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Premessa
E’ stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 6 dicembre 2011, il D. L. 6 dicembre 2011 n. 201 “Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici”.
Ancora una volta, il decreto contiene disposizioni sulle Province.
Ricordiamo le vicende più recenti.
Il tema della cancellazione delle Province era tornato formalmente all’attenzione delle istituzioni e degli studiosi negli ultimi giorni del maggio 2010 in occasione della predisposizione della manovra finanziaria allorché, per trovare le risorse necessarie, si era ipotizzato – e poi escluso – di operare con legge statale (o meglio con decreto-legge) la cancellazione delle Province con meno di 220.000 abitanti.
Rispetto al passato, la questione si era posta in termini nuovi: non abolire con legge statale ordinaria o costituzionale la categoria dell’ente territoriale autonomo, ma cancellare con decreto-legge solo alcune Province, sulla base del criterio demografico corretto da quello di confine; ipotesi prima annunciata, poi stralciata, quindi inserita nella nuova carta delle autonomie per essere nuovamente eliminata.
La Camera dei Deputati il 7 luglio 2011 ha bocciato a larga maggioranza un ordine del giorno sulla soppressione delle Province.
L’art. 15 del Decreto Legge 13 agosto 2011 n. 138 aveva quindi previsto la soppressione delle Province diverse da quelle la cui popolazione rilevata al censimento generale della popolazione del 2011 sia superiore a 300.000 abitanti o la cui superficie complessiva sia superiore a 3.000 chilometri quadrati.
La soppressione doveva decorrere dalla data di scadenza del mandato amministrativo provinciale.
Entro lo stesso termine, i Comuni del territorio della circoscrizione delle Province soppresse avrebbero dovuto esercitare l’iniziativa di cui all’articolo 133 della Costituzione al fine di essere aggregati ad un’altra provincia all’interno del territorio regionale, nel rispetto del principio di continuità territoriale.
In assenza dell’iniziativa dei Comuni, le funzioni esercitate dalle province soppresse sarebbero state trasferite alle Regioni, che avrebbero potuto attribuirle, anche in parte, ai Comuni già facenti parte delle circoscrizioni delle Province soppresse oppure attribuirle alle Province limitrofe a quelle soppresse, delimitando l’area di competenza di ciascuna di queste ultime.
In tal caso, con decreto del Ministro dell’Interno, andavano trasferiti alla Regione personale, beni, strumenti operativi e risorse finanziarie adeguati.
La norma poneva infine il divieto di istituire Province in Regioni con popolazione inferiore a 500.000 abitanti.
La Legge 14 settembre 2011 n. 148, di conversione del D. L. 138/2011, ha soppresso le previsioni dell’art. 15.
Il Consiglio dei Ministri ha nel frattempo approvato nella seduta di giovedì 8 settembre, su proposta del Presidente del Consiglio e dei Ministri per le riforme ed il federalismo e per la semplificazione normativa, il disegno di legge costituzionale che disciplina il procedimento di soppressione della provincia quale ente locale statale.
Il 13 settembre il disegno di legge costituzionale recante “Soppressione di enti intermedi” è stato trasmesso dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri al Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome per l’acquisizione del parere della Conferenza Unificata.
La scelta del DDL costituzionale era apparsa decisamente più saggia rispetto alla decretazione d’urgenza, ma le valutazioni critiche sui contenuti della proposta di riforma costituzionale sono molte e rilevanti, come espresse nelle ultime settimane anche da autorevoli giuristi e commentatori (Cfr. fra i molti: prof. Vincenzo Cerulli Irelli, docente di diritto amministrativo all’Università La Sapienza di Roma, sull’Unità del 25.11.2011, pag. 13; prof. Valerio Onida, Presidente Emerito della Corte Costituzionale, su Corriere della Sera del 23 luglio 2011, pag. 44; prof. Stelio Mangiameli, docente di diritto costituzionale all’Università di Teramo).
Adesso, con il D. L. 201/2011 si ritorna alla decretazione d’urgenza con contenuti finora inediti.
2. I Contenuti
Il decreto legge 201/2011, all’art. 23, commi 14-20, prevede:
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Spettano alla Provincia esclusivamente le funzioni di indirizzo politico e di coordinamento delle attività dei Comuni nelle materie e nei limiti indicati con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze.
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Sono organi di governo della Provincia il Consiglio provinciale ed il Presidente della Provincia. Tali organi durano in carica cinque anni.
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Il Consiglio provinciale è composto da non più di dieci componenti eletti dagli organi elettivi dei Comuni ricadenti nel territorio della Provincia. Le modalità di elezione sono stabilite con legge dello Stato entro il 30 aprile 2012.
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Il Presidente della Provincia è eletto dal Consiglio provinciale tra i suoi componenti.
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Fatte salve le funzioni di cui al comma 14, lo Stato e le Regioni, con propria legge, secondo le rispettive competenze, provvedono a trasferire ai Comuni, entro il 30 aprile 2012, le funzioni conferite dalla normativa vigente alle Province, salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, le stesse siano acquisite dalle Regioni, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. In caso di mancato trasferimento delle funzioni da parte delle Regioni entro il 30 aprile 2012, si provvede in via sostitutiva, ai sensi dell’articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, con legge dello Stato.
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Lo Stato e le Regioni, secondo le rispettive competenze, provvedono altresì al trasferimento delle risorse umane, finanziarie e strumentali per l’esercizio delle funzioni trasferite, assicurando nell’ambito delle medesime risorse il necessario supporto di segreteria per l’operatività degli organi della provincia.
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Con legge dello Stato è stabilito il termine decorso il quale gli organi in carica delle Province decadono.
3. Le scadenze
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Entro il 30 aprile 2012 con legge dello Stato dovranno essere stabilite le modalità di elezione del Consiglio Provinciale e del Presidente, tenendo conto che il Consiglio provinciale dovrà essere composto da non più di dieci componenti eletti dagli organi elettivi dei Comuni ricadenti nel territorio della Provincia e che il Presidente della Provincia dovrà essere eletto dal Consiglio provinciale tra i suoi componenti.
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Entro il 30 aprile 2012 lo Stato e le Regioni, con propria legge, secondo le rispettive competenze, dovranno provvedere a trasferire ai Comuni le funzioni conferite dalla normativa vigente alle Province, salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, le stesse siano acquisite dalle Regioni, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.
- Con legge dello Stato (non è fissato un termine) dovrà essere stabilito il termine decorso il quale gli organi in carica delle Province decadono.
4. Gli obiettivi
Gli obiettivi dichiarati nella Relazione tecnica che illustra il decreto legge sono i seguenti:
“Viene previsto un intervento di carattere strutturale con riguardo all’assetto istituzionale delle Province, con misure che investono le funzioni gli organi.
In particolare si definiscono quali organi della Provincia il Consiglio provinciale (composto da non più di 10 membri) e il Presidente.
E’ prevista la decadenza degli attuali organi in carica al momento dell’entrata in vigore delle leggi regionale o statali che definiranno il trasferimento delle funzioni e delle relative risorse.
Considerando che le risorse umane, finanziarie e strumentali rimangono legate alle funzioni che si trasferiscono si ritiene di non stimare su tale versante risparmi di spesa (tali risparmi appaiono verosimilmente destinati a prodursi nel tempo, attraverso la futura razionalizzazione dell’assetto organizzativo e lo sfruttamento delle economie di scala).
Per quanto attiene i c.d. “costi della politica” che – da dati SIOPE – ammontano a circa 130 milioni di euro lordi , appare verosimile considerare una riduzione percentuale nell’ordine del 50%, considerando che rimarrebbero quali organi i Presidenti e i componenti del Consiglio e che dovrà essere assicurato un supporto di segretaria, come previsto dal comma 19.
Il risparmio di spesa associabile al complesso normativo in esame – 65 milioni di euro lordi – è destinato a prodursi dal 2013 e peraltro in via prudenziale non viene considerato in quanto verrà registrato a consuntivo”.
5. Prime valutazioni critiche
Al di là dell’incongruenza tra la relazione tecnica (“E’ prevista la decadenza degli attuali organi in carica al momento dell’entrata in vigore delle leggi regionale o statali che definiranno il trasferimento delle funzioni e delle relative risorse”) e l’ultima versione del testo legislativo (art. 23, comma 20, “Con legge dello Stato è stabilito il termine decorso il quale gli organi in carica delle Province decadono”) che dimostra la fretta nella stesura di una norma fondamentale, appare evidente che si è proceduto, tramite decretazione d’urgenza, ad intervenire sull’assetto organizzativo della Repubblica, come sancito dalla Costituzione, per conseguire, forse (sic!), un risparmio di spesa di “65 milioni di euro lordi” dal 2013!
Tanto basta a giudicare incomprensibile la scelta.
Come deliberato all’unanimità dall’assemblea UPI del 6 dicembre “E’ insensato e inaccettabile dal punto di vista istituzionale che il tema dell’abolizione delle Province, che ha un impatto profondo sulla forma di stato prevista dalla Costituzione, sia inserito in un decreto legge che ha l’obiettivo di salvaguardare le finanze pubbliche: non ci sono né i presupposti di necessità e di urgenza, né si determinano risparmi di spesa.
Al contrario, la scelta di abolizione delle Province ingenera confusione, pone nel caos le amministrazioni territoriali che oggi dovrebbero essere in prima linea a cercare di dare risposte alla crisi, causa disservizi per i cittadini e i territori, porta ad un sensibile aumento della spesa pubblica, come rilevato in estate dalla competenti commissioni parlamentari e dalla stessa ricerca oggi prodotta dall’Università Bocconi”.
6. Le funzioni di indirizzo e coordinamento
Il D. L. 201/2011 prevede che “spettano alla Provincia esclusivamente le funzioni di indirizzo politico e di coordinamento delle attività dei Comuni nelle materie e nei limiti indicati con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze”.
Non viene precisato esattamente in cosa dovrebbero consistere tali funzioni.
L’indirizzo e coordinamento è riferito alle “attività dei Comuni”.
E tutte le funzioni di governo di area vasta inconciliabili con la dimensione comunale?
Viabilità provinciale, formazione professionale, edilizia scolastica superiore, centri per l’impiego, politiche ambientali, pianificazione territoriale di area vasta?
In questo contesto passerebbero inevitabilmente alle regioni, con ricadute fortemente negative per i servizi sul territorio e con la molto probabile creazione di uffici decentrati, l’ulteriore proliferazione di enti strumentali, agenzie, etc., con moltiplicazione dei costi e assenza di controllo diretto da parte dei cittadini.
7. La rappresentatività democratica
Vi è la diffusa consapevolezza che l’opinione pubblica non accetta più che vi siano evidenti sprechi nella spesa pubblica, e che parte di detti sprechi siano stati individuati nei “costi della politica”.
Appare evidente che una ben orchestrata campagna di stampa tende ad individuare negli Enti Locali, e segnatamente nell’Ente Provincia, il luogo ove si anniderebbero detti sprechi.
Ma non è accettabile che, per questo, si intervenga in modo così maldestro nell’organizzazione dell’ordinamento della Repubblica.
Non si può ridisegnare l’assetto istituzionale del sistema democratico con un decreto legge, al di fuori di una visione di insieme che eviti il crearsi di squilibri e asimmetrie nel rapporto fra i cittadini e lo Stato.
Non è possibile decidere sulla persistenza o la cancellazione di gangli vitali dell’articolazione statale sulla base di meri criteri di convenienza politica, ideologica o meramente economica (tutta da dimostrare quest’ultima) anziché in riferimento ad una verifica dell’effettiva necessità del loro mantenimento o eliminazione in rapporto alle esigenze per le quali essi sono stati creati.
Qui non sono in gioco gli interessi privati di un numero ristretto di persone, quanto piuttosto il modo di essere e di funzionare dello Stato.
L’intervento proposto implica una vulnerazione istituzionale senza precedenti.
Guai ad assimilare e confondere i costi della politica con i costi della democrazia.
Il livello di governo provinciale risulta connaturato con l’identità socio culturale, con la storia stessa dell’Italia e soprattutto è l’unico in grado di assicurare ai Comuni, anche quelli più piccoli, di svolgere la loro attività ed erogare i servizi nel modo migliore.
Le disposizioni del decreto legge inseguono derive demagogiche a scapito della democrazia, comportano una svilimento delle Province, quali istituzioni costitutive della Repubblica, e una delegittimazione degli organi di governo delle Province che sono stati eletti a suffragio universale, direttamente dal popolo: nella storia d’Italia i consigli provinciali sono stati sciolti d’imperio soltanto durante la dittatura fascista.
E’ assurdo vanificare, ricercando in modo strumentale un facile consenso, un percorso su cui l’intero Paese si è indirizzato, facendo delle Province un presidio fondamentale della Repubblica fondata sulle Autonomie locali.
Va, infatti, piuttosto valorizzato il ruolo delle Province come presidio democratico del territorio provinciale: una comunità che si organizza a livello provinciale in tutti i suoi aspetti (economico, sindacale, politico, religioso, associativo…) deve essere governata da un’istituzione democraticamente rappresentativa, attraverso l’elezione diretta degli organi di governo.
Con il decreto legge, è vero, si “risparmierebbe” l’elezione di Presidenti di Provincia e di consigli provinciali: ma siamo sicuri – come ricorda il prof. Onida – che l’accentramento politico in capo alla Regione, che ne risulterebbe, sia una soluzione soddisfacente?
Uno dei timori e dei rischi che da sempre caratterizzano il nostro sistema delle autonomie è quello del “centralismo” regionale.
Non è affatto detto che un semplice decentramento amministrativo della Regione sia in grado di soddisfare le aspirazioni di autogoverno delle popolazioni.
E’ stato da tempo da più parti ribadita l’esigenza di procedere ad un forte riordino istituzionale che consenta di semplificare la pubblica amministrazione, individuando le funzioni fondamentali di Comuni e Province e riorganizzando in modo organico tutte le funzioni amministrative intorno alle istituzioni che compongono la Repubblica, colpendo le reali inefficienze e superando enti e strutture ridondanti a livello nazionale e a livello regionale, che non hanno una diretta legittimazione democratica.
Il processo di attuazione del federalismo fiscale avrebbe dovuto imporre una coerente individuazione delle funzioni fondamentali dei Comuni, delle Province e delle Città metropolitane e un profondo ripensamento dell’adeguatezza dimensionale di ogni livello di governo affinché le istituzioni territoriali possano esercitare effettivamente le loro funzioni in autonomia e responsabilità. Invertendo quel processo caratterizzato negli ultimi anni sempre più dal centralismo regionale che di fatto ha parzialmente vanificato il processo di decentramento amministrativo inaugurato nella seconda metà degli anni ’90.
Bisogna procedere ad un forte riordino istituzionale che consenta di semplificare la pubblica amministrazione, individuando le funzioni fondamentali di Comuni e Province e riorganizzando in modo organico tutte le funzioni amministrative intorno alle istituzioni che compongono la Repubblica, colpendo le reali inefficienze e superando enti e strutture ridondanti a livello nazionale e a livello regionale, che non hanno una diretta legittimazione democratica.
Non è accettabile che vengano continuamente presi di mira le spese connesse con l’esistenza di una rete di poteri istituzionali decentrati – i Comuni e le Province – che sono espressione delle peculiarità storiche dei territori e l’essenza stessa della democrazia e al contrario non emerge alcuna volontà di procedere alla revisione della legislazione per la soppressione effettiva di tutte le strutture, gli enti o gli uffici che esercitano funzioni riconducibili agli Enti Locali (ATO acque e rifiuti, consorzi, agenzie, enti strumentali, uffici statali e regionali decentrati a livello provinciale,…), lontani dai cittadini, non conosciuti e difficilmente controllabili.
La “riduzione dei costi complessivi degli organi politici e amministrativi in ciascuna Regione” si sarebbe potuta ottenere in tempi rapidi e certi attraverso:
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l’emanazione di norme per evitare il proliferare dei vari organismi intercomunali (società, consorzi, agenzie, ecc.), riconducendo ogni competenza e funzione alle assemblee elettive;
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l’emanazione di norme per chiarire le competenze degli Enti locali tutti, e non solo delle province, attraverso il trasferimento di funzioni e compiti agli Enti Locali tutti, in stretta connessione con le norme del federalismo fiscale (art. 118 della Costituzione) e la riforma oggi in itinere del Testo Unico sull’Ordinamento degli Enti Locali;
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la riorganizzazione degli uffici periferici dello Stato intorno alle Province e la soppressione degli Uffici statali decentrati ed il conseguente trasferimento delle relative funzioni a favore delle Province in attuazione del Federalismo:
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uffici scolastici provinciali
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motorizzazione civile
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direzioni provinciali del lavoro
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consorzi dei bacini imbriferi montani di cui alla legge 27 dicembre 1953, n. 939
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agenzie del territorio
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la soppressione di tutti gli enti strumentali e il divieto di costituire o mantenere di tutti quegli enti o uffici che esercitano funzioni riconducibili agli Enti Locali;
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l’obbligo di trasferimento a Comuni e Province di tutte le funzioni amministrative in applicazione del principio di sussidiarietà e la contestuale individuazione e trasferimento delle risorse umane, finanziarie e strumentali necessarie a garantirne l’esercizio previa concertazione con le Autonomie locali; conseguentemente tutte le funzioni statali e regionali che non attengono ad esigenze unitarie per la collettività ed il territorio nazionale e regionale, devono essere conferite alle province e ai comuni secondo le rispettive dimensioni territoriali associative ed organizzative.
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il trasferimento alle Province delle funzioni oggi svolte da Enti (ATO, ATER, ESU, Consorzi di Bonifica, Enti Parco Regionali, ecc.) con un risparmio immediato di costi riferiti a Presidenti, Consiglieri di Amministrazione, staff, Direttori, quantificabili in cifre ben superiori a quelle solo stimate derivanti dalla soppressione delle Province e, soprattutto, rapidamente riscontrabili.
Allora perché sopprimere le Province che per storia, dimensioni e struttura rappresentano l’Ente “naturalmente” vocato a svolgere tali funzioni?
Al riguardo va affermato con forza come non sia più tollerabile utilizzare le Province per riforme ‘bandiera’, che portano allo Stato risparmi insignificanti e che servono solo a non affrontare in maniera seria il riordino istituzionale e ad eludere il tema della riorganizzazione dello Stato e la riduzione drastica dei costi della politica.
Non sarebbe più opportuno, più serio, più credibile dettare norme – anche di rango costituzionale a prevenire gli abusi che lo stesso legislatore, con la creazione recente di nuove Province ha commesso – contenenti criteri e modalità per la ridefinizione dei confini provinciali in modo che il territorio di ciascuna Provincia abbia una estensione e comprenda una popolazione tale da consentire l’ottimale esercizio delle funzioni previste per il livello di governo di area vasta riducendo così il numero complessivo delle attuali Province?
8. Le forme associative dei Comuni
Secondo il decreto legge (comma 21), i Comuni possono istituire unioni o organi di raccordo per l’esercizio di specifici compiti o funzioni amministrativi garantendo l’invarianza della spesa.
Difficile comprendere il senso di tale disposizione, collocata nel comma successivo alla riorganizzazione delle funzioni delle Province.
Se la scelta è quella di collocare le funzioni di area vasta a livello di Unione di comuni, ciò comporterebbe il serio rischio di appesantire, anziché semplificare, il sistema amministrativo, moltiplicando gli Enti di riferimento.
Le “Unioni dei Comuni” ai sensi della normativa vigente, cui fa riferimento la proposta di riforma costituzionale sono enti territoriali di secondo grado disciplinati dall’art. 32 del Testo Unico degli Enti Locali (D. Lgs. 267/2000).
La normativa vigente prevede che:
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Le unioni di comuni sono enti locali costituiti da due o più comuni di norma contermini, allo scopo di esercitare congiuntamente una pluralità di funzioni di loro competenza.
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L’atto costitutivo e lo statuto dell’unione sono approvati dai consigli dei comuni partecipanti con le procedure e la maggioranza richieste per le modifiche statutarie. Lo statuto individua gli organi dell’unione e le modalità per la loro costituzione e individua altresì le funzioni svolte dall’unione e le corrispondenti risorse.
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Lo statuto deve comunque prevedere il presidente dell’unione scelto tra i sindaci dei comuni interessati e deve prevedere che altri organi siano formati da componenti delle giunte e dei consigli dei comuni associati, garantendo la rappresentanza delle minoranze.
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L’unione ha potestà regolamentare per la disciplina della propria organizzazione, per lo svolgimento delle funzioni ad essa affidate e per i rapporti anche finanziari con i comuni.
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Alle unioni di comuni si applicano, in quanto compatibili, i princìpi previsti per l’ordinamento dei comuni. Si applicano, in particolare, le norme in materia di composizione degli organi dei comuni; il numero dei componenti degli organi non può comunque eccedere i limiti previsti per i comuni di dimensioni pari alla popolazione complessiva dell’ente. Alle unioni competono gli introiti derivanti dalle tasse, dalle tariffe e dai contributi sui servizi ad esse affidati
E’ davvero pensabile che possa svolgere efficacemente le competenze esercitate oggi dalle Province un’unione di 90, 100 e talvolta più Comuni che oggi sono compresi nelle attuali Province?
9. Profili di costituzionalità
Sono numerosi i dubbi di legittimità costituzionale di tali disposizioni.
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La decretazione d’urgenza
Le disposizioni in esame palesemente non presentano le caratteristiche di “necessità ed urgenza” che legittimano il Governo ad esercitare la funzione legislativa con la forma del “decreto legge” ai sensi dell’art. 77 della Costituzione.
Per stessa ammissione contenuta nella relazione tecnica al decreto, trattasi di “un intervento di carattere strutturale con riguardo all’assetto istituzionale delle Province…” che, per sua natura non ha alcun carattere di urgenza, tanto che rinvia alla successiva legislazione ordinaria l’assetto delle funzioni e la disciplina degli organi.
Non può nemmeno giustificarsi la straordinarietà e l’urgenza con aspetti di tipo economico-finanziario posto che, si legge nella medesima relazione, “il risparmio di spesa associabile al complesso normativo in esame – 65 milioni di euro lordi – è destinato a prodursi dal 2013 e peraltro in via prudenziale non viene considerato in quanto verrà registrato a consuntivo”.
E’ evidente dunque l’assenza di ogni requisito di legittimità costituzionale.
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Nel merito
Le disposizioni approvate sono palesemente in contrasto con i principi e le disposizioni costituzionali che disciplinano i rapporti tra lo Stato e le autonomie territoriali ed, in particolare, gli articoli 5, 114, 117 (comma 2, lettera p) e comma 6), 118 e 119 della Costituzione
Con un decreto legge, il Governo:
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Ha dettato riforme strutturali di un ente autonomo, costituzionalmente riconosciuto e tutelato alla pari dei Comuni, delle Città metropolitane, delle Regioni e dello Stato, senza peraltro alcuna preventiva consultazione;
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Ha leso gravemente l’autonomia di uno degli Enti costitutivi della Repubblica;
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Ha introdotto disposizioni in palese contrasto con i principi e le esigenze di autonomia e decentramento sanciti dall’art. 5 della Costituzione nonché dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza che devono ispirare l’attribuzione delle funzioni amministrative;
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Palesa un gravissimo vulnus istituzionale e democratico configurando uno scioglimento generalizzato di organi democraticamente eletti, prima della loro scadenza naturale, determinando, di fatto, una delegittimazione degli organi di governo delle Province che sono stati eletti a suffragio universale, direttamente dal popolo.
Il decreto legge prevede, altresì, che “in caso di mancato trasferimento delle funzioni da parte delle Regioni entro il 30 aprile 2012, si provvede in via sostitutiva, ai sensi dell’articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, con legge dello Stato”.
Il potere sostitutivo dello Stato nelle materie di competenza regionale è fortemente circoscritto dall’art. 120 della Costituzione: “Il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali. La legge definisce le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione”.
Il Governo, con decretazione d’urgenza privo di presupposti, introduce una fattispecie di potere sostitutivo.
Si pensa forse che, in caso di mancato intervento sulle Province, si configuri:
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la violazione di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria?
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oppure un pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica?
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o ancora è necessario tutelare l’unità giuridica o l’unità economica o i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali?
Appaiono dunque davvero insensate e gravemente indiziate di illegittimità costituzionale le disposizioni sulle Province contenute nel D. L. 201/2011.
10 Conclusioni
E’ auspicabile che il Parlamento riveda e riformi profondamente il decreto legge, ponendo l’attenzione sulle misure davvero urgenti per il consolidamento dei conti pubblici e stralciando le disposizioni sull’assetto organizzativo dello Stato che meritano un approccio più organico e partecipato che nulla ha a che fare con la decretazione d’urgenza.
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