DECRETO CURA ITALIA: sospensione dei processi e criteri interpretativi

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I criteri generali di interpretazione della normativa

L’art. 83 del D.L. n. 18 del 2020 – come del resto l’intero impianto normativo del decreto – è da considerarsi – nell’ambito dell’ordinamento – quale legge eccezionale. Un provvedimento, cioè, che deroga alle regole generali e ad altre leggi.

Pertanto, in forza di quanto previsto dall’art. 14 delle preleggi al codice civile non può ritenersi applicabile (all’art. 83 ed all’intero testo del decreto) alcuna ragionamento interpretativo di natura analogica come disciplinato dall’art. 12, secondo comma, delle preleggi al codice civile.

Ne deriva che l’interprete è vincolato nell’opera ermeneutica a quanto previsto dall’art. 12, comma 1 delle preleggi al codice civile:

  1. l’interpretazione letterale delle disposizioni secondo il senso “fatto palese dal significato proprio delle parole” ed in ragione della connessione di esse
  2. L’intenzione del legislatore, quindi la “ratio” sottesa all’eccezionalità della disciplina

In questo quadro è, allora, indispensabile individuare correttamente la “ratio” che governa l’intero provvedimento ed in particolare le disposizioni dettate dall’art. 83. Ovviamente il riferimento è alla c.d. “ratio legis” e, quindi, all esatta “fotografia” delle intenzioni del legislatore.

L’epigrafe del provvedimento – per quanto interessa alla specifica analisi dell’art. 83 – recita:  Ritenuta la straordinaria necessita’ e urgenza di adottare altresì’ disposizioni in materia di giustizia, di  trasporti,  per  i  settori agricolo e sportivo, dello spettacolo e della cultura, della scuola e dell’universita’; ciò consente di ritenere che detta “straordinarietà” debba essere, innanzitutto, connessa e collegata alla prima parte dell’epigrafe del provvedimento ove viene chiarito che scopo della disposizione è quello di contenere gli effetti negativi della pandemia  sulla protezione civile e la sicurezza

La conclusione è pertanto palese: la ratio legis delle disposizioni deve essere individuata nella volontà del legislatore di garantire e proteggere – in generale per tutti i cittadini e nello specifico per i diversi settori individuati – alcuni fondamentali diritti costituzionali posti in pericolo dalla emergenza sanitaria con correlativo, parziale, sacrificio di altri principi disciplinati dalla Carta. Ad esempio il diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi (art. 24) è parzialmente sospeso  – rispetto ai modi ed ai termini dettati dalla legge ordinaria – in ragione  della necessità di tutelare e garantire il diritto alla salute (art. 32) di fatto compromesso proprio dallo svolgimento integrale  di tutte quelle attività che rendono effettivo, nel nostro ordinamento, il principio affermato dall’art. 24.

All’evidenza,  il diritto alla salute e la protezione – per tutti i consociati – costituisce “il perno” attorno al quale “ruotano” i parziali sacrifici cui sono soggetti, in virtù della normativa eccezionale, i diversi ulteriori principi costituzionali “lesi” dalla legge di emergenza.

Nondimeno può essere messa in discussione la legittimità, sotto il profilo costituzionale, di tutti i provvedimenti. La situazione  sanitaria  ha determinato la necessità di una normativa emergenziale, della quale fanno parte vari decreti ministeriali del Ministero della Salute, la delibera del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020, che dichiarava, per la durata di mesi sei, lo stato di emergenza sul territorio nazionale relativo al rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili.

L’ordinanza era stata emessa nell’esercizio dei poteri in materia di protezione civile previsti dal D.lgs 2 gennaio 2018, n.1 (Codice della protezione civile), che, all’articolo 24 disciplina lo “stato di emergenza di rilievo nazionale”. Nel caso specifico, l’intervento era giustificato dalla più grave delle ipotesi previste e precisamente da quella di cui alla lettera c) «emergenze di rilievo nazionale connesse con eventi calamitosi di origine naturale o derivanti dall’attività dell’uomo che in ragione della loro intensità o estensione debbono, con immediatezza d’intervento, essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari da impiegare durante limitati e predefiniti periodi di tempo ai sensi dell’articolo 24».

Seguivano il decreto-legge 23 febbraio 2020 n. 6, convertito in legge 5.03 2020, n.13, e quindi i Dpcm (decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri) datati 1°, 8. 10 e 12 marzo 2020, che davano attuazione concreta alla legge.

Alla luce di quanto osservato i criteri interpretativi devono rimanere nell’alveo di quanto previsto dall’art. 12, comma 1, con esclusione di qualsivoglia opzione ermeneutica di natura analogica con riferimento, ad esempio, alla normativa generale in materia di sospensione feriale dei termini o ad altre leggi che possano avere un aedem ratio rispetto agli istituti trattati dal decreto legge. Ciò tenendo, però, sempre in adeguata considerazione la ratio legis e la valenza della medesima nell’ambito dei diritti costituzionali ed in particolare ai principi relativi al diritto alla salute (art. 32 Costituzione).

Scarica la nostra circolare:”Circolare misure in materia giustizia relative al decreto legge del 17 marzo 2020″

ART. 83 D.L. 17 MARZO 2020: COMMA 1 E 2

  1. Dal 9 marzo 2020 al 15 aprile 2020 le udienze dei procedimenti civili e penali pendenti presso tutti gli uffici giudiziari sono rinviate d’ufficio a data successiva al 15 aprile 2020.
  2. Dal 9 marzo 2020 al 15 aprile 2020 è sospeso il decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali. Si intendono pertanto sospesi, per la stessa durata, i termini stabiliti per la fase delle indagini preliminari, per l’adozione di provvedimenti giudiziari e per il deposito della loro motivazione, per la proposizione degli atti introduttivi del giudizio e dei procedimenti esecutivi, per le impugnazioni e, in genere, tutti i termini procedurali. Ove il decorso del termine abbia inizio durante il periodo di sospensione, l’inizio stesso è differito alla fine di detto periodo. Quando il termine è computato a ritroso e ricade in tutto o in parte nel periodo di sospensione, è differita l’udienza o l’attività da cui decorre il termine in modo da consentirne il rispetto. Si intendono altresì sospesi, per la stessa durata indicata nel primo periodo, i termini per la notifica del ricorso in primo grado innanzi alle Commissioni tributarie e il termine di cui all’articolo 17-bis, comma 2 del decreto legislativo 31 dicembre 1992 n. 546 .

La disposizione del primo comma  non presenta particolari difficoltà interpretative: il riferimento a “tutti gli Uffici Giudiziari” riguarda ogni  organo giurisdizionale,  come peraltro confermato dai successivi artt. 84 e segg con riferimento alla Giustizia Amministrativa ed alla Corte dei Conti. Opportuna la specificazione – contenuta nell’ultima parte del comma 2, alle Commissioni Tributarie che, come noto, dipendono dal Ministero delle Finanze e non da quello della Giustizia.

Sul punto merita notazione  la possibilità riservata all’Autorità Giudiziaria (previo concerto con le Istituzioni preposte, compresi i Consigli dell’Ordine ai sensi del successivo comma 6) di poter ulteriormente differire le udienze civili e penali fino al 30 giugno 2020 (comma 7 lett g)

Parrebbe altrettanto chiara la previsione di cui al comma 2. Il legislatore nella prima parte ripete ben due volte che la sospensione riguarda tutti i termini civili e penali: I) è sospeso il decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto ; ii) e, in genere, di  tutti i termini procedurali.

Nessun dubbio, quindi, sulla sospensione di tutti i termini dettati e previsti dalla legge processuale penale e civile.

Un tema di particolare rilevanza attiene, invece, alla sorte dei “termini” previsti nella disciplina sostanziale. In ambito penale  rileva, ad esempio,  il termine stabilito dall’art. 124 c.p. per la presentazione della querela o in ambito civile il termine stabilito dagli artt. 1168 e segg c.c. per la proposizione delle azioni a difesa del possesso o di denunzia di nuova opera e danno temuto.  La prima parte del comma 2 – nell’ambito di una rigorosa interpretazione letterale derivata dalla natura eccezionale della norma – non lascia adito a dubbi: la sospensione riguarda qualsiasi termine per il compimento di qualsiasi atto. Non vi è distinzione tra termine indicato nel codice sostanziale o in quello procedurale e nell’ambito della parola  “atto” è certamente compreso anche l’atto di denuncia -querela. L’espressione successiva (si intendono, pertanto, sospesi…) potrebbe essere considerata  come “interpretazione” della prima alinea e, pertanto, il riferimento agli atti ivi indicati (impugnazioni, atti introduttivi) limitare il significato dell’espressione “è sospeso il decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali” ai soli termini ed atti del codice di procedura civile o penale. In realtà una tale limitazione interpretativa risulterebbe errata. Ciò per diverse ragioni. Innanzitutto l’ultima parte del comma 2 conclude precisando che la sospensione riguarda “tutti i termini procedurali” ed i  termini disciplinati nel codice penale e nel codice civile per il compimento di atti o azioni giudiziarie sono per definizione “procedurali”. Nello specifico esempio del termine per la presentazione della querela (art. 124 c.p.) è di evidenza che lo stesso debba essere considerato procedurale, atteso che  la norma (sostanziale) rimanda al codice di procedura penale per la disciplina dei termini in casi particolari (art. 338 c.p.p. per il curatore speciale).

Ogni dubbio, sul punto, deve intendersi, poi, dissipato in forza della disposizione del comma 8 (della quale si approfondirà in seguito) che espressamente sospende tutti i termini prescrizionali e di decadenza  la cui interruzione è legata, esclusivamente,  alla proposizione di specifica domanda giudiziale. La disposizione è riferita a tutte quelle attività precluse nel periodo successivo alla sospensione in ragione di specifici provvedimenti assunti dall’Autorità Giudiziaria come previsti dai commi 5 e 6. Regola che – gioco forza – deve valere, ed  a maggior ragione, nel periodo di sospensione disciplinata dal comma 1 e 2 dell’art. 83.

Non parrebbe, invece, ammissibile un estensione interpretativa  del comma 2 tale da coinvolgere nella sospensione anche gli atti stragiudiziali che debbono essere compiuti entro un certo termine ( ad esempio interruzione della prescrizione). Il già citato comma 8 precisa infatti che la sospensione dei termini di decadenza e di prescrizione opera esclusivamente per quei termini la cui interruzione è legata alla proposizione di specifica domanda giudiziale.

ART. 83 D.L. 17 MARZO 2020: COMMA 3 lett. a)

Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 non operano nei seguenti casi:

a) cause di competenza del tribunale per i minorenni relative alle dichiarazioni di adottabilità, ai minori stranieri non accompagnati, ai minori allontanati dalla famiglia ed alle situazioni di grave pregiudizio; cause relative ad alimenti o ad obbligazioni alimentari derivanti da rapporti di famiglia, di parentela, di matrimonio o di affinità; procedimenti cautelari aventi ad oggetto la tutela di diritti fondamentali della persona; procedimenti per l’adozione di provvedimenti in materia di tutela, di amministrazione di sostegno, di interdizione, di inabilitazione nei soli casi in cui viene dedotta una motivata situazione di indifferibilità incompatibile anche con l’adozione di provvedimenti provvisori e sempre che l’esame diretto della persona del beneficiario, dell’interdicendo e dell’inabilitando non risulti incompatibile con le sue condizioni di età e salute; procedimenti di cui all’articolo 35 della legge 23 dicembre 1978, n. 833; procedimenti di cui all’articolo 12 della legge 22 maggio 1978, n. 194; procedimenti per l’adozione di ordini di protezione contro gli abusi familiari; procedimenti di convalida dell’espulsione, allontanamento e trattenimento di cittadini di paesi terzi e dell’Unione europea; procedimenti di cui agli articoli 283, 351 e 373 del codice di procedura civile e, in genere, tutti i procedimenti la cui ritardata trattazione può produrre grave pregiudizio alle parti. In quest’ultimo caso, la dichiarazione di urgenza è fatta dal capo dell’ufficio giudiziario o dal suo delegato in calce alla citazione o al ricorso, con decreto non impugnabile e, per le cause già iniziate, con provvedimento del giudice istruttore o del presidente del collegio, egualmente non impugnabile;

La previsione – enucleando un elenco di procedimenti sottratti al regime di sospensione – non presenta particolari difficoltà interpretative. Ciò tenendo bene in considerazione la natura strettamente tassativa dell’elencazione non suscettibile di interpretazione analogica in ragione del divieto posto dall’art. 14 delle preleggi.

Nondimeno appaiono immediatamente alcune antinomie o incongruenze.

Il comma 3 prevede la trattazione dei procedimenti di cui agli artt. 283, 351 e 373 c.p.c. (i giudizi relativi alla sospensione dell’esecutività della sentenza di primo o secondo grado). Peraltro il comma 2 prevede espressamente la sospensione di tutti i procedimenti, compresi quelli esecutivi, indicando nell’elencazione esemplificativi la sospensione dei termini per la proposizioni degli atti introduttivi dei procedimenti esecutivi. Posto che non può essere messa in dubbio la sospensione di tutti i procedimenti esecutivi viene da domandarsi per quale ragione il legislatore abbia voluto introdurre una deroga, al regime di sospensione, proprio per i procedimenti di cui agli artt. 283, 351 e 373 c.p.c. Ciò tenendo conto , altresì, che non è rinvenibile alcun concreto pregiudizio in capo alle parti (nella specie il soccombente) da u procedimento esecutivo che comunque non può nemmeno essere avviato. Invero la norma prevede espressamente: … procedimenti di cui agli articoli 283, 351 e 373 del codice di procedura civile e, in genere, tutti i procedimenti la cui ritardata trattazione può produrre grave pregiudizio alle parti… Alla luce  della formulazione letterale di questa disposizione  il legislatore – per i  procedimenti di sospensione dell’esecutività della sentenza di primo o secondo grado – ha operato una presunzione di legge sulla sussistenza del  grave pregiudizio che deriverebbe alla parte soccombente dalla mancata trattazione del procedimento. Al contrario parrebbe  di evidenza che –  se nessuna azione esecutiva può essere intrapresa durante il periodo di sospensione -nessun grave pregiudizio può concretizzarsi in capo alla parte soccombente condannata in primo o secondo grado.

Forse il legislatore avrebbe dovuto subordinare la trattazione di tali procedimenti alle sole  ipotesi nelle quali era già stata avviata l’azione esecutiva, salvo che non si voglia ritenere che la sola “esistenza” della sentenza di condanna costituisca, ex se, grave pregiudizio per la parte.

Pur in assenza di uno specifico inciso il comma 3 lett a) deve ritenersi riferito esclusivamente ai procedimenti civili. Al di là della natura (civile) dei procedimenti analiticamente indicati  qualche dubbio potrebbe nascere dall’inciso che esclude la sospensione per quelle ipotesi in cui la configurabilità di un grave pregiudizio impone la trattazione del procedimento: …e, in genere, tutti i procedimenti la cui ritardata trattazione può produrre grave pregiudizio alle parti… Infatti l’espressione “tutti i procedimenti” potrebbe essere intesa come riferita tanto ai procedimenti civili che penali. In realtà la successiva alinea precisa che la dichiarazione d’urgenza è apposta in calce al ricorso o all’atto di citazione con ciò escludendo qualsivoglia riferibilità ai procedimenti penali (peraltro trattati nella successiva lettera b) )

Sebbene la valutazione di urgenza rimessa al Giudice sia connotata da ampia discrezionalità – così da immaginare applicazioni non perfettamente omogenee sul territorio nazionale – la stessa previsione deve ritenersi conforme alla natura eccezionale della disciplina. In tal senso è pure condivisibile la scelta di non prevedere mezzi di impugnazione avverso il decreto che stabilisce l’esistenza o meno delle ragioni sottese alla trattazione del procedimento.

 ART. 83 D.L. 17 MARZO 2020: COMMA 3 lett. b), c)  e comma 4

(3. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 non operano nei seguenti casi: lett. a …)

b) procedimenti di convalida dell’arresto o del fermo, procedimenti nei quali nel periodo di sospensione scadono i termini di cui all’articolo 304 del codice di procedura penale, procedimenti in cui sono applicate misure di sicurezza detentive o è pendente la richiesta di applicazione di misure di sicurezza detentive e, quando i detenuti, gli imputati, i proposti o i loro difensori espressamente richiedono che si proceda, altresì i seguenti:

1) procedimenti a carico di persone detenute, salvo i casi di sospensione cautelativa delle misure alternative, ai sensi dell’articolo 51-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354;

2) procedimenti in cui sono applicate misure cautelari o di sicurezza;

3) procedimenti per l’applicazione di misure di prevenzione o nei quali sono disposte misure di

prevenzione.

c) procedimenti che presentano carattere di urgenza, per la necessità di assumere prove indifferibili, nei casi di cui all’articolo 392 del codice di procedura penale. La dichiarazione di urgenza è fatta dal giudice o dal presidente del collegio, su richiesta di parte, con provvedimento motivato e non impugnabile.

Nei procedimenti penali in cui opera la sospensione dei termini ai sensi del comma 2 sono altresì sospesi, per lo stesso periodo, il corso della prescrizione e i termini di cui agli articoli 303 e 308 del codice di procedura penale.

Nemmeno questa disposizione – nonostante la non felice sintassi –  presenta particolari difficoltà interpretative o applicative nella sua struttura generale.

In particolare vengono indicati i procedimenti esclusi dalla sospensione (essendo ovviamente irrilevante il consenso dell’imputato o del proposto alla sua trattazione):

  1. convalida di arresto o fermo
  2. Procedimenti nei quali cadono i termini ex art. 304 c.p.p.
  3. Procedimenti in cui sono applicate misure di sicurezza detentive o è pendente la relativa richiesta

Un altro gruppo di procedimenti (quelli indicati ai numeri 1, 2 e 3) non sono soggetti alla sospensione nella sola ipotesi che il detenuto, l’imputato, i proposti o i loro difensori espressamente richiedano la trattazione. La facoltà non deve essere esercitata congiuntamente dal difensore e dall’assistito: è sufficiente che la domanda pervenga anche soltanto da uno dei titolari del diritto.

Infine, per  tutti i procedimenti che presentano carattere di urgenza (lett. c) (connessa alla necessità di assumere prove indifferibili) è facoltà delle parti richiedere la trattazione al Giudice. Questi dispone la celebrazione del procedimento a condizione che ne rilevi l’urgenza. Il provvedimento non è impugnabile.

Naturalmente le parti alle quali fa riferimento la norma (in ragione della generalità della parola “la parte”) sono l’imputato o il suo difensore ed il Pubblico Ministero.

Una prima questione riguarda l’individuazione dei procedimenti ai quali è riferita la norma. Dal tenore letterale della prima alinea ( nonché dall’espressione generale che apre l’inciso: procedimenti) parrebbe legittimo ritenere la facoltà delle parti di richiedere la celebrazione di tutti quei procedimenti (dibattimento, abbreviato condizionato, incidente probatorio) nei quali l’assunzione della prova risulta indifferibile,  ritenendosi tale l’assunzione di quella prova che presente i caratteri e la natura di quella disciplinata dall’art. 392 c.p.p. nei casi di incidente probatorio. Per altro verso si potrebbe opinare che l’alinea è riferita esclusivamente alle ipotesi di incidente probatorio, dovendosi ritenere esclusa la possibilità, per la parte,  di formulare la richiesta nell’ambito del dibattimento o del giudizio abbreviato condizionato. Ed invero la parola “procedimenti” potrebbe non  essere intesa come riferibile alla fase più strettamente processuale. E’ noto che il codice esplicita l’espressione “procedimento penale” per indicare in modo generale il tema del processo di cui si sta trattando e, inoltre, per indicare la fase iniziale delle indagini preliminari. Il “processo penale” vero e proprio, invece, sorge nel momento in cui il Pubblico Ministero esercita l’azione penale, quindi nel momento in cui l’indagato diventa imputato. Ma è altrettanto vero che con la parola “procedimenti” il legislatore (anche nel caso del DL n. 18 del 2020) si riferisce ad ogni fase compresa quella processuale.

Si tratta quindi, in definitiva, di assegnare alla disposizione in commento una interpretazione estensiva o restrittiva.

Orientando l’interpretazione sulla “ratio” che sorregge la disciplina del decreto legge (come individuata nel primo paragrafo) si deve concludere che la disposizione è applicabile anche nella fase processuale e quindi al dibattimento o al giudizio abbreviato condizionato eventualmente sospesi ai sensi del comma 1 e 2. Sul punto occorre osservare come il legislatore abbia  inteso sacrificare i principi costituzionali in materia di diritto di difesa e più in generale tutti quelli riferibili alla giurisdizione con il limite che il sacrificio medesimo non determini gravi ed irrimediabili pregiudizi in capo alle parti. Qualora nell’ambito di un dibattimento l’assunzione della prova assume natura e caratteristiche tali (anche per fatti sopravvenuti) da renderla indifferibile ai sensi dell’art. 392 c.p.p. (con il rischio di vanificare la stessa o peggio determinarsi una totale dispersione della prova) si configurano tutti i presupposti di urgenza che legittimano la celebrazione del procedimento ai soli fini dell’assunzione della prova.

D’altra parte l’art. 15 della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo prevede espressamente , in caso di pubbliche calamità, la possibilità per i singoli Stati contraenti di derogare alle disposizioni della convenzione ma “nello stretto limite richiesto dalla situazione e a condizione che esse non siano in contrasto con altri obblighi derivanti dal diritto internazionale”. All’evidenza – per quanto di rilievo nell’analisi dell’art. 83 comma 3 lett c) – il diritto dell’imputato ad interrogare o far interrogare i testimoni (art. 6 comma 3 lett d) della Convenzione) può e deve certamente essere “sacrificato” in virtù dell’emergenza, ma poiché lo stesso legislatore ha previsto specifiche deroghe a tali “sacrifici” in ipotesi ben definite è evidente che una lettura – costituzionalmente orientata oltre che rispettosa del diritto sovranazionale – della citata lett c) del comma 3 imponga di aderire all’orientamento estensivo sopra rappresentato.

L’indifferibilità della prova è propria di tutti i casi previsti dall’art. 392 c.p.p. ed essa deve ritenersi espressione di una presunzione di legge idonea a giustificare l’anticipazione dell’assunzione rispetto alla futura celebrazione del dibattimento o più in generale del processo. Sul punto deve essere anche compresa la speciale ipotesi di cui al comma 1 bis dell’art. 392 in virtù del quale la vulnerabilità della persona offesa ( e quindi l’indifferibilità della prova)  non deriva da particolari circostanze ma è anch’essa presunta dal legislatore in ragione del titolo di reato.

Il comma 1 bis dell’art. 392 c.p.p. è stato introdotto in forza del D.lvo n 212 del 2015  in osservanza agli obblighi derivanti  dagli artt. 18, 26, 49 e 52 della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta a Istanbul l’11 maggio 2011 (ratificata con L. 77/2013). Solo per citare le più rilevanti disposizioni in materia, con particolare riguardo a quelle attuate con il disposto di cui all’art. 392 c.p.p., comma 1 bis, si consideri: l’art. 18 Direttiva 2012/29/UE: “fatti salvi i diritti della difesa, gli Stati membri assicurano che sussistano misure per proteggere la vittima e i suoi familiari da vittimizzazione secondaria e ripetuta”; – l’art. 20 della stessa Direttiva prevede che: “fatti salvi i diritti della difesa e nel rispetto della discrezionalità giudiziale, gli Stati membri provvedono a che durante le indagini penali: a) l’audizione della vittima si svolga senza indebito ritardo dopo la presentazione della denuncia relativa a un reato presso l’autorità competente; b) il numero delle audizioni della vittima sia limitato al minimo e le audizioni abbiano luogo solo se strettamente necessarie ai fini dell’indagine penale”.  Ed ancora l’art. 18 della Convenzione di Istanbul, tra gli obblighi generali a carico degli Stati pone quello di adottare “le necessarie misure legislative o di altro tipo per proteggere tutte le vittime da nuovi atti di violenza” (comma 1), “al fine di proteggere e sostenere le vittime e i testimoni di ogni forma di violenza rientrante nel campo di applicazione della presente Convenzione” (comma 2), accertandosi che le misure adottate “mirino ad evitare la vittimizzazione secondaria” (comma 3; v. anche art. 56, comma 1, lett. a). Con ciò escludendo qualsivoglia potere o facoltà del Giudice di sindacare la differibilità o meno dell’assunzione testimoniale in sede dibattimentale e correlativamente escludendo ogni onere del richiedente (sia esso il Pubblico Ministero, l’indagato o la persona offesa) a giustificare la domanda sulla base dei presupposti indicati dal comma 1 dell’art. 392 c.p.p.

Questi principi recentemente ribaditi dalla Corte di legittimità (Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 16 maggio – 26 luglio 2019, n. 34091 Presidente Rosi – Relatore Reynaud) dovranno certamente trovare applicazione nelle decisioni che verranno assunte in conformità a quanto previsto dall’art. 83, comma 3, lett c).

Il comma 4 prevede, infine, la sospensione dei termini di prescrizione del reato e di quelli di durata massima della custodia cautelare in carcere per tutti i procedimenti indicati al comma 2. All’evidenza la disposizione non trova applicazione nelle ipotesi disciplinate ai numeri 1,2 e 3 del comma 3 lett b) qualora l’imputato o il suo difensore abbiano positivamente esercitato  la facoltà di procedere.

ART. 83 D.L. 17 MARZO 2020: COMMA 8 e 9

  1. Per il periodo di efficacia dei provvedimenti di cui ai commi 5 e 6 che precludano la presentazione della domanda giudiziale è sospesa la decorrenza dei termini di prescrizione e decadenza dei diritti che possono essere esercitati esclusivamente mediante il compimento delle attività precluse dai provvedimenti medesimi.
  2. Nei procedimenti penali il corso della prescrizione e i termini di cui agli articoli 303, 308 309, comma 9, 311, commi 5 e 5-bis, e 324, comma 7, del codice di procedura penale e agli articoli 24, comma 2, e 27, comma 6, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 rimangono sospesi per il tempo in cui il procedimento è rinviato ai sensi del comma 7, lettera g), e, in ogni caso, non oltre il 30 giugno 2020

Il comma 8 espressamente sospende tutti i termini prescrizionali e di decadenza  la cui interruzione è legata, esclusivamente,  alla proposizione di specifica domanda giudiziale. La disposizione è riferita a tutte quelle attività precluse nel periodo successivo alla sospensione in ragione di specifici provvedimenti assunti dall’Autorità Giudiziaria come previsti dai commi 5 e 6. Regola che – come già osservato nell’analisi del comma 1 e 2  – deve valere, ed  a maggior ragione, nel periodo di sospensione disciplinata dal comma 1 e 2 dell’art. 83.

Laddove, al contrario, l’interruzione della prescrizione o della decadenza può avvenire stragiudizialmente non può ritenersi operativa alcuna sospensione. Da un lato il decreto legge – come già reiteratamente osservato – è legge eccezionale non suscettibile di applicazione analogica; dall’altro anche le specifiche disposizioni in materia di sospensione delle cause di decadenza e prescrizione hanno natura eccezionale e tassativa.

Particolarmente chiara, infine,  la disciplina del comma 9 in materia di sospensione della prescrizione, dei termini in materia di durata delle misure cautelari personali  e dei termini di perdita di efficacia dei provvedimenti di sequestro secondo la c.d. normativa antimafia (Artt. 24 e 27 D.lgs 159 del 2011)

 

 

Vecchio Maurizio

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