Ci proponiamo di illustrare i contenuti più importanti che attengono al contratto a tempo determinato che hanno innescato un forte dibattito tra studiosi e operatori sul tema del precariato.
La normativa precedente, il c.d. Jobs Act prevedeva la a- causalità del contratto a termine e la possibilità di stipula dei contratti a tempo determinato per la durata fino a 36 mesi.
Il nuovo provvedimento, prevede la a-causalità solo per contratti a termine fino a 12 mesi; quindi la prosecuzione del contratto, per proroghe e/o rinnovi, a fronte di causali ben determinate fino ad un massimo di 24 mesi. Oltre ai dodici mesi di durata dovranno concorrere infatti le seguenti condizioni: a) esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività, ovvero esigenze di sostituzione di altri lavoratori, oppure b) esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili ,dell’attività ordinaria.
Che cosa prevede il Decreto Dignità nello specifico?
Più specificatamente la norma prevede che “al contratto di lavoro subordinato può essere apposto un termine di durata non superiore a dodici mesi”, il che viene a significare che potrà stipularsi ,come primo contratto, un contratto di qualsiasi durata, senza indicare alcuna causale, purchè non superiore a dodici mesi. Tale primo contratto potrà prorogarsi più volte entro la suddetta durata , ad. es. 4 mesi + 4 mesi + 4 mesi senza che sia necessario specificare alcuna causale, e comunque le proroghe non potranno in assoluto, anche dopo i 12 mesi, essere superiori nei 24 mesi a quattro ( anzichè cinque come previsto nel Jobs Act). Non altrettanto potrà farsi per i rinnovi che, pur entro la predetta durata, richiedono la sussistenza delle condizioni summenzionate. Per ogni rinnovo è previsto un incremento contributivo dello 0,5 %. (1)
Quando entrerà in vigore il Decreto?
Il decreto prevede l’applicazione delle sue disposizioni anche ai rinnovi e alle proroghe dei contratti in corso alla data di entrata in vigore del medesimo, ma a far tempo dal 1 novembre 2018.
Il che potrà comportare non pochi problemi di interpretazione e applicazione.
Ad esempio le proroghe e i rinnovi, di per sé stessi, non hanno limiti di durata, ci domandiamo quindi se una proroga o rinnovo, di un contratto già in essere, che scade durante il periodo di moratoria dal 14 luglio (data di entrata in vigore della norma) al 31 ottobre( data di scadenza della moratoria) possa avere una durata tale da coprire il tempo massimo di durata dei contratti a termini ( che sia di 36 mesi- secondo il superato termine del Jobs Act- o, forse più probabilmente, di 24 mesi- nuovo termine massimo fissato dal decreto). Si ipotizzi, quindi, un contratto a tempo determinato stipulato il 15 gennaio 2018 per la durata di 7 mesi. Esso andrà a scadere il 15 agosto 2018 ( nel periodo di moratoria) ;potrà quindi essere prorogato senza obbligo di causale. Nulla quaestio per una proroga di altri 7 mesi, con scadenza quindi al 15 marzo 2019; ma quid iuris per una proroga di 17 mesi ?
L’introduzione delle causali
Per quanto riguarda le c.d. causali, a nostro parere, piuttosto di quelle assai stringenti contenute nella nuova normativa (una delle quali corrisponde, nelle precedenti regolamentazioni, alle c.d. punte di lavoro faticosamente delineate dalla giurisprudenza -v.la sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite 29/91983 n.5739 ,giurisprudenza questa che potrebbe tornare utile col nuovo decreto(2)-, e l’altra può assimilarsi al compimento di un “opus”) , sarebbe stato più ragionevole un ritorno alle causali previste dal D.lgs. n.368 del 2001 , ossia le “ ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”.
Comunque le nuove norme non si applicano alle attività stagionali.
Dalla legge di conversione è stato prorogato l’esonero contributivo per favorire l’occupazione giovanile per gli anni 2019 e 2020.
Tale decreto, comunque, inciderà fortemente sulla programmazione delle imprese i cui piani erano stati concepiti su di un orizzonte che si basava su un arco temporale di 36 mesi, con ovvie ricadute sul piano occupazionale.
Come il Decreto Dignità influenzerà l’andamento del mercato?
L’esperienza insegna che lo strumento del contratto a tempo determinato è soggetto ad una regolamentazione che si connota secondo l’andamento del mercato, per cui varia con il variare dell’andamento del mercato; più precisamente quando il mercato è in fase di crescita si impone una stretta sul contratto a tempo determinato, quando il mercato, invece, è in difficoltà è opportuno allentare i vincoli alla stipulazione di contratti a termine. Ce lo insegna l’andamento delle varie regolamentazioni del contratto a termine dal dopoguerra ad oggi.
Da un lato l’impresa preferisce utilizzare un contratto a termine, sia per non impegnarsi a fronte di un mercato soggetto a turbolenze, sia per meglio conoscere le attitudini e capacità del lavoratore assunto, non bastando il periodo di prova.
E’ noto d’altronde, nell’ottica del lavoratore, che lo stesso ambisce ad una sistemazione stabile per poter gestire la propria vita con un minimo di certezze che non possono essere affidate ad un serie molto lunga di rapporti a termine che, alla fine, non garantiscono necessariamente la stabilizzazione.
Si rende quindi necessario trovare un punto di equilibrio tra queste due esigenze. Occorre bilanciare gli opposti interessi. Il punto di equilibrio si sposterà a seconda dell’andamento del mercato o verso il lavoratore o verso il datore.
Ora non può certo negarsi che il momento che sta attraversando la nostra economia non è dei più favorevoli. Il PIL cresce poco sia in Italia che in Europa: ma certo meno in Italia che in Europa. Da ciò quindi ci vediamo costretti ad esprimere le nostre perplessità sulla emanazione di questo decreto, pur ragionevole di per sé stesso, nel presente momento.
Per le considerazioni che abbiamo svolto, più che porre vincoli, troppo stretti, al contratto a termine sarebbe opportuno lasciargli una relativa flessibilità che consente all’imprenditore di non impegnarsi eccessivamente, ma piuttosto gli consente di seguire l’andamento della richiesta del suo prodotto sul mercato.
Obiettivo primario dovrebbe essere quello di fare crescere il PIL, ossia fare cresce l’attività industriale, commerciale, dei servizi. Ma questo è compito primario della classe imprenditoriale; spetta nel contempo certamente al governo di creare condizioni che agevolino questo sviluppo. Nel momento in cui tornino ad esservi opportunità di lavoro ,in prospettiva, durature allora sì che si dovrà controllare più strettamente l’uso opportuno del contratto a termine.
D’altronde, pur mantenendo fermo tutto quanto su argomentato, in conclusione non si dovrebbe accettare che un lavoratore trascorra tre anni in stato di incertezza sul futuro: ciò, riteniamo, abbia fatto denominare tale provvedimento “decreto dignità”.
Contratto di somministrazione del lavoro
Per quanto riguarda infine la somministrazione di lavoro, essa viene assoggettata alle stesse limitazioni del contratto a termine, ponendo gli obblighi previsti dalla nuova normativa sull’utilizzatore. E’ previsto un tetto dei contratti di somministrazione a termine del 30 %, a fronte, salvo diversa indicazione del contratto collettivo dell’utilizzatore, del tetto del 20 % previsto dalla precedente normativa.
NOTE
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- Si ricorda che la proroga consiste nella prosecuzione del contratto e richiede il consenso espresso del lavoratore mentre il rinnovo prevede la cessazione del contratto e la stipulazione di un altro contratto; in tale ultimo caso tra i due contratti deve intercorrere un intervallo di dieci o venti giorni a seconda della durata del primo contratto , inferiore o superiore a 6 mesi, il cui mancato rispetto comporta la trasformazione del secondo contratto in contratto a tempo indeterminato.
- V. il nostro, Viceconte M. Il contratto di lavoro a termine,Legislazione,giurisprudenza e contrattazione collettiva, G .Giappichelli editore, 1994,pag.44 ss., con ampia trattazione sul punto.
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