Decreto di sequestro probatorio: come si colmano le omissioni

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L’omessa individuazione nel decreto di sequestro probatorio di cose costituenti corpo di reato delle esigenze probatorie non può essere colmato in sede di riesame

    Indice

  1. Il fatto
  2. I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
  3. Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
  4. Conclusioni

1. Il fatto

Il Tribunale del riesame di Rovigo rigettava una richiesta di riesame reale avanzata avverso un decreto di convalida del sequestro probatorio emesso dal Pubblico ministero di Rovigo e dichiarava l’inammissibilità della medesima richiesta con riferimento alle domande di dissequestro e restituzione.

2. I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso il provvedimento summenzionato proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’indagato che deduceva, con un unico motivo, violazione di legge in considerazione della apparenza della motivazione, sia quanto al decreto di sequestro del Pubblico Ministero, che quanto alla decisione del Tribunale del riesame, che non poteva, come in effetti avvenuto, sopperire le mancanze relative all’onere motivazionale che doveva caratterizzare il provvedimento impugnato,  richiamandosi in tal senso il principio di diritto affermato dalle Sez. U nella sentenza n. 36072/2018, secondo cui il decreto di sequestro probatorio, anche ove abbia ad oggetto cose costituenti reato, deve contenere una specifica motivazione sulla finalità perseguita per l’accertamento dei fatti.


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3. Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il ricorso era ritenuto fondato.

Si osservava a tal proposito che, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, il decreto di sequestro probatorio di cose costituenti corpo di reato – così come il decreto di convalida – anche qualora abbia ad oggetto cose costituenti corpo di reato, deve contenere una motivazione che, per quanto concisa, dia conto specificatamente della finalità perseguita per l’accertamento dei fatti. (Sez. U, n. 36072 del 19/04/2018) e, pertanto, tale decreto di sequestro probatorio deve essere necessariamente sorretto da idonea motivazione e integrabile esclusivamente dal pubblico ministero innanzi al Tribunale del riesame, anche in ordine al presupposto della finalità perseguita, in concreto, per l’accertamento dei fatti, avuto riguardo ai limiti imposti all’intervento penale sul terreno delle libertà fondamentali e dei diritti dell’individuo costituzionalmente garantiti, quale è il diritto di proprietà garantito dall’art. 42 Cost. e dall’art. 1 del primo Protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Sez. 3, n. 37187 del 06/05/2014, fattispecie in cui la Corte ha ritenuto non autonomamente integrabile dal tribunale del riesame la motivazione del decreto di sequestro).

Orbene, declinando tale criterio ermeneutico rispetto al caso di specie, i giudici di piazza Cavour evidenziavano come, a seguito dell’acquisizione della documentazione richiesta al Tribunale del riesame, fosse emersa, a loro avviso, un’evidente genericità e mancanza di motivazione specifica del decreto di convalida del sequestro che si caratterizzava quale modulo prestampato secondo il quale il mantenimento in sequestro era indispensabile al fine della prova in un eventuale dibattimento e della prosecuzione delle indagini, con l’aggiunta della dizione “in particolare:“, che aveva la chiara finalità di apportare al provvedimento schematico e prestampato in questione un contenuto di specificazione e puntualizzazione delle esigenze sottese al caso concreto fermo restando che il punto risultava essere semplicemente sbarrato, senza alcuna precisazione relativa al caso specifico.

Né, sempre ad avviso della Suprema Corte, poteva soccorrere a tal fine il verbale di perquisizione e sequestro, anche ritenendo possibile eventualmente una sorta di implicito rinvio per relationem evidentemente non consentito, nell’ambito del quale si chiariva come non fosse stato effettuato uno specifico inventario a causa dell’ora tarda.

Ciò posto, per gli Ermellini, appariva essere evidente come la motivazione, sia del sequestro, che del decreto di convalida, fossero sostanzialmente assenti quanto alle esigenze poste a fondamento del provvedimento in questione e, dunque, come la motivazione del Tribunale del riesame, seppure centrata sui profili di diritto relativi al fumus e alla pertinenzialità rispetto al reato di ricettazione, fosse caratterizzata quale motivazione a carattere integrativo, non consentita in mancanza di motivazione del decreto di convalida del sequestro.

Oltre a ciò, era altresì fatto presente come la giurisprudenza di legittimità abbia precisato che il Tribunale del riesame chiamato a decidere su un sequestro probatorio, a fronte dell’omessa individuazione nel decreto delle esigenze probatorie e della persistente inerzia del pubblico ministero anche nel contradditorio camerale, non può integrare la carenza di motivazione individuando, di propria iniziativa, le specifiche finalità del sequestro, trattandosi di prerogativa esclusiva del pubblico ministero quale titolare del potere di condurre le indagini preliminari e di assumere le determinazioni sull’esercizio dell’azione penale (Sez. 2 , n. 49536 del 22/11/2019; Sez. 5, n. 13917 del 23/03/2015) posto che l’attività integrativa del riesame con la specificazione delle esigenze probatorie che stanno a fondamento del vincolo reale è possibile solo se le stesse sono state indicate, seppure in maniera generica, nel provvedimento impugnato (Sez. 3, n. 30993 del 05/04/2016; Sez. 2, n. 4155 del 20/01/2015; Sez.2, n. 11325 del 11/02/2015) giacché il radicale difetto di motivazione sul punto costituisce vizio genetico che comporta l’originaria nullità del provvedimento (Sez. 5, n. 13917 del 23/03/2015; Sez. 2, n. 49536 del 22/11/2019).

In particolare, si è interpretativamente sottolineato che il dato normativo dell’art. 253 c.p.p. (del tutto sottovalutato nelle impostazioni giurisprudenziali che esentavano il provvedimento di sequestro del corpo del reato da un onere motivazionale) indica che il decreto di sequestro deve essere “motivato” e, pertanto, tale connotato, la cui necessità si collega alla previsione generale di cui all’art. 125, comma 1, c.p.p., è espresso in termini assoluti nell’incipit della disposizione e, dunque, indipendentemente dalla natura delle cose da apprendere a fini di prova, solo successivamente indicate dalla disposizione, tenuto conto altresì del fatto che è stato anche sottolineato che manca una regolamentazione autonoma, all’interno del codice di rito (contemplante le sole generali figure del sequestro preventivo, del sequestro probatorio e del sequestro conservativo) del sequestro del corpo del reato, con conseguente impossibilità di trattamenti differenziati.

Ponendosi sul solco tracciato dalla precedente pronuncia delle Sezioni Unite n. 5876 del 28/01/2004 nella sentenza del 2018, del resto, è stato poi sottolineato che la portata precettiva degli artt. 42 Cost. e 1 del primo Protocollo addizionale della Convenzione EDU richiede che le ragioni probatorie del vincolo di temporanea indisponibilità della cosa, anche quando la stessa si identifichi nel corpo del reato, siano esplicitate nel provvedimento giudiziario con adeguata motivazione, allo scopo di garantire che la misura, a fronte delle contestazioni difensive, sia soggetta al permanente controllo di

legalità – anche sotto il profilo procedimentale – e di concreta idoneità in ordine all’an e alla sua durata, in particolare per l’aspetto del giusto equilibrio o del ragionevole rapporto di proporzionalità tra il mezzo impiegato, ovvero lo spossessamento del bene, e il fine endoprocessuale perseguito, ovvero l’accertamento del fatto di reato (Corte Edu, 24 ottobre 1986, Agosi c. U.K.).

Orbene, alla luce di tali coordinate ermeneutiche, era rimarcato come l’ordinanza impugnata non avesse dato risposta alla doglianza difensiva relativa al difetto di indicazione delle esigenze probatorie, sottese al vincolo ablatorio.

Tal che se ne faceva discendere l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata e del decreto di sequestro in questione con restituzione di quanto in sequestro a chi avrebbe dimostrato di averne diritto.

4. Conclusioni

La decisione in esame è assai interessante nella parte in cui è ivi chiarito, sulla scorta di un pregresso orientamento nomofilattico, che il Tribunale del riesame chiamato a decidere su un sequestro probatorio, a fronte dell’omessa individuazione nel decreto delle esigenze probatorie e della persistente inerzia del pubblico ministero anche nel contradditorio camerale, non può integrare la carenza di motivazione individuando, di propria iniziativa, le specifiche finalità del sequestro, trattandosi di prerogativa esclusiva del pubblico ministero quale titolare del potere di condurre le indagini preliminari e di assumere le determinazioni sull’esercizio dell’azione penale posto che l’attività integrativa del riesame con la specificazione delle esigenze probatorie che stanno a fondamento del vincolo reale è possibile solo se le stesse sono state indicate, seppure in maniera generica, nel provvedimento impugnato giacché il radicale difetto di motivazione sul punto costituisce vizio genetico che comporta l’originaria nullità del provvedimento.

Di conseguenza, ove invece si verifichi una situazione procedimentale di questo genere, ben si potrà impugnare una decisione in tal senso nei modi e nelle forme stabilite dal codice di rito penale.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su tale tematica procedurale sotto il profilo giurisprudenziale, dunque, non può che essere positivo.

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