Definire cornuta una persona su facebook è reato aggravato

Risulta palese che oramai la giurisprudenza ha preso una posizione netta in materia di offese esplicitate tramite i social network: le offese divulgate tramite facebook sono idonee e sufficienti a dare luogo ad una condanna del loro autore per avere violato l’art. 595 c.p., comma 3, (1) cd. diffamazione aggravata.

 

Di recente lo ha ribadito la Cassazione, sez. Quinta Penale, nella sentenza n. 2723 del 20.01.2017, secondo la quale la particolare natura di tale social network rende la diffusione di un messaggio per il suo tramite potenzialmente capace di raggiungere un numero non determinato di persone che, del resto, si “avvalgono del  social network proprio allo scopo di instaurare e coltivare relazioni interpersonali allargate ad un gruppo di frequentatori non determinato”, aggiungendo, inoltre, che “se il contenuto della comunicazione in siffatto modo trasmessa è di carattere denigratorio, la stessa è idonea ad integrare il delitto di diffamazione. In materia, ci sono dei precedenti: basti pensare alla sentenza n. 24431 del 08.06.2015 dove lo stesso giudice di legittimità stabilisce che la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso della c.d. bacheca di facebook integra un’ipotesi di diffamazione aggravata in quanto trattasi di condotta capace di raggiungere un numero di persone illimitato; oppure la sentenza n. 8328 del 01.03.2016 sempre dei giudici di “Palazzaccio” con la quale viene sottolineata che “la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca facebook integra un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595, comma terzo, c.p., poiché la diffusione di un messaggio con le modalità consentite dall’utilizzo per questo di una bacheca facebook, ha potenzialmente la capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone, sia perché, per comune esperienza, bacheche di tal natura racchiudono un numero apprezzabile di persone (senza le quali la bacheca facebook non avrebbe senso), sia perché l’utilizzo di facebook integra una delle modalità attraverso le quali gruppi di soggetti socializzano le rispettive esperienze di vita, valorizzando in primo luogo il rapporto interpersonale, che, proprio per il  mezzo utilizzato, assume il profilo del rapporto interpersonale allargato ad un gruppo indeterminato di aderenti al fine di una costante socializzazioneˮ.

 

Inoltre, dinnanzi alla doglianza della parte ricorrente circa la dedotta mancata analisi dell’elemento soggettivo del reato, la Cassazione ha colto l’occasione per ribadire che per l’esistenza del delitto de quo è richiesto il dolo generico che si  verifica tramite l’uso consapevole di espressioni che nel contesto sociale in cui si inseriscono sono ritenute offensive, per il significato oggettivo che assumono.

 

Quanto al motivo aggiunto col quale è stata lamentata la non applicazione della causa di non punibilità ai sensi dell’art. 131-bis c.p., c.d. esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, gli ermellini sostengono che sarebbe stato onere del ricorrente sollecitarla dinanzi al giudice di merito come motivo o anche in fase di conclusioni.

 

 

(1) Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a euro 1.032. Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a euro 2.065. Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a euro 516. Se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza o ad una autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate.

Sentenza collegata

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Stefano Galeano

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