 8 quater, le regioni potranno autorizzare periodi fino a tredici settimane, nei limiti delle risorse ivi previste. La retribuzione contrattuale utile per l’accesso alla misura viene dichiarata dal datore di lavoro. Le federazioni sportive e l’INPS, attraverso la stipula di apposite convenzioni, possono scambiarsi i dati, per i rispettivi fini istituzionali, riguardo all’individuazione della retribuzione annua di 50.000 euro ed ai periodi ed importi di CIG in deroga, di cui al presente comma. Al riconoscimento dei benefici di cui al presente comma si provvede, relativamente al riconoscimento delle nove settimane di competenza INPS, nel limite massimo di spesa di 21,1 milioni di euro per l’anno 2020.».
All’articolo 98 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 3 convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, il comma 7 e’ abrogato.
Esonero dal versamento dei contributi previdenziali per aziende che non richiedono trattamenti di cassa integrazione
In via eccezionale, al fine di fronteggiare l’emergenza da COVID-19, ai datori di lavoro privati, con esclusione del settore agricolo, che non richiedono i trattamenti di cui all’articolo 1 del presente decreto e che abbiano gia’ fruito, nei mesi di maggio e giugno 2020, dei trattamenti di integrazione salariale di cui agli articoli da 19 a 22-quinquies del decreto-legge 17 marzo 2020, n.18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27 e successive modificazioni, ferma restando l’aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche, e’ riconosciuto l’esonero dal versamento dei contributi previdenziali a loro carico, per un periodo massimo di quattro mesi, fruibili entro il 31 dicembre 2020, nei limiti del doppio delle ore di integrazione salariale gia’ fruite nei predetti mesi di maggio e giugno 2020, con esclusione dei premi e contributi dovuti all’INAIL, riparametrato e applicato su base mensile.
L’esonero di cui al presente articolo puo’ essere riconosciuto anche ai datori di lavoro che hanno richiesto periodi di integrazione salariale ai sensi del predetto decreto-legge n. 18 del 2020, collocati, anche parzialmente, in periodi successivi al 12 luglio 2020.
Al datore di lavoro che abbia beneficiato dell’esonero di cui al comma 1, si applicano i divieti di cui all’articolo 14 del presente decreto.
La violazione delle disposizioni di cui al comma 2 comporta la revoca dall’esonero contributivo concesso ai sensi del comma 1 del presente decreto con efficacia retroattiva e l’impossibilita’ di presentare domanda di integrazione salariale ai sensi dell’articolo 1. 4. L’esonero di cui al presente articolo e’ cumulabile con altri esoneri o riduzioni delle aliquote di finanziamento previsti dalla normativa vigente, nei limiti della contribuzione previdenziale dovuta.
Il beneficio previsto al presente articolo e’ concesso ai sensi della sezione 3.1 della Comunicazione della Commissione europea recante un «Quadro temporaneo per le misure di aiuto di Stato a sostegno dell’economia nell’attuale emergenza del COVID-19» e nei limiti ed alle condizioni di cui alla medesima Comunicazione.
L’efficacia delle disposizioni del presente articolo e’ subordinata, ai sensi dell’articolo 108, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, all’autorizzazione della Commissione europea.
Agli oneri derivanti dal presente articolo valutati in 363 milioni di euro per l’anno 2020 e in 121,1 milioni di euro per l’anno 2021 si provvede ai sensi dell’articolo 114.
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Mai come in questo periodo il tema degli ammortizzatori sociali è stato così sentito dall’intero sistema produttivo. In occasione della pandemia Covid19 ed alle conseguenti chiusure degli esercizi commerciali e dei siti produttivi il ricorso agli ammortizzatori sociali ha coinvolto praticamente tutto il mondo del lavoro. Un vero stress-test dell’impianto disegnato dal D.lgs 148/15. Il decreto legislativo, inserito nella più ampia manovra passata alla storia come JobsAct, traendo esperienza dalla crisi del 2009 ha previsto al fianco degli ammortizzatori sociali “storici” (il sistema della cassa integrazione ordinaria e straordinaria) una copertura rispetto a settori, fino a quel momento, poco interessati alla gestione di temporanee crisi d’impresa. Le considerazioni che si possono fare a valle del dramma Coronavirus, ed alle conseguenze che lo stesso ha determinato nel mondo del lavoro ed al nuovo assetto che ne deriva degli ammortizzatori sociali, sono diverse. Partirei dal porre quattro questioni che ritengo primarie:1) ha senso disegnare tanti sistemi e procedure diverse per affrontare i medesimi problemi? Non sarebbe più corretto giungere ad un meccanismo unico per rispondere alle crisi d’impresa?2) in che rapporto si deve porre sistema di ammortizzatori conservativi con un meccanismo di politiche attive del lavoro che favorisca la mobilità e la ricollocazione della forza lavoro?3) se il beneficiario dell’ammortizzatore sociale è il lavoratore come inquadrare l’inadempienza contributiva del datore di lavoro? Quali le sue conseguenze?4) chi deve pagare il sistema di ammortizzatori sociali? Il mondo del lavoro o la fiscalità generale?Sono quesiti importantissimi quelli che ci lascia come eredità la crisi della pandemia del 2020. Per provare a fornire una complessiva, sia pure in termini generali, risposta ritengo che sia necessario partire dalla valutazione di quello che ha funzionato e quello che non ha funzionato in questi mesi.Avere tanti strumenti differenti suddivisi per tipologia e dimensione d’impresa crea una difficoltà enorme di gestione del sistema obbligando sia gli operatori professionali (consulenti del lavoro) che la PA ad impiantare, conoscere e manutenere sistemi tecnologici differenti. La tecnologia in una situazione del genere diventa un amplificatore di burocrazia. Esattamente il contrario dell’approccio digitale ai problemi. Un sistema non si semplifica trasformando moduli cartacei in digitali, si semplifica utilizzando l’analisi digitale per un suo ripensamento. Quindi uno strumento “tagliato su misura” per ogni impresa non diventa sinonimo di strumento idoneo, al contrario crea una babele di procedure nella quale è difficile districarsi. A tutto ciò deve aggiungersi che il D.lgs 148 ha previsto la creazione di ammortizzatori sociali di comparto, i fondi bilaterali, creati dalle forze sociali di settore. Un simile impianto prevede un presupposto fondamentale. La chiarezza di chi sia rappresentativo di un settore e quale sia la contrattazione collettiva di effettivo riferimento. Senza di ciò il sistema di finanziamento di questi fondi rischia di entrare in quel complesso di dubbi interpretativi che ha sempre accompagnato gli istituti presenti nella cd. “parte obbligatoria” del CCNL alla stregua degli enti bilaterali, della sanità integrativa o della previdenza complementare. In definitiva se non si parte dalla vigenza erga omnes di talune disposizioni diventa impossibile pretendere la contribuzione e, conseguentemente in un sistema puramente assicurativo, la prestazione.Veniamo al punto successivo. In mancanza di contribuzione manca la prestazione. Questo è evidente in un impianto assicurativo classico ma il concetto è difficilmente traslabile in un meccanismo di sicurezza sociale in cui il contraente (datore di lavoro) ed il beneficiario (lavoratore) sono soggetti diversi. La prestazione consente di evitare il licenziamento del lavoratore ed il mantenimento del rapporto di lavoro sia pure in fase di temporanea sospensione. Si evita di generare disoccupazione involontaria. Pertanto, in ossequio all’art. 38 Cost., dovrebbe valere, per ogni tipologia di ammortizzatore, il principio dell’automaticità della prestazione fermo restando l’obbligo contributivo del datore di lavoro. Altro tema importante è quello relativo alla funzione propria degli ammortizzatori sociali. Il nome stesso “ammortizzatore” evoca la funzione di quel meccanismo che serve ad evitare colpi improvvisi ed a superare dossi o avvallamenti stradali con il minor danno possibile. Sul punto il richiamato D.lgs 148/15 aveva ben introdotto meccanismi che impedissero l’attivazione degli strumenti per funzioni diverse (pensiamo al caso di cessazione dell’attività aziendale) promuovendo in tali circostanze meccanismi di presa in carico del lavoratore da parte dei servizi di ricollocazione con supporto della assicurazione sociale per l’impiego (naspi). Negli anni questi concetti sono stati un po’ lasciati in disparte dal sistema che ha preferito “tornare all’antico” accantonando la ricollocazione dei lavoratori, propria delle politiche attive del lavoro, e privilegiando il sostegno al mancato reddito riprendendo quindi temi di politiche passive del lavoro. Un meccanismo così impostato rende difficile ipotizzare riprese occupazionali visto anche il dichiarato e mai realizzato potenziamento tecnico/organizzativo dei centri per l’impiego ai quali l’avvento della figura dei “navigator” non ha fornito alcun beneficio concreto.Ultimo tema sollevato è quello relativo al finanziamento degli ammortizzatori sociali. La questione è molto ampia e delicata. Mi limito solo a segnalare che la risposta dipenderà dalla funzione che il sistema darà agli stessi. Se rimanessero nell’alveo di uno strumento temporaneo di “sicurezza aziendale” il loro costo non potrà che essere a carico delle imprese e dei lavoratori. Se invece si evolvesse a meccanismo di generale ed universale difesa dalla povertà (reddito di cittadinanza), ancorchè temporanea, del lavoratore potrebbe aprirsi un tema di riconsiderare come destinatario del costo non il mondo del lavoro ma l’intera collettività. In questo caso l’aggravio per la fiscalità generale sarebbe compensato dal minor onere per le imprese che potrebbe tradursi con maggior gettito salariale e quindi maggior introito fiscale.Tematiche ampie e strutturali. Sicuramente lo stress test Covid19 non passerà inosservato anche in tema di ammortizzatori sociali che saranno probabilmente ristrutturati. Come ogni crisi, anche questa, avrà come conseguenza elementi di miglioramento. L’economista Joseph Schumpeter insegnava che proprio dalla crisi, la cui etimologia greca fa riferimento al cambiamento, deriva ogni miglioramento sociale. Speriamo valga anche questa volta.Paolo Stern – presidente Nexumstp S.p.A.Paolo SternConsulente del Lavoro in Roma. Socio fondatore di Nexumstp Spa. Autore di numerose pubblicazioni in materia di lavoro e relatore a convegni e seminari. Professore a contratto presso università pubbliche e private.Sara Di NinnoDottore in Scienze politiche e Relazioni internazionali, collaboratrice area normativa del lavoro presso Nexumstp Spa. Specializzata in Diritto del lavoro e Relazioni industriali, è dottore di ricerca in Diritto pubblico, comparato ed internazionale, con tema di ricerca in Diritto del lavoro internazionale, e docente in corsi di formazione in materia di disciplina del rapporto di lavoro.Massimiliano Matteucci Consulente del Lavoro in Roma, Socio Nexumstp spa. Laureato in Economia. Specializzato in normativa di Diritto del lavoro e previdenza sociale. Cultore della materia presso la Cattedra di Diritto del lavoro dell’Università La Sapienza di Roma e preso l’Università Niccolò Cusano di Roma. Membro del Centro Studi dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro Roma, relatore a convegni e seminari. È articolista per la rivista TWOC dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro di Roma. Consulente Asseveratore Asseco.Lorenzo Sagulo Laureato in Economia e Gestione delle imprese all’Università degli Studi “Roma Tre”. Collabora con Nexumstp Spa nell’area consulenza del lavoro. È specializzato in normativa di Diritto del lavoro e relazioni industriali.
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