Nell’azione per l’esecuzione in forma specifica di un contratto preliminare di vendita promossa dal promissario acquirente, deve essere citato anche il coniuge in regime di comunione legale con il promittente venditore quale litisconsorte necessario, seppur rimasto estraneo, altrimenti, il giudizio svolto è nullo e deve essere celebrato nuovamente a contraddittorio integro.
E’ quanto appena affermato dai giudici ermellini; Più in generale, viene sottolineato che, dove dal contratto preliminare scaturiscano controversie, va riconosciuto al coniuge rimasto estraneo al negozio l’interesse a partecipare ai relativi giudizi.
Si è posto così fine ad una disputa che da tempo vedeva una divergenza d’opinioni nella giurisprudenza di legittimità ed in seno alla seconda sezione della Corte di Cassazione che aveva aderito a tale tesi, ma non in maniera unanime.
Il caso concreto, da cui è scaturita la pronuncia, è quello di un giudizio instaurato ex art. 2932 c.c., dunque, al fine di ottenere una sentenza che produca gli effetti di un contratto di vendita sulla base di un contratto preliminare. La questione sorta dinanzi il giudice adito è stata la mancata integrazione ab origine del coniuge, comproprietario dell’oggetto della vendita ma che non aveva preso parte al contratto preliminare che si cercava di far eseguire in forma coattiva.
La Suprema Corte, nella sentenza del 24 agosto 2007, n. 17952, afferma come non sia in alcun modo possibile pensare di ottenere un trasferimento dell’intero bene della comunione familiare- effetto che ben potrebbe scaturire dal giudizio ex art.2932 c.c. – quando il bene è promesso in vendita non da entrambi, ma da uno soltanto dei coniugi comproprietari.
La pronuncia emessa ex art.2932 c.c. è una sentenza costitutiva, in quanto produce essa stessa gli effetti che sarebbero derivati dalla conclusione del contratto: così, nel caso del preliminare di vendita, l’acquirente adempiente diventerà proprietario del bene per effetto della sentenza e non del contratto, effetto che va ad incidere in maniera rilevante sul patrimonio familiare.
Ma è bene seguire il percorso argomentativo messo in atto dai giudici togati che, al fine di dimostrare la sussistenza di una ipotesi di litisconsorzio necessario, hanno, innanzitutto, fatto rilevare le peculiarità della comunione ordinaria ex artt.1100-1116 c.c. rispetto alla comunione familiare ex artt.177-197 c.c. che, nel caso de quo, caratterizza il rapporto tra il chiamato in causa e la parte pretermessa.
La prima definita, mutuando una sentenza delle stesse sezioni unite di diversi anni prima (Cass.SS.UU. n.7481/93), come una comunione pro indiviso, viene messa in relazione al caso in questione rimarcandone la natura di proprietà plurima parziaria e, dunque, traendo che nel caso in esame, la mancanza della volontà di una delle parti del contratto preliminare esclude in toto la possibilità di ottenere una sentenza costitutiva ex art.2932 c.c.. In effetti, alla luce di tale configurazione della comunione ordinaria, data dalla giurisprudenza e condivisa dalla dottrina, i comproprietari costitutiscono una parte complessa e, le loro dichiarazioni un’unica volontà negoziale che per formarsi deve vedere l’incontro di tutte le volontà. Dacchè, la mancata fusione delle volontà impedisce la formazione della determinazione di una delle parti del contratto preliminare.
La situazione è diversa ove si verta in tema di comunione legale tra i coniugi, afferma la Suprema Corte nella sentenza n. 17952.
Innanzitutto, i giudici ricostruiscono la tesi di una dottrina minoritaria, che è stata utilizzata per anni come base delle pronunzie adottate in materia dalla giurisprudenza di legittimità evidenziandone, sin da subito, la contraddizione in termini e l’incoerenza della metodologia ricostruttiva.
In una pronuncia della seconda sezione della stessa Corte, che ha fatto propri tali assunti (Cass. Civ. n. 20867/2004), si legge: “sulla considerazione che i coniugi non sono individualmente titolari di un diritto avente per oggetto i beni della comunione, che nei rapporti con i terzi ciascun coniuge ha il potere di disporre dei beni della comunione, che l’azione ex art. 2932 c.c. non ha natira reale ma personale, si perviene alla conclusione per cui in quest’ultima non sia ravvisabile un’ipotesi di litisconsorzio necessario, non vertendosi in situazione sostanziale caratterizata da un rapporto unico ed inscindibile con pluralità di soggetti e non rivestendo, quindi, il coniuge rimasto estraneo al preliminare, del quale si chiede l’esecuzione in forma specifica, la qualità di parte la cui presenza in giudizio sia condizione essenziale affinchè la sentenza non venga inutiliter data”.
Tale teoria è sfornita di prova, né è sufficiente la ragione della natura obbligatoria del contratto preliminare ripresa da antiche sentenze ( Cass. Civ. n.2635/82; Cass. Civ. n. 7081/88). Siffatta riostruzione va inserita nel contesto di quegli anni, quando si riteneva che l’azione ex art.2932 c.c. fosse esperibile nell’ipotesi di alienazione della quota del coniuge promittente, possibilità presto esclusa in maniera categorica dai giudici delle leggi con la sentenza n.311/88. Difatti, è stato definito inconcepibile far entrare un estraneo nella cominione legale familiare specie per la natura e la disciplina precipua che la caratterizza.
Le sezioni unite, nella sentenza in commento, si muovono sul piano degli effetti dell’azione ex art.2932 c.c. e della funzione dell’istituto del litisconsorzio necessaro.
L’essere ciascun coniuge titolare del bene per l’intero e non avendo il contratto preliminare un effetto traslativo ma semmai obbligatorio, non può implicare l’esclusione dell’altro coniuge non promissario che di certo ha un interesse ad interloquire in quanto contitolare del bene. A ciò si aggiunga che: “pur se non è rimasto personalmente obbligato e se non è corresponsabile assieme al coniuge stipulante, unico abbligato, tuttavia l’impegno assunto da quest’ultimo e la responsabilità personale del medesimo sono comunque tali da incidere sul patrimonio comune e sul tenore di vita della famiglia”.
Alla base del litisconsorzio necessario, in generale, c’è una legittimazione ad agire necessariamente congiunta, determinata dalla contitolarità del rapporto sostanziale affermato. Pertanto, se il giudizio viene promosso senza la presenza di tutti i litisconsorzi, il giudice deve ordinare l’integrazione del contraddittorio in un termine perentorio da lui stabilito. Inoltre, la sentenza eventualmente pronunciata nei confronti di alcuni soltanto dei litisconsorzi necessari è inutiliter data, cioè non ha effetti non soltanto nei confronti del litisconsorzi pretermessi ma anche nei confronti delle parti tra le quali è stata pronunciata ( Mandrioli).
Infine, sempre a fondamento della tesi avallata dalle Sezioni Unite, si richiama, altresì, l’art.180 c.c..Con tale norma il legislatore ha voluto che gli atti di straordinaria amministrazione vengano realizzati da entrambi in coniugi in accordo fra loro e persegue sia l’intento di garantire l’accordo dei coniugi in relazione agli atti decisivi per l’andamento della vita familiare sia quello di evitare abusi di un coniuge ai danni dell’altro mediante atti aventi ad oggetto i beni comuni.
Nell’art.180 c.c. il criterio discretivo tra gli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione è quello della normalità dell’atto di gestione, che è sicuramente da escludere in casi come quello de quo dove il contratto, seppur ad effetti obbligatori, è in grado di incidere, potenzialmente, sulla consistenza del patrimonio dello stipulante.
Queste le ragioni esposte dai giudici della suprema Corte e da cui è discesa una pronuncia di nullità del giudizio promosso per l’adempimento in forma specifica e/o per i danni da inadempimento precontrattuale nei confronti del solo coniuge promittente e in cui, comunque, non si era provveduto alla integrazione del contraddittorio.
Avv. Marianna Pulice, del Foro di Cosenza
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento