Posto che l’art. 1120 Cc statuisce il divieto di innovazioni attinenti le parti comuni dell’edificio in condominio, a nulla influendo l’eventuale precedente alterazione del decoro architettonico del fabbricato, ovvero l’assenza di particolare pregio artistico dello stesso, essendo a tal uopo idonea l’alterazione, in modo percepibile e rilevante, della generale armonia del fabbricato. Pertanto, considerato che con il termine decoro architettonico ci si riferisce alle linee essenziali del fabbricato, il singolo condomino non può, senza preventiva autorizzazione assembleare, modificare le parti esterne dell’immobile, a prescindere dalla proprietà del suolo sul quale vengono realizzate le innovazioni.
Questo il principio di diritto affermato dalla Corte di Cassazione, VI Sezione Civile, Presidente dott. Pasquale D’Ascola, relatore dott. Antonio Scarpa, nell’ordinanza n. 1235, pubblicata in data 18 Gennaio 2018.
La vicenda prende spunto dalla realizzazione, da parte di una società condomina, di una piattaforma di circa 31,51 mq, contenente degli ombrelloni, e delimitata da ringhiere, posata sulla pavimentazione della piazza prospiciente il fabbricato condominiale, nonché assicurata alla parete perimetrale dell’immobile nelle vicinanze del portone di ingresso.
Il condominio citava in giudizio l’anzidetta società, ritenendo violato l’art. 1120 Cc, in virtù del fatto che l’opera realizzata modificava la simmetria del fabbricato e ledeva, pertanto, il decoro architettonico dello stesso.
Il Tribunale di Roma accoglieva la domanda e disponeva la rimozione della piattaforma, con conferma della sentenza da parte della Corte d’Appello capitolina, nel frattempo adita dalla società condomina.
Ricorre per cassazione la medesima società condomina, eccependo, tra l’altro, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1120 e 877 Cc.
La Suprema Corte, premette come <<E’ conforme alla giurisprudenza di questa Corte l’interpretazione, seguita dai giudici del merito, per cui, ai fini della tutela prevista dall’art. 1120 c.c. in materia di divieto di innovazioni sulle parti comuni dell’edificio condominiale, non occorre che il fabbricato, il cui decoro architettonico sia stato alterato dall’innovazione, abbia un particolare pregio artistico, né rileva che tale decoro sia stato già gravemente ed evidentemente compromesso da precedenti interventi sull’immobile, ma è sufficiente che vengano alterate, in modo visibile e significativo, la particolare struttura e la complessiva armonia che conferiscono al fabbricato una propria specifica identità>>.
Prosegue, pertanto, affermando che <<la tutela del decoro architettonico – di cui all’art. 1120 c.c. – attiene a tutto ciò che nell’edificio è visibile ed apprezzabile dall’esterno, posto che esso si riferisce alle linee essenziali del fabbricato, per cui il proprietario della singola unità immobiliare non può mai, senza autorizzazione del condominio, esercitare una autonoma facoltà di modificare quelle parti esterne, a prescindere da ogni considerazione sulla proprietà del suolo su cui venga realizzata l’opera innovativa (Cass. Sez. 2, 19/06/2009, n. 14455; Cass. Sez. 2, 14/12/2005, n. 27551; Cass. Sez. 2, 30/08/2004, n. 17398)>>.
In realtà, sottolinea ancora il Supremo collegio, <<si configura, in astratto, peraltro, non una violazione dell’art. 1120, comma 2, c.c. (testo antecedente alle modifiche introdotte con la legge n. 220/2012, qui operante ratione temporis), ma dell’art. 1102 c.c., disposizione invero applicabile a tutte le innovazioni che, come nella specie, non comportano interventi approvati dall’assemblea e quindi spese ripartite fra tutti i condomini; dovendosi del pari riaffermare che, in tema di condominio, è illegittimo l’uso particolare o più intenso del bene comune, ai sensi dell’art. 1102 c.c., ove si arrechi pregiudizio al decoro architettonico dell’edificio condominiale (Cass. Sez. 2, 04/09/2017, n. 20712; Cass. Sez. 2, 22/08/2012, n. 14607). Né, ai fini della verifica del danno estetico alla facciata dell’edificio condominiale, determinante agli effetti degli artt. 1102 e 1120 c.c., assume rilievo il fatto che la piattaforma sia stata realizzata “in aderenza” al muro comune.>>.
Il ricorso, pertanto, viene rigettato con condanna della ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione.
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